15 Feb 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /27. The enigma still lies there amid the mountains
In our previous article, we presented the conclusions of our long study on the true origin of the legend of the Apennine Sibyl.
The results show that the Sibyl of the Apennines descends from an illustrious lineage of fays portrayed in the Matter of Britain. Most likely she is the adaptation of the characters of Morgan le Fay and Sebile to a specific Italian setting, that of the Sibillini Mountain Range.
A lineage that seems to turn into an almost tangible manifestation when we open one of the most ancient versions available of “Guerrino the Wretch”, contained in manuscript no. MA297 preserved at the Biblioteca Civica “Angelo Mai” in Bergamo, Italy. In this version, dating to 1468, the Apennine Sibyl is not indicated with the usual Italian word 'Sibilla', which we find in later printed editions, but as «Sibilia»: an unusual name whose Italian spelling is remarkably similar to that of the French word 'Sebile' (Fig. 1).
Morgan, Sebile, Sibilia, the Sibyl of the Apennines. A line of descent that will certainly need further study, yet we think that the present research, noteworthily supported by similar conclusions drawn in the past by Roger S. Loomis, may provide the right trail we need to tread if we want to fully understand the ancient mystery and illustrious tradition concerning this Italian Sibyl.
However, this is not the end of the Apennine Sibyl's legend. Not in the least.
Because Morgan and Sebile, fascinating figures as they are, are not enough to explain why it all happened.
Her enigma, the enigma of the Sibyl of the Apennines, is everything but solved.
Because still we have not answered two fundamental questions, the most critical amid those we stated at the very beginning of our search: did the Apennine Sibyl arise from some odd condensation of any peculiar nature of that place, the Sibillini Mountain Range? Was the original core of the Apennine Sibyl's legend born there, owing to the fact that that location was some sort of very special site?
As we said, we know for certain that the Sibyl of the Apennines was shaped around additional mythical themes taken from other tales and stories, namely the Matter of Britain and the Arthurian cycle. However, why such tales and stories did elect to stop exactly there, amid the peaks of the Sibillini Mountain Range?
Morgan the Fay, Sebile the enchantress, the magically narrow bridge, the ever-slamming doors, the oracular site, the visits to a hidden subterranean realm: why all this extraordinary narrative settled down precisely in that spot, lost amid the mountainous fastnesses of the Italian Apennines?
No scholar has ever addressed this issue. We find no answers on that in Roger S. Loomis, Lucy Ann Paton, Ferdinando Neri, nor in any other scholars. No research paper has ever dealt with this fundamental question.
The legendary narrative material belonging to the lore of Morgan and the Sibyls might as well have landed at any other location in Italy or elsewhere, depositing its mythical charge in a different place, so as to set up a brand new legend concerning an enchanted paradise in Tuscany, or Piedmont, or Sicily, as it actually happened at Mount Etna, or even Sardinia. Anywhere else.
But the legend established itself right here: in the middle of the Sibillini Mountain Range.
What sort of magnetic pull did attract the magical tales of the Arthurian cycle on the sinister peak of Mount Sibyl? For what kind of fated chance did the Matter of Britain come to rest, like a ball spinning on a roulette wheel, right into the position marked by this remote Italian mountain?
The land of Italy is scattered of hundreds of peaks and mountaintops: why weren't they fit to house a legend on fays and enchanted realms?
Why Mount Sibyl?
Our thrilling enquiry is not over. We have unfolded the heavy chivalric layer which sheltered from view the inner, most genuine core of the Apennine Sibyl's legend. We have found Morgan le Fay and Sebile. But, still, we have not reached the true nucleus of the myth.
There is something more to it. Something sinister, something obscure which has magnetized all that mythical might, both literary and oral, onto that specific place of Earth: an Italian mountain, lost in the middle of the Apennines (Fig. 2).
We need to go further. We need to fully unfold the residual additions that still conceal the main, focal point of the legend of Mount Sibyl. The point from which it all began.
Our work is not finished yet. The mystery is not still solved. The enigma still lies there.
Because the legend of the Apennine Sibyl is not dead at all. We want to clutch her ultimate secret in our hands. We want to find out who she really is.
The hunt for the Sibyl of the Apennines is not over.
And we are now ready, as we will see in a further series of article we will soon publish, for the final, decisive step.
A step that will unveil the very nature, and the true semblance, of the Sibyl of the Apennines.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /27. L'enigma è ancora nascosto tra le montagne
Nel precedente articolo, abbiamo presentato le conclusioni del nostro lungo studio sulla vera origine della leggenda della Sibilla Appenninica.
I risultati mostrano come la Sibilla degli Appennini discenda da un'illustre categoria di fate rappresentate nell'ambito della Materia di Bretagna. Si tratta, con grande probabilità, di un adattamento dei personaggi di Morgana la Fata e Sebile, con insediamento di queste figure in una specifica ambientazione italiana, quella dei Monti Sibillini.
Una discendenza che pare presentarsi in modo addirittura tangibile se andiamo ad aprire le pagine di una delle più antiche versioni disponibili del "Guerrin Meschino", quella contenuta nel manoscritto n. MA297 conservato presso la Biblioteca Civica “Angelo Mai” a Bergamo. In questa versione, risalente al 1468, la Sibilla Appenninica non viene indicata con l'usuale parola italiana 'Sibilla', rinvenibile nelle successive edizioni a stampa, ma come «Sibilia»: un nome inusuale, la cui pronuncia italiana risulta essere significativamente simile a quella della parola francese 'Sebile' (Fig. 1).
Morgana, Sebile, Sibilia, Sibilla Appenninica. Una discendenza che certamente necessiterà di ulteriori approfondimenti e ricerche; nondimeno, pensiamo che il presente studio, autorevolmente confortato dalle analoghe conclusioni espresse in passato da Roger S. Loomis, possa indicare la giusta direzione da seguire per giungere a una piena comprensione dell'antico mistero e dell'illustre tradizione concernente questa Sibilla italiana.
Eppure, questa non è affatto la fine della leggenda della Sibilla Appenninica.
Perché Morgana e Sebile, per quanto affascinanti queste figure possano essere, non sono sufficienti a spiegare il perché tutto questo sia avvenuto.
Il suo enigma, l'enigma della Sibilla degli Appennini, è tutto fuorché risolto.
Perché, ancora, non abbiamo potuto fornire una risposta a due fondamentali domande, le più difficili tra quelle che enunciammo all'inizio della nostra ricerca: è possibile che la Sibilla sia sorta da una particolare condensazione relativa, in modo specifico, alla natura di questi luoghi, i Monti Sibillini? È forse nato qui il nucleo originale della leggenda della Sibilla Appenninica, trattandosi, per qualche motivo, di un genere di luogo particolarmente speciale?
Come abbiamo avuto modo di illustrare, sappiamo per certo che la Sibilla degli Appennini è stata modellata attorno a temi leggendari aggiuntivi tratti da altri racconti e altre storie, in particolare dalla Materia di Bretagna e dal ciclo arturiano. Ma perché questi racconti e queste storie hanno deliberato di stabilirsi proprio qui, tra i Monti Sibillini?
Morgana la Fata, Sebile l'incantatrice, il ponte magicamente sottile, le porte eternamente sbattenti, il sito oracolare, le visite a un regno sotterraneo e nascosto: perché tutti questi straordinari elementi narrativi sono venuti a stabilirsi precisamente in questo punto, perduto tra i contrafforti montuosi degli Appennini italiani?
Nessuno studioso ha mai affrontato questo problema. Non troviamo risposte, a questo proposito, né in Roger S. Loomis, né in Lucy Ann Paton, Ferdinando Neri o presso alcun altro studioso. Nessun articolo scientifico è stato mai dedicato a questa fondamentale questione.
Il leggendario materiale narrativo appartenente alla tradizione di Morgana e delle Sibille avrebbe ben potuto insediarsi in qualsiasi altra località in Italia o altrove, depositando la propria carica mitica in un luogo differente, in modo tale da stabilire una nuova leggenda, relativa a un incantato paradiso, in Toscana, o in Piemonte, o in Sicilia, come in effetti è accaduto per il Monte Etna, o anche in Sardegna. Altrove. Ovunque.
Ma la leggenda si è stabilita esattamente qui: proprio nel mezzo dei Monti Sibillini.
Quale sorta di magnetica attrazione ha attirato i magici racconti del ciclo arturiano sulla sinistra vetta del Monte Sibilla? Per quale genere di fatale combinazione la Materia di Bretagna è venuta ad arrestarsi, come una sfera carambolante sul disco di una roulette, precisamente nella posizione segnata da questa isolata montagna italiana?
La terra d'Italia è popolata da centinaia e centinaia di picchi e vette montuose: perché questi non si sono rivelati sufficientemente adatti a ospitare una leggenda di fate e incantati reami?
Perché proprio il Monte Sibilla?
La nostra emozionante inchiesta non è affatto finita. Abbiamo rimosso le pesanti stratificazioni cavalleresche che occultavano alla vista il nucleo più profondo, più autentico della leggenda della Sibilla Appenninica. Abbiamo trovato Morgana la Fata e Sebile. Ma, ancora, non abbiamo raggiunto il vero nucleo del mito.
C'è qualcosa di più. Qualcosa di sinistro, qualcosa di oscuro che ha magnetizzato tutta questa potenza narrativa mitica, sia letteraria che orale, attirandola verso questo specifico punto della Terra: una montagna d'Italia, perduta nel mezzo degli Appennini (Fig. 2).
È necessario procedere oltre. Dobbiamo sfogliare completamente i rimanenti livelli addizionali che ancora nascondono il punto focale, primario della leggenda del Monte Sibilla. Il punto dal quale tutto è cominciato.
Il nostro lavoro non è ancora finito. Il mistero non è ancora risolto. L'enigma si trova ancora lì.
Perché la leggenda della Sibilla Appenninica non è affatto morta. Vogliamo afferrare con le nostre mani il suo segreto più definitivo. Vogliamo sapere chi essa realmente sia.
La caccia alla Sibilla Appenninica non è terminata.
E siamo ora pronti, come vedremo in una prossima serie di articoli che andremo presto a pubblicare, per il passo decisivo e finale.
Un passo che ci svelerà la reale natura, e il vero sembiante, della Sibilla degli Appennini.
13 Feb 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /26. Is the Apennine Sibyl dead?
When we started our daring search into the true origin of the Apennine Sibyl's legend, we wrote that we wanted to remove all literary additions conferred to her legendary tale throughout the centuries, and take off all the concentric layers and sheltering leaves that encircle and suffocate the true mythical nucleus, with the aim of cleaning her figure by wiping out the narrative elements that have been added with time to her story, borrowed from several different mythical tales.
We wanted to dispel the impenetrable mist that had accompanied her sudden appearance at the beginning of the fifteenth century, when two authors, Andrea da Barberino and Antoine de la Sale, wrote in their works of a Sibyl who had her abode in a secluded mountainous region of central Apennines in Italy.
Now, such literary additions and concentric layers and sheltering leaves have been wiped out, together with the inscrutable fog which concealed the real lineage of that Sibyl. A Sibyl that comes out from a long, antique tradition concerning Morgan le Fay and the chivalric tales which are part of the Matter of Britain.
We are now able to provide an answer to many (but not to all, as we will see below) of the questions we had posed at the very beginning of our investigation.
Did the tradition concerning an Apennine Sibyl living beneath Mount Sibyl actually emerge, as a fully original, native tale, from the Italian Sibillini Mountain Range? The answer is no, as the Sibyl shows a marked, unmistakable influence from the world of chivalric literature and lore, and a specific lineage from a main character belonging to the Arthurian Cycle, Morgan le Fay.
Was the Apennine Sibyl's legend truly generated in the region of Mount Sibyl, or was it transplated there from some different cultural areas and geographic territories into that specific, particular spot of land? It is positively so, as we saw that this Sibyl is the final outcome of an evolutionary process which settled eventually down in the area that is known today under the name of Sibillini Mountain Range.
Has the Apennine Sibyl really journeyed a long way across the centuries and through that inscrutable fog, after having started her travel in ancient times and having remained unseen until she emerged in the fifteenth century? In a sense, yes. However, the travelling Sibyl was not from the Apennines, instead she was a character belonging to both a literary and oral tradition whose ancestor was Morgan le Fay, a figure in close association with Sibyls and subsequently transformed into a fay called Sebile. Because Morgan le Fay and her mate have left lots of footprints throughout the entire history of chivalric literature, showing significant similarities between them and the Apennine Sibyl: a number of scattered, interspersed literary evidencies which totally confirm this scenario.
Was the Apennine Sibyl the most recent product of some strange condensation of that thick, whirling mist, in which her myth took form not in antiquity, but just very close to the beginning of the fifteenth century? Yes, to some extent. The Apennine Sibyl is probably born from oral tradition somewhere in the fourteenth century, and not much afterwards she has been represented and has stabilized herself in literary works such as “Guerrino the Wretch” and “The Paradise of Queen Sibyl”. Nonetheless, the whirling mist from which she originated alreedy contained, in previous centuries, her foremothers, Morgan and Sebile.
And, at this point of our enquiry, we can re-draw the picture we already proposed at the very start of our investigation, by filling up the voids in the cloud with the insertion of the travelling footprints of the Sibyl (Sibilla, Sebile, Sibillen, Sebille), crossing the centuries and emerging finally in the early fifteenth century, with the works by Andrea da Barberino and Antoine de la Sale: a long journey, at the end of which the Apennine Sibyl stands out from the darkness of history with all her splendour (see figure).
However, is that all?
Are we treading a path that is leading to a sad final destination merely consisting in a sorrowful 'downgrade' of the Apennine Sibyl, from an independent, original myth to a sheer adaptation of legends developed elsewhere?
Are we just saying that this Sibyl is a sort of 'fake' myth, now stripped off of all its shining chivalric package, and exposed in its nakedness as an empty container of a legendary tale which belongs to other countries, other people, other illustrious mythical traditions, namely those pertaining to the Matter of Britain?
Is that the end of the legend of a Sibyl of the Apennines?
No. This is not the end. An enigma still thrives, with a dark, sinister glow, over the remote peaks of the Sibillini Mountain Range. At the very center of Italy.
As we will see in the next, conclusive article.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /26. È questa la fine della leggenda della Sibilla Appenninica?
Quando abbiamo cominciato la nostra ardita ricerca sulla vera origine della leggenda della Sibilla Appenninica, scrivemmo che saremmo andati a rimuovere tutte le sovrastrutture letterarie che sono andate sovrapponendosi al racconto sibillino nel corso dei secoli, eliminando tutti quegli strati concentrici che ne avviluppano e ne soffocano il fondo mitico più vero, con l'obiettivo di liberare la sua figura spazzando via gli elementi narrativi che sono stati aggiunti nel tempo alla sua storia, elementi che sono stati tratti da differenti racconti leggendari.
La nostra intenzione era quella di disperdere quell'impenetrabile nebbia che aveva accompagnato la sua repentina apparizione all'inizio del quindicesimo secolo, quando due diversi autori, Andrea da Barberino e Antoine de la Sale, narrarono nelle rispettive opere di una Sibilla dimorante in una remota regione montuosa dell'Appennino centrale, in Italia.
Ora, queste sovrastrutture letterarie e strati concentrici e schermi narrativi sono stati spazzati via, insieme a quella nebbia imperscrutabile che occultava la vera discendenza di quella Sibilla. Una Sibilla la cui origine è rintracciabile in un'antica tradizione concernente Morgana la Fata e i racconti cavallereschi che sono parte della Materia di Bretagna.
Siamo ora in grado di fornire una risposta a molte delle domande (anche se non a tutte, come vedremo più oltre) che avevamo avuto modo di delineare all'inizio della nostra investigazione.
La tradizione relativa a una Sibilla Appenninica, vivente al di sotto del Monte Sibilla, costituisce un racconto nativo, totalmente locale, originatosi nel territorio dei Monti Sibillini? La risposta è no, in quanto la Sibilla manifesta il segno marcato, inequivocabile dell'influenza prodotta dal mondo della letteratura e delle tradizioni cavalleresche, e una specifica discendenza da uno dei principali personaggi appartenenti al ciclo arturiano, Morgana la Fata.
Si tratta di una leggenda realmente generatasi all'interno della zona del Monte Sibilla, o proviene essa, invece, da un trasferimento in questi luoghi di un racconto originatosi in aree culturali differenti e in una diversa area geografica, successivamente adattato e trapiantato in questa specifica, peculiare porzione di territorio? È certamente così, avendo avuto modo di illustrare come questa Sibilla costituisca il risultato finale di un processo evolutivo che si è infine stabilito nell'area conosciuta oggi sotto il nome di Monti Sibillini.
Veramente quella Sibilla ha affrontato un lungo cammino attraverso i secoli e oltre quell'impenetrabile nebbia, dopo avere iniziato il proprio viaggio nell'antichità ed essersi mantenuta completamente invisibile, finché non è emersa nel quindicesimo secolo? In un certo senso, la risposta è affermativa. Ma quella Sibilla, in viaggio nel tempo, non proveniva dagli Appennini, trattandosi invece di un personaggio facente parte di una tradizione, sia letteraria che orale, il cui progenitore è Morgana, una figura strettamente connessa alle Sibille e successivamente trasformatasi in una fata chiamata Sebile. Perché Morgana la Fata e la sua compagna hanno lasciato una grande quantità di impronte lungo tutta la storia della letteratura cavalleresca, mostrando significative somiglianze tra di esse e con la stessa Sibilla Appenninica: una molteplicità di sparse, variegate evidenze letterarie che confermano totalmente questo scenario.
È possibile che la Sibilla costituisca il più recente risultato di qualche strana condensazione di quella nebbia, così fitta, così vorticante, nella quale il suo mito abbia potuto prendere forma non nell'antichità, ma, invece, non molto lontano nel tempo, poco prima dell'inizio del quindicesimo secolo? Sì, almeno parzialmente. La Sibilla Appenninica è scaturita, con grande probabilità, da una tradizione orale esplicatasi nel corso del quattordicesimo secolo, per poi essere rappresentata e trovare una propria stabilità in opere letterarie quali "Guerrin Meschino" e "Il Paradiso della Regina Sibilla". Nondimeno, la nebbia vorticante dalla quale essa si è originata conteneva già, nei secoli precedenti, le sue antecedenti, Morgana e Sebile.
E, a questo punto della nostra ricerca, possiamo accingerci a ridisegnare l'immagine che avevamo proposto all'inizio della nostra investigazione, riempiendo i vuoti nella nebbia con l'inserimento delle impronte in cammino lasciate dalla Sibilla (Sibilla, Sebile, Sibillen, Sebille), in viaggio attraverso i secoli ed emergente finalmente al principio del quindicesimo secolo, con le opere di Andrea da Barberino e Antoine de la Sale: un lungo itinerario, al termine del quale la Sibilla Appenninica si profila in tutto il suo splendore contro l'oscurità della storia (vedere figura).
Eppure, possiamo dire che questo sia tutto?
Stiamo forse percorrendo un sentiero che ci condurrà verso una triste destinazione finale, consistente meramente in un increscioso, imbarazzante declassamento della Sibilla Appenninica, da mito originale e indipendente a banale adattamento di leggende sviluppatesi altrove?
Stiamo forse affermando che questa Sibilla sia una sorta di mito 'fasullo', ora che esso è stato spogliato di tutto il suo scintillante apparato cavalleresco, ed esposto in tutta la sua nudità quale vuoto contenitore di un racconto leggendario che appartiene ad altre nazioni, altre genti, altre illustre tradizioni mitiche, con particolare riferimento a quelle concernenti la Materia di Bretagna?
È forse questa la fine della leggenda della Sibilla Appenninica?
No. Non è affatto la fine. Un enigma vibra ancora, con il suo oscuro, sinistro bagliore, sui remoti picchi dei Monti Sibillini. Nel centro dell'Italia.
Come vedremo nel prossimo e conclusivo articolo.
12 Feb 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /25. The Sibyl of the Apennines and her lineage from King Arthur's fairy sister
In 1959, Roger Sherman Loomis wrote a fundamental essay, “Morgain la Fée in oral tradition”, which has remained substantially unknown to the various Italian researchers who have been investigating into the myth of the Apennine Sibyl in the subsequent decades, as it is almost never quoted in the books and papers issued in Italy on the subject since its first publication (Fig. 1).
This is a most exciting piece of scientific inference produced by a great, knowledgeable scholar, an utmost authority in the Matter of Britain. And his conclusions are perfectly identical to the results obtained by the author of this paper, who discovered Loomis' article towards the end of his own search, and therefore was not influenced by the position expressed by the illustrious scholar on the subject.
Roger S. Loomis totally corroborates the very same framework we have been drawing in the present paper: the origin of the myth of an Apennine Sibyl is not to be retrieved in the Italian Apennines, as this Sibyl is the product of a literary transplant of the legend of Morgan le Fay, and the enchantress Sebile, into a specific Italian setting, that of the Sibillini Mountain Range.
«The extraordinary account», writes Loomis, «given early in the fifteenth century by Andrea da Barberino of the visit of Guerino il Meschino to the abode of the fay Alcina [the name replacing the Sibyl in the 1689 edition - editor's note] [...] was actually an elaboration of a visit to the abode of Morgain la Fée. [...] Though the geographical setting on a mountain near Norcia in the central Apennines was described with accuracy, the main theme must have been taken from some version of the visit to Morgain's enchanted palace» (Fig. 2).
So, according to Loomis, who perfectly knew all the literary excerpts we have proposed to the reader's attention in our present work, the Apennine Sibyl is just an offspring of a more illustrious literary tradition concerning Morgan le Fay. We totally agree with Loomis on that, and we also agree to his further elaboration on the issue (Fig. 3):
«In spite of the obvious changes and literary embellishments, the account of Guerino's visit to the Sibyl's sensual Paradise is manifestly derived from some version of Morgain's faery Paradise not unlike that described in "Claris et Laris". [...] Alcina's nature is best explained, then, as uniting characteristic features of Morgain and the Sibyl».
Furthermore, Loomis clearly shows the correct way to rebut a trivial criticism that might be opposed to the substantial identification of the Apennine Sibyl with Morgan le Fay: how can an Arthurian cycle's traditional character have moved from Old Britain as far as central Italy?
The answer is quite natural: this is exactly what occurred in actual reality as attested by unquestionable proofs, well-known among scholars (Fig. 4):
«If it seems difficult to believe that the legends of Morgain and her enchanted valley were transferred to a mountain in central Italy, let us remember that the tradition of Arthur's survival in the blissful isle of Avalon, over which Morgan presided, was carried even farther and was attached to Mount Etna».
So, the Arthurian legends lived and thrived among readers and oral audiences in Italy, as is attested by the very fortune of Andrea da Barberino's chivalric romances, written in Italian for the enjoyment of people living in the Italian peninsula. And in Italy this diffusion process was already active well before Andrea began to write his works, on an oral, uncheckable basis, as Loomis effectively points out (Fig. 5):
«There must have been a prodigious circulation of tales about the fairy queen by word of mouth, partly in elaborate forms devised by professional entertainers, and partly in the simpler forms of local gossip and travelers' yarns», as it would be «to fly in the face of the evidence to deny the power and persistence of oral tradition in fashioning the Matière de Bretagne».
The Arthurian Cycle, moving from Britain and travelling through France and Germany, was circulating across Italy in the form of both chivalric romances and oral storytelling, played in public squares, at the corners of streets, in village fairs and open-air markets, during town festivals,
and even in the occasion of the most important religious festivities.
«Whether Andrea da Barberino himself», continues Loomis, «was responsible for this fusion of the Sibyl and Morgain into one person and for localizing Morgain's paradise in the Monte della Sibilla, it is impossible to say [...] We see, too, from the testimony of contemporary writers that these developments were largely an oral phenomenon, and that it was only after the legends had been the subject of popular rumor and perhaps professional recitation that literary men set them down and elaborated them on parchment» (Fig. 6).
Roger S. Loomis could not have been more limpid than that. If we want to comprehend the literary origin of a figure such as the Apennine Sibyl we must turn to Morgan le Fay and the world in which her tradition has undergone centuries of elaborations, modifications and adaptations. A world made of chivalric romances and poems, professional storytellers who travelled from one place to another across Europe, and a mighty oral process by which the Matter of Britain has been handed over to a countless number of different communities, cultural settings and local geographical environments, with a continual transformation of themes and traits under a common narrative framework, fully capable of adapting itself to the needs, tastes and expectations of each single audience.
So, this long phase of our search into the true core of the legend of the Apennine Sibyl is nearly completed. However, we still need to say a few final words.
A few words, which are needed to end this thrilling, amazing journey into the world of chivalry. And to start a new extraordinary search which will bring us at a fingertip's distance from the very nature of the sibilline lore. Which is still to be unveiled.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /25. La Sibilla degli Appennini e la sua derivazione dalla maga sorella di Re Artù
Nel 1959, Roger Sherman Loomis scrisse un saggio fondamentale, "Morgana la Fata nella tradizione orale" ("Morgain la Fée in oral tradition"), che è rimasto sostanzialmente ignoto ai vari studiosi italiani che si sono occupati, nei decenni successivi, del mito della Sibilla Appenninica, risultando raramente citato nei volumi e negli articoli usciti in Italia sull'argomento successivamente alla sua pubblicazione (Fig. 1).
Si tratta di un emozionante esempio di riflessione scientifica prodotta da un grande ricercatore e specialista del settore, una delle massime autorità per quanto concerne la Materia di Bretagna. E le sue conclusioni sono perfettamente identiche ai risultati ottenuti dall'autore del presente articolo, pur se il contributo di Loomis è stato da me reperito solamente al termine della mia ricerca, che dunque non ha subìto l'influenza, in qualsivoglia senso, della posizione espressa dall'illustre e autorevole studioso.
Roger S. Loomis conferma totalmente il medesimo scenario che abbiamo inteso tratteggiare nel presente articolo: l'origine del mito di una Sibilla Appenninica non deve essere ricercata tra gli Appennini italiani, essendo la Sibilla il prodotto di un trapianto letterario della leggenda di Morgana la Fata, e dell'incantatrice Sebile, all'interno di una specifica ambientazione italiana, quella dei Monti Sibillini.
«Il racconto straordinario», scrive Loomis, «prodotto all'inizio del quindicesimo secolo da Andrea da Barberino a proposito della visita di Guerrino il Meschino presso la dimora della fata Alcina [il nome che rimpiazzerà quello della Sibilla nell'edizione del 1689 - nota dell'autore] [...] consiste sostanzialmente nell'elaborazione di una visita presso la dimora di Morgana la Fata. [...] Benché lo scenario geografico posto su di una montagna in prossimità di Norcia negli Appennini centrali sia descritto con accuratezza, il tema principale deve essere stato tratto da qualche versione di una visita all'incantato palazzo di Morgana» (Fig. 2).
Dunque, secondo Loomis, il quale conosceva perfettamente tutti i brani letterari che abbiamo avuto modo di proporre all'attenzione del lettore nella presente opera, la Sibilla Appenninica non è che il frutto di una tradizione letteraria assai illustre, relativa a Morgana la Fata. Ci troviamo quindi, su questo punto, in pieno accordo con Loomis, concordando inoltre con il grande studioso anche in merito alla sua ulteriore riflessione su questo tema (Fig. 3):
«Malgrado gli ovvi cambiamenti e gli abbellimenti letterari, il resoconto della visita di Guerrino al sensuale paradiso della Sibilla è in tutta evidenza derivato da una qualche versione del Paradiso fatato di Morgana, non dissimile da quello descritto in "Claris et Laris". [...] La natura di Alcina è ben spiegabile, dunque, in quanto racchiude aspetti caratteristici di Morgana e della Sibilla».
Inoltre, Loomis mostra come rigettare nel modo più corretto una prevedibile critica che potrebbe essere opposta nei confronti di una sostanziale identificazione della Sibilla Appenninica con Morgana: come è possibile che un personaggio tradizionale appartenente al ciclo arturiano abbia potuto trasferirsi dall'antica Britannia fino al centro dell'Italia?
La risposta giunge in modo assai naturale: si tratta esattamente di ciò che è accaduto nella realtà dei fatti, così come attestato dalle indiscutibili evidenze ben note a tutti gli studiosi (Fig. 4):
«Se può sembrare difficile convincersi come le leggende concernenti Morgana e la sua valle incantata possano avere viaggiato fino a un monte dell'Italia centrale, non dimentichiamoci del fatto che la tradizione della sopravvivenza di Artù nella felice isola di Avalon, sulla quale è Morgana a governare, è riuscita ad arrivare addirittura più lontano, fino a trovarsi associata al Monte Etna».
E così le leggende arturiane hanno vissuto e prosperato tra i lettori e il pubblico di spettatori d'Italia, così come attestato dalla stessa fortuna del romanzi cavallereschi rimaneggiati da Andrea da Barberino, redatti in lingua italiana per l'intrattenimento di uomini e donne che vivevano nella nostra penisola. E, in Italia, questo processo di diffusione era già attivo molto tempo prima che Andrea da Barberino cominciasse a vergare le proprie opere, grazie a una incontenibile irradiazione su base orale, così come efficacemente rimarcato da Loomis (Fig. 5):
«Deve essersi verificata una prodigiosa circolazione di racconti a proposito della magica regina, trasportati di bocca in bocca, in parte per mezzo di forme complesse elaborate da intrattenitori professionali, e in parte nelle forme più semplici della chiacchiera locale e della narrazione dei viaggiatori», perché sarebbe «andare contro ogni evidenza il voler negare la potenza e la persistenza della tradizione orale nel plasmare la Materia di Bretagna».
Il ciclo arturiano, muovendo dalla Britannia e viaggiando attraverso Francia e Germania, circolava attraverso l'Italia nella forma sia di romanzi cavallereschi che di racconti e narrazioni orali, rappresentati nelle pubbliche piazze, agli angoli delle strade, durante le fiere e i mercati, in occasione delle feste di paese e nella ricorrenza delle più importanti celebrazioni religiose.
«Se sia stato Andrea da Barberino», prosegue Loomis, «il responsabile di questa fusione tra Sibilla e Morgana per generare un singolo personaggio, e della localizzazione del paradiso di Morgana nel Monte Sibilla, non è dato sapere [...] Sappiamo anche, dalla testimonianza resa disponibile da scrittori di quel tempo, che questi sviluppi costituivano un fenomeno largamente orale, e che solamente dopo che le leggende erano state l'oggetto della voce popolare e, forse, di rappresentazioni professionalmente eseguite, solo successivamente gli uomini di lettere le ponevano per iscritto e le rielaboravano su pergamena» (Fig. 6).
Roger S. Loomis non avrebbe potuto esprimersi in modo più chiaro di questo. Se vogliamo comprendere l'origine letteraria di una figura come quella della Sibilla Appenninica, dobbiamo rivolgerci a Morgana la Fata e al mondo all'interno del quale la sua tradizione è stata oggetto di secoli di elaborazioni, trasformazioni e adattamenti. Un mondo fatto di romanzi e poemi cavallereschi, cantastorie di professione che si spostavano da un luogo all'altra dell'Europa, e un potente procedimento creativo orale per mezzo del quale la Materia di Bretagna è transitata attraverso un numero infinito di comunità, ambienti culturali e ambiti geografici locali differenti, subendo una continua trasformazione nei temi e nei tratti pur rimanendo all'interno di un medesimo scenario narrativo, pienamente in grado di adattare se stesso ai bisogni, ai gusti e alle aspettative di ogni genere di pubblico.
Ormai, questa lunga fase della nostra ricerca del nucleo più vero della leggenda della Sibilla Appenninica è quasi completata. Nondimeno, è necessario pronunciare ancora alcune parole finali.
Parole conclusive, per terminare questo emozionante, straordinario viaggio nel mondo della cavalleria. E per dare inizio a una nuova sorprendente investigazione, che ci porterà fino a toccare, con la punta delle nostre dita, la natura più profonda della leggenda sibillina. Che deve, ancora, essere svelata.
11 Feb 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /24. The Apennine Sibyl, a shadow of Morgan le Fay
In our previous series of article “The Apennine Sibyl: a journey into history in search of the oracle”, we wrote that «the Apennine Sibyl, who suddenly popped up during the fifteenth century in the works by Andrea da Barberino and Antoine de la Sale, seems to have originated almost from nothing, as a sailing ship emerging all of a sudden from the thick mists which enshroud the sea, with all its masts and yards and rigs shining with bright, ominous light» (Fig. 1).
However, this occurred because at the beginning of our investigation we were looking for potential footsteps left through literary history by a Sibyl of the Apennines, and there are no such footsteps, because no Apennine Sibyl ever existed in both the medieval and Roman ages.
Instead, we found lots of traces, plenty of footsteps, and a true wealth of clear and manifest evidences that the legendary tale of the Apennine Sibyl descends in actual reality from an earlier literary tradition: that of Morgan le Fay, a prominent figure of the chivalric Matter of Britain, whose lore is closely connected to classical Sibyls and their skills as sorceresses and necromancers, with the personification of this connection embodied by a character named Sebile, a close intimate of Morgan in many chivalric poems and romances and often fully interchangeable with Arthur's sister in her role as dark queen of magically enchanted places.
So we can confidently repeat our momentous statement: no Sibyl has ever resided beneath Mount Sibyl in Italy.
The Apennine Sibyl is the result of a transplant of a different, extraneous legend into a specific Italian mountain, set amid the central Apennines in the land of Italy. An adaptation of British, French and German lore concerning Morgan le Fay and her friend Sebile, a distant descendant of classical Sibyls, to a peculiar place lost amid the remote fastnesses of what we call today the Sibillini Mountain Range.
The Apennine Sibyl is nothing more than one of the additional layers which conceal the true origin of the Italian legend. A layer that needed to be removed.
Just a crazy idea? A whimsical surmise, only supported by flimsy resemblances between two different literary characters - Morgan le Fay and the Apennine Sibyl - who have nothing to do one another?
Is all that a mere fancy proposed by an imaginative researcher with a nice, yet totally unfounded paper?
The answer is no. Because many other professional scholars have elaborated on that same idea: the Apennine Sibyl, as the product of a different tradition, to be retrieved amid earlier chivalric romances, in connection with the literary traits typically associated with Morgan le Fay, as reported by Maria Luciana Buseghin in her comprehensive essay “The Last Sibyl” (“L'Ultima Sibilla”) published in 2012.
Already in 1903, Lucy Ann Paton, in her “Studies in the fairy mythology of Arthurian romance”, wrote that «as a rule she [Sebile the enchantress] is merely a shadow of Morgain», and that both “Guerrino the Wretch” and “The Paradise of Queen Sibyl” are «sources [which] supplement each other, Antoine's representing purer Celtic material, Andrea's preserving more distinctly the Sibylline character of the fay [...] Both sources show tendencies that are often displayed in mediaeval fairy lore [... with] the merging of Celtic and classical tradition in popular story» (Fig. 2).
The Italian scholar Ferdinando Neri, in his “The Italian traditions of the Sibyl” (1913), writes that «the Sibyl's paradise must be linked to the enchanted lands [...] In chivalric poems, this is the land of fairies, the realm of Morgan, Avalon [...] Sibyl: that was a name of a fairy, always mentioned in conjunction with Morgan [in other chivalric works]» [in the original Italian text: «Il paradiso della Sibilla deve allora porsi a riscontro delle terre incantate [...] Nella poesia cavalleresca è la terra di féerie, il regno di Morgana, Avalon [...] Sibilla: questo era un nome di fata, e sempre insieme con Morgana appare [in varie opere cavalleresche]»] (Fig. 3).
However, the most significant confirmation to the model we are currently proposing as to the chivalric origin of the Apennine Sibyl is provided by a great scholar and illustrious professor, one of the most prominent authorities in the literary tradition of Middle Ages, the Matter of Britain and the Arthurian cycle.
His name is Roger S. Loomis (Fig. 4). And he wrote a scientific paper in which he stated with exact precision this same point: the Apennine Sibyl is the product of an adaptation of Morgan le Fay's tradition and lore to a specific location set in the central Apennines of Italy.
Let's see in the next article what Professor Loomis, a famed, celebrated member of the Columbia University, had to say about “Guerrino the Wretch” and “The Paradise of Queen Sibyl”. And about the Sibyl of the Apennines.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /24. La Sibilla Appenninica, ombra di Morgana
Nella nostra precedente serie di articoli "Sibilla Appenninica: un viaggio nella storia alla ricerca dell'oracolo", scrivemmo che «la Sibilla Appenninica, apparsa all'improvviso, nel quindicesimo secolo, nelle opere di Andrea da Barberino e Antoine de la Sale, parrebbe avere trovato origine in uno sconcertante nulla, come un veliero che emerga repentinamente dalle fitte nebbie che ammantano il mare, con tutti i suoi alberi e pennoni e sartiami sfavillanti di una luce splendidamente sinistra» (Fig. 1).
Ma questo è accaduto perché avevamo inizialmente indirizzato la nostra investigazione verso la ricerca delle possibili tracce lasciate, nella storia e nella letteratura, da una Sibilla degli Appennini; e queste tracce non esistono, perché nessuna Sibilla Appenninica è mai esistita né in epoca medievale, né in epoca classica.
Al contrario, ci siamo imbattuti in una moltitudine di tracce, in una grande quantità di impronte, in una messe di evidenze chiare e manifeste di come il leggendario racconto della Sibilla Appenninica scaturisca, in realtà, da una più antica tradizione letteraria: quella concernente Morgana la Fata, una figura primaria appartenente al mondo cavalleresco della Materia di Bretagna, la cui leggenda appare essere specificamente connessa alla Sibille classiche e alle loro abilità magiche e negromantiche, con una vera e propria personificazione di questo legame in un personaggio di nome Sebile, compagna di Morgana in diversi romanzi e poemi cavallereschi e spesso del tutto intercambiabile con la sorella di Artù nel ruolo di malvagia signora di luoghi magicamente incantati.
E dunque, possiamo ribadire, con confidente determinazione, la nostra ardita ipotesi: nessuna Sibilla ha mai dimorato all'interno del Monte Sibilla, in Italia.
La Sibilla Appenninica è il risultato del trapianto di una diversa leggenda, estranea ai luoghi, in una specifica montagna italiana, posta al centro della dorsale appenninica che corre in terra d'Italia. Un adattamento di una tradizione inglese, francese e tedesca relativa a Morgana la Fata e alla sua compagna Sebile, una lontana discendente delle Sibille classiche, adattamento applicato a un peculiare sito perduto tra le creste dirupate di ciò che oggi identifichiamo con il nome di Monti Sibillini.
La Sibilla Appenninica, quindi, non è altro che una delle stratificazioni addizionali che nascondono e oscurano la vera origine della leggenda italiana. Uno strato che aveva necessità di essere rimosso.
Si tratta solamente di un'ipotesi delirante? Un'affermazione bizzarra, fondata meramente su inconsistenti somiglianze rilevate tra due diverse figure letterarie - Morgana la Fata e la Sibilla Appenninica - che nulla hanno in realtà a che vedere l'una con l'altra?
Stiamo solamente confrontandoci con una vuota fantasticheria, proposta da un ricercatore un po' troppo immaginifico nell'ambito di un articolo certamente interessante, ma del tutto infondato?
La risposta è no. Perché molti altri studiosi, anche assai illustri, hanno avuto modo di esaminare questa stessa idea: la Sibilla Appenninica, come prodotto di una diversa tradizione, da rinvenirsi tra romanzi cavallereschi ben più antichi, in relazione a tratti letterari tipicamente associati a Morgana, così come riportato da Maria Luciana Buseghin nel suo esaustivo saggio "L'Ultima Sibilla", pubblicato nel 2012.
Già nel 1903, Lucy Ann Paton, nel volume “Studies in the fairy mythology of Arthurian romance”, ebbe occasione di scrivere che «generalmente [Sebile l'incantatrice] non è che l'ombra della stessa Morgana», e che sia "Guerrin Meschino" che "Il Paradiso della Regina Sibilla" costituiscono «fonti [che] si sostengono l'una con l'altra, Antoine de la Sale ponendo in scena materiale di origine puramente celtica, e Andrea da Barberino conservando in modo più marcato il carattero sibillino della fata [...] Entrambe le fonti mostrano tendenze che sono spesso presenti nelle tradizioni leggendarie medievali relative alle fate [... con] l'inclusione di elementi tradizionali sia celtici che classici nei racconti popolari» (Fig. 2).
Lo studioso italiano Ferdinando Neri, nel suo "Le tradizioni italiane della Sibilla" (1913) scrive che «il paradiso della Sibilla deve allora porsi a riscontro delle terre incantate [...] Nella poesia cavalleresca è la terra di féerie, il regno di Morgana, Avalon [...] Sibilla: questo era un nome di fata, e sempre insieme con Morgana appare [in varie opere cavalleresche]» (Fig. 3).
Ma la conferma più significativa del modello che stiamo proponendo in relazione all'origine cavalleresca della Sibilla Appenninica ci viene fornita da un celebre studioso e illustre professore, una delle maggiori autorità nel campo della tradizione letteraria del Medioevo, della Materia di Bretagna e del ciclo arturiano.
Il suo nome è Roger S. Loomis (Fig. 4). Egli fu l'autore di un articolo scientifico nel quale viene affermato, con esatta precisione, questo stesso punto: la Sibilla Appenninica è il prodotto di un adattamento della tradizione leggendaria concernente Morgana la Fata a una specifica località posta tra gli Appennini, nel centro dell'Italia.
Andiamo dunque a vedere, nel prossimo articolo, ciò che il Professor Loomis, eminente studioso della Columbia University, ebbe a scrivere a proposito di "Guerrin Meschino" e del "Paradiso della Regina Sibilla". E in merito alla Sibilla degli Appennini.
9 Feb 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /23. A recap and a momentous statement on the Sibyl of the Apennines
Time has come for us to recap the long journey we have made across many centuries in search of the medieval roots of our fifteenth-century Apennine Sibyl, and to summarise the main findings we have retrieved by perusing the many ancient manuscripts of the illustrious chivalric romances and poems of the Middle Ages.
We started our travel after having ascertained, in a previous paper (“The Apennine Sibyl: a journey into history in search of the oracle”) that no reference to a Sibyl of the Apennines can be found in both medieval and Roman literary traditions: no author, no romance, no chronicle, no ancient essay provides the least mention of a Sibyl who might have had her oracular site in the mountainous fastnesses of what we call today the Sibillini Mountain Range, set in the portion of the Apennines which runs through central Italy, beteween the provinces of Umbria and Marche (Fig. 1).
This is reason for which the Apennine Sibyl seems to have popped up from a puzzling void at the beginning of the fifteenth century: no hint of her presence is available before two fundamental works first mentioning her existence were written, Andrea da Barberino's “Guerrino the Wretch” and Antoine de la Sale's “The Paradise of Queen Sibyl”.
Having determined that, we have moved from a different starting point, by establishing a new assumption: the very nature of the Apennine Sibyl's legend appears to be veiled and shielded from sight owing to a series of narrative additions and layers, which have been attached to the true essence of the sibilline myth in the Middle Ages, the centuries that precede that fifteenth century which saw the actual appearance of the Sibyl of the Apennines. We have to take all such disguising layers out if we want to behold and understand what the legend of the Apennine Sibyl really is.
The first clues that hinted to that process were the magical bridge (Fig. 2) and doors which were staged by Antoine de la Sale in his famous account of a visit to the Sibyl's cave: the two literary elements were taken from different, much more antique traditions, and included integrally in his narrative, as we have shown in previous dedicated papers (“Antoine de la Sale and the Magical Bridge Concealed beneath Mount Sibyl” and “The Paradise of Queen Sibyl - The Literary Truth about the Magical Doors Set beneath Mount Sibyl").
Then, we found other clues, though pertaining to a different aspect of the concealing layers we intend to remove: we found a number of narrative elements added to “Guerrino the Wretch” that seem to have been taken from earlier chivalric romances, none of them pertaining to stories set in the Sibillini Mountain Range.
For instance, in "Huon d'Auvergne" we found an episode concerning an oracular, necromantic, utterly wise lady associated to a mountain, to whom the knight hero is introduced by three damsels, with the hero lured into sin by means of illusory visions of charming beauty. This is a passage that Andrea da Barberino knew very well, as he reported it in his own version of “Huon” written in Italian: “Ugone d'Avernia”. Did Andrea da Barberino copied his wicked Sibyl from the necromantic dame which appears in “Huon d'Auvergne” and his own “Ugone”? Maybe. And similarities are not over at all, we can find many other remarkable resemblances.
In "Huon of Bordeaux" and “Ugone d'Avernia” we retrieved a passage in which the main character makes a journey to Rome to have his sins forgiven, depicted with words which closely resemble similar descriptions contained in "Guerrino the Wretch" and the "The Paradise of Queen Sibyl" (Fig. 3). In “Ugone d'Avernia” and “Guerrino the Wretch” we stumbled upon a same episode involving the knight hero and one or more hermits, bearing a cross in their hands. In “Ugone d'Avernia”, the main character travels to the Italian province of Calabria to retrieve information on the location of the entryway to Hell: a questions similar to that posed by the knight hero in “Guerrino the Wretch”, in the very same province of Calabria, as to the location of the Sibyl's abode. In “Claris et Laris”, a fairy damsel helps the main characters out of the enchanted realm in which they are confined: the same kind of helping hand in similar occurrences is lent to both Guerrino in “Guerrino the Wretch” and Lancelot in “Le Livre de Lancelot del Lac”.
Furthermore, we found out, as scholars know well already, that the cave of the Apennine Sibyl is not the one and only example of a concealed place, sheltered from view and sometimes located underground or associated to a mountain, featuring beautiful gardens and magnificent palaces, and inhabited by a malign entity, often a sort of dark lady, often offering forbidden pleasures to visitors. We retrieved this narrative scheme in “Huon d'Auvergne”, “Ugone d'Avernia”, “The High History of the Holy Grail” and “Claris et Laris”.
So we decided that the time was ripe to head a new, daring course in our search for removing all additional leaves which conceal the true core of the Apennine Sibyl's legend (Fig. 4): we elevated the narrative scheme of the enchanted realm - a major feature in the legend - to the rank of potential candidate for removal, with clear signs that it might just be a suggestive yet extraneous medieval addition. With an extraneous Sibyl in it.
Because something even more astounding happens in that same "Huon of Bordeaux": in a magical castle guarded by an ever-moving device (reminiscent of Antoine de la Sale's magical doors) we find a young lady. Whose name is «Sebile», the ancient French word for Sibyl.
The coincidence is striking. Amid a plethora of medieval names potentially assigned to a dame living in an enchanted place, the unknown author of “Huon”selects exactly «Sibyl».
And something even more astounding occurs in “Claris et Laris”: the lady inside the enchanted castle, featuring the usual damsels and gardens and riches, is Morgan le Fay.
The final strike is provided by “Floriant et Florète”, another chivalric romance: here too there is a lady, and she rules an enchanted realm set beneath a mountain. An Italian mountain, Mount Etna, in Sicily. And - again - she is Morgan.
Morgan le Fay, King Arthur's sister. A main character of the Matter of Britain and the Arthurian cycle.
So we found ourselves with Sibyl, Sebile and Morgan (Fig. 5). All connected to enchanted realms, sharing similar characters.
Then we started investigating the figure and literary traits of Morgan le Fay, who has been the object of extensive research by modern scholars: she is an oracle, healer and magician described for the first time by Geoffrey of Monmouth, and associated with the enchanted island of Avalon, a land of blessing, in which according to the legend King Arthur is still living an eternal life.
Has Morgan anything to do with Sibyls?
Yes indeed. A direct relationship among them was established in the twelfth century by Hartmann von Aue in his poem “Erec”, in which he described Morgan le Fay as a most powerful, evil magician. Just as a powerful as a Sibyl, writes von Aue (possibly referring to the classical Cumaean, owing to the necromantic tradition associated with her).
And the findings are not over. We discovered that Morgan le Fay was linked not only to a mythical island, Avalon, but also to some sort of mythical mountain. It was Mount Etna in “Floriant et Florète”. And a mountain also appeared in Wolfram von Eschenbach's “Parzival”, in which Morgan le Fay is said to come from a special mountain, a fairy place, a «Land of Joy».
In addition to that, we found out that in “Lestoire de Merlin” and “Le Livre de Lancelot del Lac” Morgan le Fay was also described as a wise lady, a savant, and - a new unprecedented trait - as a most sensual woman, «the most ardent woman in all Britain, and the most lecherous».
We began to recognize that since the Middle Ages Morgan le Fay and the Apennine Sibyl had started to share many common features: the rule over an enchanted realm; a wide and extensive knowledge of magical arts; impressive necromantic powers; a special mountain associated with them; a tendency to sexual desire; a land of bliss or joy.
And the resemblances continued to pour over. Morgan le Fay also showed an inclination for confining knights in her enchanted abode, just like the Apennine Sibyl. In “Le Livre de Lancelot del Lac”, she casts a spell over a valley in which she holds knights in captivity: the «Valley of No Return», a blissful place in which life can be enjoyed, yet nonetheless a prison. A same place she creates in “Le Livre d'Artus”, in which knights can enter but are not allowed to leave.
But our amazing story goes even further. As Morgan le Fay seems gradually to converge towards the Apennine Sibyl, the Sibyl too appears to take some steps in the direction of Morgan's.
In “Le Livre de Lancelot del Lac”, we found right away a «Sebile» as a member of Morgan's party of fairies. And - again - it is said that both are the most powerful magicians in the world as to enchantments. Morgan, Sebile and a third fay forcibly abduct Lancelot to their castle, thus confirming their common bent to seize and confine knights so as to tempt them into sin.
And what does Lancelot tell the sensual ladies? He says «my name is Lancelot of the Lake, the Wretch». He spells the very same adjective which will be used by Andrea da Barberino as an epithet for his knight hero Guerrino (Fig. 6).
And «Sebile the enchantress» is staged again in the “Prophécies de Merlin”, always as a mate of Morgan le Fay; and again in “Huon of Bordeaux” within a magical castle guarded by magical metal devices; and again in «La Chanson d'Esclarmonde», together with Morgan, both living under a mountain in a realm of perfect joy and neverending youth.
We also find Sebile in a final, acrobatical transformation into Morgan herself: this happens in the “Wartburgkrieg”, which stages a Sibyl's child as the queen of the enchanted realm where King Arthur lives his eternal life, a role that is traditionally bestowed to Morgan le Fay.
And, in the “Wartburgkrieg”, the enchanted realm is set beneath a mountain.
We finally arrived to literary instances providing a clear, amazing evidence of an on-going combination between the figures of Morgan le Fay and the Apennine Sibyl, with a sort of full interchangeability between the two.
Just around fifty years before the appearance of a Sibyl of the Apennines, in “Ly Myreur des Histors” it's Morgan who presides over a «Castle of Leisure», containing all sorts of gardens, precious stones and treasures, and a court of charming, voluptuous damsels, looking for enjoyment and apparently untouched by sin; yet the whole place is the product of Morgan's enchantments, and everything there is nothing but illusion. There, knights lose all memories of the outer world, and live happily in eternal youth amid all sort of pleasures. And in “Perceforest”, it's Sebille who rules an invisible castle, sheltered from view by magic, from which nobody can enter nor leave, in which a knight can become forgetful of time and the outer world. And this Sebille's castle, by the way, is not in the Apennines, but in Britain.
Clues, hints, evidences, manifest connections: what we retrieved from the ancient manuscripts which hand over to us the literary tradition of Middle Ages' chivalry shows that Morgan le Fay, an antique, fundamental character of the Arthurian cycle, and the fifteenth-century Apennine Sibyl are closely connected to each other.
They are so strongly intertwined that one descends from the other.
The Apennine Sibyl appears to be the product of the transferral of Morgan le Fay's tradition and lore, already connected to Sibyls and Sebile, a fay and enchantress, from the Matter of Britain to a remote, mysterious peak raising amid the Italian Apennines.
Mount Sibyl has taken on itself an antique, much earlier legendary model outlined in previous centuries within a chivalric literary milieu, whose roots lie in ancient Britain, France and Germany (Fig. 7).
No Sibyl has ever resided beneath Mount Sibyl in Italy.
And that's the reason why, when querying the centuries which have preceded the fifteenth, no trace of an Apennine Sibyl can ever be found: there was no Apennine Sibyl to be spotted, neither in the Middle Ages nor in Roman times. The only visible traces were the ones left by Morgan and her fairy companion Sebile.
So, no Apennine Sibyl has ever existed.
Let's see in the next article whether this statement, of the utmost import and significance, can be finally and irrefutably confirmed, or not.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /23. Una ricapitolazione e una cruciale affermazione in merito alla Sibilla degli Appennini
È giunto il momento di ricapitolare e riassumere la lunga investigazione da noi condotta attraverso vari secoli alla ricerca delle radici medievali della nostra quattrocentesca Sibilla Appenninica, ripercorrendo le molte scoperte rinvenute sfogliando i numerosi manoscritti antichi contenenti gli illustri romanzi e poemi cavallereschi risalenti al Medioevo.
Abbiamo cominciato il nostro viaggio dopo esserci accertati, in una precedente serie di articoli ("Sibilla Appenninica: un viaggio nella storia alla ricerca dell'oracolo"), come nessun riferimento a una Sibilla degli Appennini possa essere reperito nel contesto della letteratura medievale e latina: nessun autore, nessuna opera, nessuna cronaca, nessun saggio antico riportano la benché minima menzione di una Sibilla che possa avere dimorato presso un sito oracolare posto tra le vette della catena montuosa che oggi identifichiamo come Monti Sibillini, posti in una fascia degli Appennini che corre attraverso l'Italia centrale, tra le regioni dell'Umbria e delle Marche (Fig. 1).
È questo il motivo per il quale la Sibilla Appenninica parrebbe essersi palesata solamente all'inizio del quindicesimo secolo, emergendo da un misterioso vuoto: nessun indizio della sua presenza è rinvenibile prima che fossero scritte le due opere fondamentali le quali, per prime, ne attestano l'esistenza, "Guerrin Meschino" di Andrea da Barberino e "Il Paradiso della Regina Sibilla" di Antoine de la Sale.
Dopo esserci accertati di ciò, abbiamo cominciato a muoverci adottando un differente punto di vista, e stabilendo una nuova ipotesi di lavoro: la natura più profonda della leggenda della Sibilla Appenninica sembrerebbe essere occultata e nascosta alla vista da una serie di stratificazioni e aggiunte narrative, le quali sarebbero andate ad ammantare la vera essenza del mito sibillino nel corso del Medioevo, vale a dire nel volgere delle diverse centinaia di anni che precedono quel quindicesimo secolo il quale ha visto la comparsa della Sibilla degli Appennini. È dunque necessario andare a rimuovere quelle stratificazioni se vogliamo veramente tentare di contemplare e comprendere ciò che la leggenda della Sibilla Appenninica risulti essere nella sua effettiva realtà.
I primi indizi che sembrano puntare proprio in questa direzione sono quelli relativi al magico ponte (Fig. 2) e alle porte incantate poste in scena da Antoine de la Sale nel suo famoso resoconto di una visita effettuata presso la grotta della Sibilla: questi due elementi letterari sono stati infatti tratti da tradizioni diverse, ben più antiche, e inseriti integralmente nella propria narrazione dall'autore provenzale, così come abbiamo avuto modo di dimostrare in precedenti articoli dedicati a questo argomento ("Antoine de La Sale e il magico ponte nascosto nel Monte della Sibilla" e "Il Paradiso della Regina Sibilla - La verità letteraria sulle magiche porte nascoste nel Monte Sibilla").
In seguito, abbiamo rinvenuto ulteriori indizi, benché relativi a un differente aspetto di quelle sovrapposizioni schermanti che abbiamo intenzione di rimuovere: abbiamo infatti reperito una serie di elementi narrativi, incorporati nel "Guerrin Meschino", che risultano essere stati tratti da precedenti romanzi cavallereschi, nessuno dei quali relativo a vicende ambientate tra i Monti Sibillini.
Ad esempio, nell'"Huon d'Auvergne" ci siamo imbattuti in un episodio concernente una dama oracolare, negromantica e dotata di grande saggezza, associata a una montagna, e innanzi alla quale il cavaliere-eroe viene introdotto da tre damigelle, per essere indotto nel peccato tramite illusorie visioni di affascinante bellezza. Si tratta di un passaggio che Andrea Barberino conosceva molto bene, in quanto egli lo inserì nella propria versione dell'"Ugone" redatta in lingua italiana, intitolata "Ugone d'Avernia". È possibile che Andrea da Barberino abbia copiato la propria malvagia Sibilla dalla magica dama che compare nell'"Huon d'Auvergne" e nel suo stesso "Ugone"? Forse. Ma le somiglianze non si fermano certo qui, perché non è difficile imbattersi in ulteriori, rimarchevoli corrispondenze.
Sia nell'"Huon de Bordeaux" che nell'"Ugone d'Avernia", abbiamo trovato passaggi in cui il protagonista principale si reca in viaggio a Roma allo scopo di ottenere il perdono per i propri peccati, brani descritti con parole che presentano una stretta analogia con le analoghe situazioni contenute nel "Guerrin Meschino" e nel "Paradiso della Regina Sibilla" (Fig. 3). Nell'"Ugone d'Avernia" e nel "Guerrin Meschino" rinveniamo un medesimo episodio che coinvolge il cavaliere protagonista e uno o più eremiti, recanti una croce tra le mani. Nell'"Ugone d'Avernia", il protagonista viaggia attraverso la regione italiana della Calabria al fine di ottenere informazioni in merito al luogo dove trovare l'ingresso dell'Inferno: una domanda simile a quella che viene posta dall'eroe principale nel "Guerrin Meschino", ed esattamente nella stessa identica regione di Calabria, alla ricerca della dimora della Sibilla. In "Claris et Laris", una fatata damigella aiuta il protagonista principale a uscire dal reame incantato in cui egli si trova confinato: la medesima tipologia di mano amica viene tesa sia a Guerrino nel "Guerrin Meschino", sia a Lancillotto in “Le Livre de Lancelot del Lac”.
Inoltre, ciò che si rinviene è che, come ben sanno gli studiosi, la grotta della Sibilla non costituisce affatto il solo e unico esempio di luogo occultato, nascosto alla vista e talvolta situato nel sottosuolo o associato a una montagna, ricolmo di magnifici palazzi e verdeggianti giardini, nonché abitato da una maligna entità, sovente una sorta di dama tenebrosa, sovente caratterizzato dall'offerta, ai visitatori, di peccaminosi piaceri. Abbiamo infatti reperito questo tipo di schema narrativo in “Huon d'Auvergne”, “Ugone d'Avernia”, “Li Hauz Livres du Graal”, “Claris et Laris”.
Di fronte a tutto ciò, abbiamo reputato come fosse arrivato il momento per imprimere alla nostra ricerca una direzione nuova e ardita, con l'obiettivo di rimuovere tutti gli strati addizionali che nascondono il nucleo più vero della leggenda concernente la Sibilla Appenninica (Fig. 4): abbiamo dunque deciso di promuovere lo schema narrativo relativo al reame incantato - uno degli aspetti fondamentali della nostra leggenda - al rango di potenziale candidato alla rimozione, sussistendo chiari segni di come esso possa costituire meramente un suggestivo, ma estraneo, elemento aggiuntivo di epoca medievale. Contenente una Sibilla parimenti estranea.
Perché qualcosa di ancor più stupefacente accade in quello stesso "Huon da Bordeaux": all'interno di un magico castello, protetto da un meccanismo in eterno movimento (che ci ricorda le magiche porte descritte da Antoine de la Sale), abbiamo trovato una giovane dama. Il cui nome è «Sebile», l'antica parola francese per Sibilla.
La coincidenza appare essere strabiliante. In mezzo a una vasta selezione di nomi medievali potenzialmente assegnabili a una dama dimorante in un incantato castello, lo sconosciuto autore di "Huon" sceglie esattamente «Sibilla».
E qualcosa di ancor più strabiliante accade in “Claris et Laris”: la signora dell'incantato castello, che contiene le usuali damigelle e giardini e ricchezze, è Morgana la Fata.
Il colpo finale ci viene offerto da “Floriant et Florète”, un altro romanzo cavalleresco: anche qui c'è una dama, ed essa è signora di un regno incantato posto al di sotto di una montagna. Una montagna italiana, il Monte Etna, in Sicilia. E - di nuovo - si tratta di Morgana.
Morgana la Fata, la sorella di Re Artù. Uno dei personaggi principali appartenenti alla Materia di Bretagna e al ciclo arturiano.
E così, ci troviamo ad avere a che fare con Sibilla, Sebile e Morgana (Fig. 5). Tutte in relazione con incantati reami, i quali condividono caratteristiche simili.
Abbiamo allora cominciato a investigare la figura e i tratti di Morgana la Fata, oggetto di approfondite ricerche da parte dei moderni studiosi: oracolo, maga e guaritrice, descritta per la prima volta da Goffredo di Monmouth, e associata all'incantata isola di Avalon, terra benedetta, nella quale, secondo la leggenda, Re Artù sta ancora vivendo una vita senza fine.
È possibile che Morgana abbia qualcosa a che fare con le Sibille?
Sì, con assoluta certezza. Una connessione diretta tra di esse viene infatti stabilita, nel dodicesimo secolo, da Hartmann von Aue nel suo poema "Erec", nel quale egli ritrae Morgana la Fata come una potentissima, malvagia negromante. Potentissima, come una Sibilla, scrive von Aue (riferendosi forse alla classica Cumana, a motivo della tradizione negromatica ad essa associata).
E le scoperte non terminano qui. Abbiamo infatto trovato come Morgana non sia posta in relazione solamente con una leggendaria isola, Avalon, ma anche con una sorta di mitica montagna. Si trattava del Monte Etna in “Floriant et Florète”. E una montagna appariva anche nel "Parzival" di Wolfram von Eschenbach, dove viene affermato come Morgana provenga da una montagna assai speciale, un luogo incantato, una «Terra della Gioia».
Oltre a ciò, troviamo anche che nell'“Lestoire de Merlin” e in “Le Livre de Lancelot del Lac”, Morgana la Fata viene descritta come una saggia dama, una sapiente e - introducendo un aspetto nuovo, mai apparso in precedenza - come una femmina estremamente sensuale, «la più ardente femmina di tutta la Britannia, e la più lasciva».
Abbiamo dunque cominciato a comprendere come, sin dal Medioevo, Morgana e la Sibilla Appenninica abbiano iniziato a condividere molti aspetti, in comune tra le due figure: il dominio su un luogo incantato; un'approfondita, estesa conoscenza delle arti magiche; straordinari poteri negromantici; una montagna speciale ad esse associata; una tendenza alla concupiscenza sensuale; un luogo di gioia e delizie.
E le analogie hanno continuato a susseguirsi. Morgana presenta anche una propensione all'imprigionamento di cavalieri all'interno della propria magica dimora, proprio come la Sibilla Appenninica. In “Le Livre de Lancelot del Lac”, ella lancia un incantesimo su di una valle nella quale confinare i cavalieri: la «Valle Senza Ritorno», un luogo di delizie nel quale la vita può essere goduta in pienezza, ma comunque una prigione. Un luogo simile viene da essa creato in “Le Livre d'Artus”, nel quale i cavalieri possono fare ingresso, ma viene loro impedito di uscire.
Ma la nostra straordinaria storia procede ben oltre. Mentre Morgana la Fata appare convergere in modo crescente verso la figura della Sibilla Appenninica, anche la Sibilla pare compiere alcuni passi in direzione di Morgana.
In “Le Livre de Lancelot del Lac”, ci imbattiamo direttamente in «Sebile» come appartenente al gruppo di fate guidato da Morgana. E - di nuovo - ci viene detto che entrambe rappresentano le più potenti maghe e incantatrici del mondo intero. Morgana, Sebile e una terza fata rapiscono Lancillotto per condurlo nel loro castello, una conferma della comune tendenza alla cattura e al confinamento di cavalieri allo scopo di indurli in tentazione.
E quali parole rivolge Lancillotto alle sensuali dame? Egli si presenta dicendo «il mio nome è Lancillotto del Lago, il Meschino». Egli pronuncia esattamente lo stesso aggettivo che sarà in seguito utilizzato da Andrea da Barberino come appellativo per il proprio cavaliere-eroe Guerrino (Fig. 6).
E «Sebile l'incantatrice» è posta in scena nuovamente nelle “Prophécies de Merlin”, ancora in qualità di compagna di Morgana la Fata; e di nuovo in “Huon de Bordeaux”, all'interno di un incantato castello sorvegliato da magici meccanismi di metallo; e, ancora, nella «Chanson d'Esclarmonde», assieme a Morgana, entrambe dimoranti sotto una montagna in un regno di perfetta gioia ed eterna giovinezza.
Rinveniamo anche Sebile in una finale, acrobatica trasformazione che la tramuta nella stessa Morgana: questo è ciò che accade nel “Wartburgkrieg”, dove la figlia di una Sibilla viene presentata come la regina di un incantato reame nel quale Re Artù vive la propria vita senza fine, un ruolo che è tradizionalmente assegnato a Morgana.
E, nel “Wartburgkrieg”, l'incantato reame è situato al di sotto di una montagna.
Siamo poi arrivati, infine, ad esempi letterari che rendono disponibili evidenze strabilianti e palesi di una progressiva convergenza tra le figure di Morgana e della Sibilla Appenninica, con una sorta di totale intercambiabilità tra le due.
Solamente una cinquantina d'anni prima dell'apparizione di una Sibilla degli Appennini, nell'opera “Ly Myreur des Histors”, è Morgana la Fata a presiedere un «Castello delle Delizie», ricolmo di ogni sorta di giardini, pietre preziose e tesori, e contenente una corte di leggiadre, voluttuose damigelle, in cerca di piacere e in apparenza immuni dal peccato; nondimeno, l'intero castello non è che il prodotto degli incantamenti di Morgana, e tutto, là dentro, è frutto di illusione. In quel luogo, i cavalieri perdono ogni ricordo del mondo esterno, e vivono felicemente in un'eterna giovinezza immersa in ogni sorta di delizie. E nel “Perceforest”, è invece Sebille a essere signora di un invisibile castello, nascosto alla vista grazie alla magia, nel quale nessuno può entrare, e dal quale non è possibile uscire, dove un cavaliere può dimenticare il mondo e il tempo. E questo castello di Sebille, come occorre rimarcare, non sorge affatto tra gli Appennini, ma piuttosto in Britannia.
Indizi, tracce, evidenze, chiare connessioni: tutto ciò che abbiamo potuto reperire all'interno degli antichi manoscritti, quei manoscritti che trasmettono fino al nostro tempo attuale la tradizione letteraria del mondo cavalleresco medievale, mostrano come Morgana la Fata, un antichissimo, fondamentale personaggio appartenente al ciclo arturiano, e la quattrocentesca Sibilla Appenninica risultino essere strettamente collegate l'una all'altra.
Esse sono così fortemente intrecciate che l'una discende dall'altra.
La Sibilla Appenninica pare essere il prodotto del trasferimento della tradizione leggendaria relativa a Morgana la Fata, già associata alle Sibille e a Sebile, a propria volta maga e incantatrice, dalla Materia di Bretagna fino a un remoto, misterioso picco che si innalza in Italia, tra gli Appennini.
Sembrerebbe, dunque, che il Monte Sibilla abbia assunto su di sé un modello leggendario assai più antico, definito nei secoli precedenti nell'ambito di un contesto letterario cavalleresco, le cui radici affondano negli antichi territori di Britannia, Francia e Germania (Fig. 7).
Nessuna Sibilla ha mai abitato al di sotto del Monte Sibilla, in Italia.
Ed è questa la ragione per la quale, quando si vanno a interrogare i secoli che hanno preceduto il quindicesimo, non è possibile trovare alcuna traccia della Sibilla Appenninica: non c'era nessuna Sibilla Appenninica da trovare, né nel Medioevo né al tempo di Roma antica. Le sole tracce visibili sono quelle lasciate da Morgana e dalla sua magica compagna Sebile.
Così, nessuna Sibilla Appenninica è mai esistita.
Andiamo a vedere, nel prossimo articolo, se questa affermazione, della massima importanza e gravida di notevolissime conseguenze, possa essere definitivamente e incontrovertibilmente confermata, oppure no.
5 Feb 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /22. Sebille and her invisible castle (in ancient Britain)
«Two damsels came [to the two knights] and took them by their hands and escorted them to a charming room, in which they laid their weapons and dressed with new garments. After this they were brought to a large room where they found Sebille, the Dame of the Lake. When she saw them coming she welcomed them respectfully [...] Sirs, Sebille said, the tables are ready for the meal, please come and wash your hands, so she took them by their hands and they washed. She wanted to seat beside the King, with Floridas on the other side».
[In the original Old French text: «deux damoiselles furent illes appareillies qui les prindrent chacun par la main les menerent en une belle chambre ou ils se desarmerent et revesturent de nouveaux habiz. ce fait elles les menerent en la sale ou sebille la dame de leanc estoit Laquele quant elle les ver venir elle les receuyt honnourablement [...] Seigneurs dist sebille les tables sont mises pour le soup venez laver si les print par les mains et laverent. Elle fist seoir le roy puis elle au pres et Floridas au pres delle»].
Is that a passage (Fig. 1) taken from an Old French edition of Andrea da Barberino's “Guerrino the Wretch”? Is the large room buried beneath Mount Sibyl, in the Italian Apennines? Is that Sibyl («Sebille») the Apennine Sibyl?
It might well be so, as the above episode appears to be a copycat of a similar situation experienced by the knight Guerrino as he enters the Sibyl's cave for the first time.
However, we are in ancient Britain, and we are reading an excerpt drawn from “Perceforest”, a fourteenth-century chivalric romance, with no connection at all with the Apennines and the Apennine Sibyl (Fig. 2).
Just a typical situation that is commonly retrieved in all chivalric romances? Yes indeed. But a few correspondences appear to be utterly striking. If we consider some of the sentences contained in Folium 114v and beyond in manuscript n. 3483 preserved at the Bibliothèque de l'Arsenal in Paris, we find that many features which will be conferred to our Apennine Sibyl are also present in this work which narrates knightly stories set at a time when Arthur was not yet a king.
The two knights mentioned above are King Alexandre and knight Floridas. During their quest through Britain they stumble upon a very peculiar castle (Fig. 3):
«They were told that they had got to the land of the Dame of the Lake. Where does she live, asked the King. Sir, one replied, her abode is just before your eyes [...] the squire said that [her castle] could not be seen [...] But the King said that on that land no castle nor manor was to be seen. Sir, by your mercy, there you will find a suitable place to house King Alexander. So the King said that he would gladly check it out. Sir, added the squire, the Dame of the Lake has arranged it by fairy enchantments so that it cannot be seen [...] Sure enough, said the King, you are telling me wonders. Sir, replied the squire to him, in the castle there are wonders which are even greater».
[In the original Old French text: «nous sommes dirent ils a la dame du lac adont dist le roy ou demeure elle sire dist lun deulx elle demeure cy devant [...] dist le vallet on ne le puet veoir [...] dist le roy esse dedens terre il ny a dont ne chastel ne maison Sire sauls votre grace car il y a lieu et fust pour recevoir le roy alexandre Il me semble dist le roy quon le verroit. Sire dist le vallet la dame de leans la telement ordonne par fes enchantemens quon ne le puet veoir [...] Certes dist le roy tu me dis merveilles. En verite sire dist il elle y sont assez plus grandes»].
So the Dame of the Lake, whose name we will later find out to be «Sebille», is the master of an enchanted castle, which is concealed from man's sight. Just like a hidden realm set beneath a peak of the Apennines.
And what usually happens in this sort of place? (Fig. 4)
«Nobody could leave that forest because of the magical spells, as any person who had entered that place would never be able to depart».
[In the original Old French text: «ne pouvoit homme yssir des forests par les enchantemens et aussi nuls ny entroit qu en peust partir»].
So this Sebille presides over a kingdom which reminds us of a realm ruled by another Sibyl, the Apennine's. And time within the kingdom is marked by an odd behaviour, as the two knights find eventually out to their utter bewilderment, following their request to Sebille for one night's rest (Fig. 5):
«When the Dame listened to the King's request, she decided to do according to her own will, as she actually did: because the King and Floridas stayed at the castle for fifteen days, and thought they had been there for one single day only».
[In the original Old French text: «Quant la dame eut entendu le roy elle sapesa quelle en seroit autrement come elle fist car le roy et floridas y demourerent quinze iours et ny penserent davoir este que une nuit»].
But time is also a queer element within the Sibyl's cave in Italy, in which people stay forever young and are wholly forgetful of the outer world.
For the sake of completion, Sebille will be far most lucky than her Italian counterpart, the Apennine Sibyl: in “Perceforest”, she will succeed in seducing King Alexander, and King Arthur will be the product of her lineage.
According to scholars, “Perceforest” was written less than a hundred years before the literary appearance of the Apennine Sibyl.
Everything is now ready for the final transformation: the transplant of Morgan's legend into a lofty peak lost amid the Italian Apennines, in the form of her mate Sebille, or the Sibyl.
We are about to behold the birth of a Sibyl.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /22. Sebille e il suo invisibile castello (nell'antica Britannia)
«Due damigelle vennero [presso i due cavalieri] e presero ciascuno di essi per una una mano, e li condussero in una bella camera dove essi si liberarono delle proprie armi e si rivestirono con nuovi indumenti. Fatto ciò, le damigelle li guidarono fino a una sala dove si trovava Sebille, la Dama del Lago. Quando ella li vide giungere, li ricevette onorevolmente [...] Signori, disse Sebille, le tavole sono pronte per la cena, venite a lavare le vostre mani, così li prese per le mani e si lavarono. Ella volle sedere accanto al Re e pose Floridas al proprio fianco».
[Nel testo originale in antico francese: «deux damoiselles furent illes appareillies qui les prindrent chacun par la main les menerent en une belle chambre ou ils se desarmerent et revesturent de nouveaux habiz. ce fait elles les menerent en la sale ou sebille la dame de leanc estoit Laquele quant elle les ver venir elle les receuyt honnourablement [...] Seigneurs dist sebille les tables sont mises pour le soup venez laver si les print par les mains et laverent. Elle fist seoir le roy puis elle au pres et Floridas au pres delle»].
Questo brano (Fig. 1) è forse tratto da un'antica edizione in lingua francese del "Guerrin Meschino" di Andrea da Barberino? Quella bella sala è forse sepolta al di sotto del Monte Sibilla, negli Appennini italiani? Quella Sibilla («Sebille») è la Sibilla Appenninica?
Potrebbe certamente essere così, perché l'episodio qui riportato potrebbe apparire come una copia di una situazione del tutto analoga esperimentata dal cavaliere Guerrino al momento del suo ingresso, per la prima volta, all'interno della grotta della Sibilla.
Invece, ci troviamo nell'antica Britannia, e stiamo leggendo un passaggio tratto da "Perceforest", un romanzo cavalleresco risalente al quattordicesimo secolo, il quale non ha relazione alcuna con gli Appennini, né con la Sibilla Appenninica (Fig. 2).
Si tratta, banalmente, solo di una situazione tipica, facilmente rinvenibile in tutti i romanzi cavallereschi? Sì, certamente. Nondimeno, alcune specifiche corrispondenze risultano essere assai sbalorditive. Se andiamo a prendere in considerazione le frasi contenute al Folium 114v e successivi nel manoscritto n. 3483 conservato presso la Bibliothèque de l'Arsenal a Paris, scopriamo che molti tratti che andranno a distinguere la nostra Sibilla Appenninica sono presenti anche in quest'opera, che racconta vicende cavalleresche ambientate al tempo in cui Re Artù non era ancora re.
I due cavalieri citati in precedenza sono Re Alessandro e Floridas. Nel corso della loro ricerca attraverso la Britannia, essi si imbattono in un castello assai peculiare (Fig. 3):
«Fu loro detto che essi si trovavano presso la Dama del Lago. Dunque dove vive ella, chiese il Re. Sire, rispose uno di loro, ella vive qui di fronte a voi [...] disse lo scudiero che [il suo castello] non poteva essere visto [...] Il Re rispose che in quella terra non vi era né castello, né magione. Sire, gli fu detto, con il vostro perdono, lì vi è luogo acconcio a ricevere Re Alessandro. Mi sembra, disse il Re, che questo sia da vedersi. Sire, aggiunse lo scudiero, la Dama del Lago ha talmente acconciato questo luogo per mezzo di fatati incantamenti che il castello non può essere veduto [...] Parola mia, disse il Re, tu mi racconti meraviglie. In verità, Sire, disse ancora lo scudiero, lì dentro ve ne sono di ben più grandi».
[Nel testo originale in antico francese: «nous sommes dirent ils a la dame du lac adont dist le roy ou demeure elle sire dist lun deulx elle demeure cy devant [...] dist le vallet on ne le puet veoir [...] dist le roy esse dedens terre il ny a dont ne chastel ne maison Sire sauls votre grace car il y a lieu et fust pour recevoir le roy alexandre Il me semble dist le roy quon le verroit. Sire dist le vallet la dame de leans la telement ordonne par fes enchantemens quon ne le puet veoir [...] Certes dist le roy tu me dis merveilles. En verite sire dist il elle y sont assez plus grandes»].
E dunque, la Dama del Lago, il cui nome scopriremo in seguito essere «Sebille», è la signora di un incantato castello, nascosto alla vista degli uomini. Proprio come un regno occultato al di sotto di un picco degli Appennini.
E cosa accade, solitamente, in questo genere di luoghi? (Fig. 4)
«Nessuno poteva lasciare quelle selve a causa degli incantesimi, e inoltre nessuno vi sarebbe potuto entrare che ne fosse potuto anche uscire».
[Nel testo originale in antico francese: «ne pouvoit homme yssir des forests par les enchantemens et aussi nuls ny entroit qu en peust partir»].
Dunque questa Sebille è signora di un reame che non può non ricordarci un regno governato da un'altra Sibilla, quella degli Appennini. E il tempo, all'interno di quel reame, ha un comportamento alquanto strano, come scopriranno i due nobili cavalieri con grande sconcerto, essendosi essi limitati a chiedere a Sebille alloggio per una singola notte (Fig. 5):
«Quando la dama ebbe ascoltato la richiesta del Re, ella decise che avrebbe fatto ben diversamente, a modo suo: perché il Re e Floridas dimorarono in quel luogo quindici giorni, e pensarono di esservi rimasti solamente per una notte».
[Nel testo originale in antico francese: «Quant la dame eut entendu le roy elle sapesa quelle en seroit autrement come elle fist car le roy et floridas y demourerent quinze iours et ny penserent davoir este que une nuit»].
Ma il tempo costituisce una strana variabile anche all'interno della grotta della Sibilla, in Italia, luogo nel quale i visitatori permangono eternamente giovani e dimenticano del tutto l'esistenza del mondo esterno.
Per completezza di informazione, Sebille risulterà essere assai più fortunata della propria controparte italiana, la Sibilla Appenninica: nel "Perceforest", infatti, essa riuscirà a sedurre Re Alessandro, e il prodotto di questa unione sarà proprio Re Artù.
Secondo gli studiosi, "Perceforest" è stato posto per iscritto meno di cento anni prima dell'apparizione letteraria della Sibilla Appenninica.
Tutto pare ora essere pronto, dunque, per la trasformazione finale: il trasferimento della leggenda di Morgana all'interno di un picco solitario, perduto tra gli Appennini italiani, nella forma della compagna e amica della stessa Morgana, Sebille, altrimenti detta Sibilla.
Stiamo finalmente per assistere alla nascita di una Sibilla.
2 Feb 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /21. Morgan and the Sibyl in a mirror
We are now about to reach more recent centuries. We are leaving the High Middle Ages and are now entering a later medieval period, getting closer and closer to that early fifteenth century when the radiance of our Apennine Sibyl began to shine with all its potency.
We are getting to the middle of the fourteenth century, a period in which the lore concerning Morgan le Fay has already made its way through time, featuring a remarkable tendency to intertwine and combine with legends and stories that narrated of fairy Sibyls, depicted as associated with Arthur's sister herself.
However, the Apennine Sibyl has not yet appeared, and the character of Morgan is still strong; yet she is markedly taking on many of the traits that will be specific to the Sibyl of Norcia.
Let's consider a highly interesting work, “Ly Myreur des Histors” (“The Mirror of Tales”), written by Jean des Preis d'Outremeuse, an author from Liège, in the early second half of the fourteenth century. His chronicle, made up by four books, is a sort of history of the world which starts from the mythical Flood and ends up with the years the author was living. Manuscripts of it exist at the Bibliothèque Royale de Belgique in Bruxelles (no. 10455-10462 and others) (Fig. 1). In this article, we will follow the transcript published by Stanislas Bormans in 1877.
It is in Book II (Volume IV of the transcript) that we find, again, Morgan le Fay («Morghe») and her enchanted island, Avalon. To the island, a knight arrives: his name is Ogier the Danish, he serves Charlemagne, and he is cast there following a shipwreck.
There is something on the island. It is Morgan's castle. A place for pleasure, a place for bliss. And she invites the knight to enter her abode (Fig. 2):
«I came to ask you to come and stay at the Castle of Leisure. There you will not find any other man than Arthur, my brother [...] No men are there, but damsels».
[In the original Old French text: «je vous veng queirir por venir en castel Plaisant herbegier. Ilh n'y at nul homme que Artus, mon frere, [...] Ilh n'y at plus homme, fors que damoisellez»].
A castle of pleasures, full of damsels. A castle which is enchanted («li castel est i lis faieis»). A castle that is concealed to anybody, and cannot be seen if not by its inhabitants («castel Plaisant, qui astoit invisible à cascon fors à cheauz de laiens»). A castle of sorcery, made of air and illusions («et n'astoit que vens et fantomme») (Fig. 3):
«And [Merlin] taught that knowledge to Morgan, King Arthur's sister, and to many other women in the Kingdom of Britain, by teaching them the antique wisdom, as to how to create an abode made of pure air in which to live forever without growing old. Morgan knew that enchantment better than Merlin himself, and she made the Castle of Leisure where she inhabited; and there were many damsels»
[In the original Old French text: «Et [Merlin] aprist la science à Morghe, le serour le roy Artus, et à pluseurs altres femmes de la royalme de Bretangne, en enformant elles de la scienche perpetuee, à faire habitations pour demoreir à touz jours sens avilhier et de pure aire. Cheste faierie ensi par destinee Morghe en soit plus ancors que Merlin; et fist le castel Plaisant où ilh habitoit; et oit deleis li des pucieles asseis»].
Morgan's castle is starting to look like the cave of the Apennine Sibyl, as it will be portrayed some fifty years later by Andrea da Barberino in his “Guerrino the Wretch”.
And the similarities are not over. The castle and the cave share a same lavish richness (Fig. 4):
«there are the most charming gardens in it, and trees bearing all kinds of perfumed fruits. And the castle was made of fine rubies, emeralds, sapphires, diamonds, beryllium and all precious stones; [...] all tables are made of pure gold, the beds of chalcedony and sapphire...».
[In the original Old French text: «jardins y at mult dilicieux, et toute altour arbres de toutez manerez de fruitez, qui getent grant odour. Et fut li casteais fais de fins rubis, esmeraide, saphier, dyamans, et de jacinte, de perilh, et de toutez pires precieuses; [...] les tablez sont trestout de fin or; les lithier de calcidoine et de saphir...»].
And yet, Morgan's castle is a castle of pleasures («castel Plaisant»), and we know from the tale of the Apennine Sibyl that there is one specific way to offer true pleasure to brave knights (Fig. 5):
«Ladies and damsels stayed there, tempting and desirable, without committing any sins; yet there was plenty of lust, and they liked to receive courtly cares».
[In the original Old French text: «Dammes et puciellez astoient là desduisantez sens pechiez faire; luxure heent mult, et sont desirantes cortoisie»].
Finally, as in the deepest bowels of the Sibyl's cave, nobody ever grew old, lost in neverending pleasures and oblivious of the outer world (Fig. 6):
«Here I [Morgan] will inhabit until the Last Judgment [...] and each day we will live as if we were thirty years old [...] There Ogier lived for a longtime [...] every day in bliss and peace and holiness, as if he was twenty years old; and after eight days, he could not know who he was anymore, and all he forgot of the world».
[In the original Old French text: «Chiens demoreis jusqu'al jour de jugement [...] et toudis haitiez en eage de XXX ans [...] Là est Ogier demoreit lonc terme [...]; et est toudis en joie, pais et sancteit; [...] et quide XX ains avoir; passeit VIII jours, ihl ne seit là ilh est, ilh at tout obliieit le monde»].
Here is Morgan's castle. A place of eternal joy and richness and enchantment. Only fifty years divide this abode of pleasure from the still-to-come cavern of the Apennine Sibyl.
And we also have another stunning example. A Sibyl, an invisible, enchanted place, a site where time seems to have its own magically slow speed. Is all that in the Apennines?
Not in the least. This story is set in Britain, before King Arthur's kingdom. If we read it, we cannot avoid thinking of our Sibyl of the Apennines, as we will see in the next article.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /21. Morgana e Sibilla allo specchio
Stiamo ora per giungere a secoli meno remoti. Stiamo per abbandonare il periodo centrale del Medioevo per addentrarci in un'era successiva e più tarda, approssimandoci sempre di più a quell'inizio del quindicesimo secolo in cui la stella della nostra Sibilla Appenninica cominciò a brillare con tutta la propria potenza.
Stiamo giungendo alla metà del quattordicesimo secolo, un periodo nel corso del quale la tradizione concernente Morgana la Fata ha già percorso un lungo viaggio attraverso il tempo, mostrando una significativa tendenza a combinarsi e intrecciarsi con storie e leggende che narravano di magiche Sibille, rappresentate come specificamente associate alla stessa sorellastra di Re Artù.
Ma la Sibilla Appenninica non è ancora apparsa, e il personaggio di Morgana è ancora forte; nondimeno, essa sta marcatamente assumendo molti dei tratti che saranno propri della Sibilla di Norcia.
Andiamo a prendere in considerazione un'opera di grande interesse, “Ly Myreur des Histors” (“Lo Specchio delle Storie”), scritto da Jean des Preis d'Outremeuse, un autore originario di Liegi, nella seconda metà del quattordicesimo secolo. La sua cronaca, composta di quattro libri, è una sorta di storia del mondo, che ha inizio con il leggendario Diluvio Universale e termina con gli anni che lo stesso autore stava vivendo. Ne esistono vari manoscritti, conservati presso la Bibliothèque Royale de Belgique a Bruxelles (n. 10455-10462 e altri) (Fig. 1). In questo articolo, seguiremo la trascrizione fornita da Stanislas Bormans nel 1877.
È nel Libro II (Tomo IV della trascrizione) che incontriamo, di nuovo, Morgana la Fata («Morghe») e la sua isola incantata, Avalon. A quell'isola, giunge un cavaliere: il suo nome è Ogier il Danese, egli serve Carlomagno, e si trova ad essere gettato in quel luogo a seguito di un naufragio.
Su quell'isola, c'è qualcosa. È il castello di Morgana. Un luogo del piacere, un luogo della gioia. E la fata invita il cavaliere a fare ingresso nella propria residenza (Fig. 2):
«Vengo a chiedervi di venire ad albergare presso il Castello delle Delizie. Lì non troverete alcun altro uomo se non Artù, mio fratello [...] Nessun uomo è lì, se non damigelle».
[Nel testo originale in antico francese: «je vous veng queirir por venir en castel Plaisant herbegier. Ilh n'y at nul homme que Artus, mon frere, [...] Ilh n'y at plus homme, fors que damoisellez»].
Un castello di delizie, colmo di damigelle. Un castello che è incantato («li castel est i lis faieis»). Un castello che è nascosto ad ognuno, e non può essere percepito se non da suoi stessi abitanti («castel Plaisant, qui astoit invisible à cascon fors à cheauz de laiens»). Un castello di negromanzia, fatto d'aria e di illusioni («et n'astoit que vens et fantomme») (Fig. 3):
«E [Merlino] insegnò quell'arte a Morgana, la sorella di Re Artù, e a molte altre donne del reame di Britannia, mostrando ad esse l'antica saggezza, come costruire una dimora fatta di pura aria per abitare in essa senza mai invecchiare. Questo incantamento Morgana lo conosceva meglio ancora di Merlino; e fece il Castello delle Delizie dove essa abitava; e in esso si trovavano molte donzelle»
[Nel testo originale in antico francese: «Et [Merlin] aprist la science à Morghe, le serour le roy Artus, et à pluseurs altres femmes de la royalme de Bretangne, en enformant elles de la scienche perpetuee, à faire habitations pour demoreir à touz jours sens avilhier et de pure aire. Cheste faierie ensi par destinee Morghe en soit plus ancors que Merlin; et fist le castel Plaisant où ilh habitoit; et oit deleis li des pucieles asseis»].
Il castello di Morgana sta ora cominciando ad assomigliare alla grotta della Sibilla Appenninica, così come essa sarà descritta, circa cinquanta anni più tardi, da Andrea da Barberino nel suo "Guerrin Meschino".
E le analogie non finiscono qui. Il castello e la grotta condividono una medesima abbondanza di ricchezze (Fig. 4):
«lì vi sono molti deliziosi giardini, e tutt'intorno alberi che portano ogni genere di frutta, dagli odorosi profumi. E il castello era fatto di meravigliosi rubini, smeraldi, zaffiri, diamanti, berillio e di ogni sorta di pietre preziose; [...] tutte le tavole erano fatte di puro oro, i letti di calcedonio e zaffiro...».
[Nel testo originale in antico francese: «jardins y at mult dilicieux, et toute altour arbres de toutez manerez de fruitez, qui getent grant odour. Et fut li casteais fais de fins rubis, esmeraide, saphier, dyamans, et de jacinte, de perilh, et de toutez pires precieuses; [...] les tablez sont trestout de fin or; les lithier de calcidoine et de saphir...»].
Ma, d'altra parte, il castello di Morgana è un castello di piaceri («castel Plaisant»), e noi sappiamo dal racconto riguardante la Sibilla Appenninica che esiste una specifica modalità per offrire il vero piacere a un coraggioso cavaliere (Fig. 5):
«Dame e donzelle stavano lì, avvenenti e seducenti, senza commettere peccato; molta era la lussuria, e la voglia di ricevere cortesi attenzioni».
[Nel testo originale in antico francese: «Dammes et puciellez astoient là desduisantez sens pechiez faire; luxure heent mult, et sont desirantes cortoisie»].
E infine, proprio come nei più reconditi recessi della grotta della Sibilla, nessuno mai può invecchiare, perduto nei piaceri senza fine e dimentico del mondo esterno (Fig. 6).
«Qui io [Morgana] dimorerò fino al giorno del giudizio [...] e ogni giorno vivrò nell'età di trenta anni [...] Lì Ogier abitò per lungo tempo [...]; e ogni giorno è in gioia, pace e santità; [...] e quando ebbe venti anni, trascorsi otto giorni, egli più non seppe di trovarsi lì, e tutto dimenticò del mondo».
[Nel testo originale in antico francese: «Chiens demoreis jusqu'al jour de jugement [...] et toudis haitiez en eage de XXX ans [...] Là est Ogier demoreit lonc terme [...]; et est toudis en joie, pais et sancteit; [...] et quide XX ains avoir; passeit VIII jours, ihl ne seit là ilh est, ilh at tout obliieit le monde»].
Questo, dunque, è il castello di Morgana. Un luogo di eterna gioia e ricchezze e incantamenti. Solamente cinquanta anni dividono questo regno di delizie dalla caverna, ancora di là da venire, della Sibilla Appenninica.
E possiamo mostrare ancora un ulteriore esempio. Una Sibilla, un luogo invisibile, incantato, una dimora nella quale il tempo sembra possedere un proprio passo magicamente rallentato. Si tratta, forse, di un luogo posto tra gli Appennini?
Niente affatto. La storia è ambientata in Britannia, prima dell'avvento del regno di Re Artù. Leggendola, non possiamo evitare di andare con il pensiero alla nostra Sibilla degli Appennini, come avremo modo di vedere nel prossimo articolo.
1 Feb 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /20. King Arthur's eternal life with the Sibyl (instead of Morgan)
Sibyl and Morgan, Morgan and Sibyl. As centuries go by, the two mythical figures seem to increasingly mix up, as if they should eventually converge into one single literary character.
We have another amazing proof of such process of gradual combination, a proof which comes to us from the very core of the Arthurian cycle: the myth concerning the ever-continuing life of King Arthur, who according to the legend would still be living an immortal life in the enchanted island of Avalon, attended by his half-sister Morgan, until the day comes for him to come back as a ruling king again.
In a previous article, we already saw that this legend underwent a most remarkable relocation from Avalon to an Italian mountain and volcano, Mount Etna, as it is narrated in “Floriant et Florète”, a chivalric poem dating to the second half of the thirteenth century, with Morgan transplanted right into the land of Italy: a highly significant clue which clearly indicates that Morgan le Fay and the Apennine Sibyl are much closer than we might think.
In addition to that, we are also able to retrieve another striking hint: it comes from the “Wartburgkrieg”, a most illustrious piece of German medieval literature, which recounts a legendary poetical contest that would have been held at the Castle of Wartburg, in Thüringen, in the year 1207.
Of this contest, providing precious information to scholars about poetry sung by German minstrels during the Middle Ages, we have an exquisite account in the Jenaer Liederhandschrift, a fourteenth-century manuscript (Ms. El. f. 101) preserved at the Thüringer Universitäts- und Landesbibliothek in Jena, Germany.
And the manuscript, at Folium 135r, which features the poetical confrontation between minstrels Wolfram von Eschenbach and Klingsor of Hungary, makes a direct, significant, unexpected reference to King Arthur and his resting place. However, this is neither Avalon nor Morgan's.
There is a mountain, instead. And a Sibyl (Fig. 1 and 2):
«Felicia, the Sibyl's child,
and Juno, who are with Arthur in the mountain,
have flesh and bones like us.
[...] They still live in vigour [...]
Arthur lives in the mountain as a hero [...]
The Sibyl's child, Felicia,
and Juno are both with Arthur there».
[In the Old German text: «Felicia, sibillen kint,
Unde iuno, die mit arthus in dem berge synt,
Die habent vleisch sam wir unde ouch gebeyne.
[...] sie lebent noch in vreche [...]
Wie arthus in dem berge lebe und ouch der helde mere [...]
Sybillen kynt felicia
Unde iuno, die synt beyde myr arthuse da»].
Once more, Morgan le Fay and a Sibyl appear to entwine their legendary roles. In the “Wartburgkrieg”, a Sibyl takes altogether the place of Morgan in her primary position as Arthur's healer and companion of his neverending life in Avalon.
And Avalon itself becomes a mountain. Just like in “Floriant et Florète”, in which Avalon was turned into Mount Etna.
It truly appears that a Sibyl, whose role as an enchantress of equal might as Morgan's had already been stated by German poet Hartmann von Aue, is also fully authorised to take on the very garments of King Arthur's half-sister and play Morgan's narrative tasks as a genuine, almost original literary character belonging to the Matter of Britain and the Arthurian Cycle.
Time is coming for the birth of an Apennine Sibyl, who is to inherit many of the traits that are typically associated with Morgan le Fay, with an enchanted abode to be set beneath a remote mountain in Italy.
However, there is still place to carry on with our quest, so as to find additional instances of such close kinship between our two legendary ladies. Because there are more of them: further clues that we are not on the wrong route. As we will see in the next article.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /20. Re Artù vive in eterno presso la Sibilla (anziché Morgana)
Sibilla e Morgana, Morgana e Sibilla. Mentre i secoli trascorrono, le due leggendarie figure sembrano mescolarsi sempre di più, come se esse dovessero alla fine convergere verso un unico, singolo personaggio letterario.
Disponiamo di un'ulteriore evidenza, quasi incredibile a leggersi, di questo processo di graduale combinazione, un'evidenza che giunge fino a noi dal nucleo più profondo del ciclo arturiano: il mito che concerne la prosecuzione della vita di Re Artù, il quale, secondo la leggenda, starebbe ancora vivendo una vita immortale nell'isola di Avalon, sotte le cure benigne della propria sorellastra Morgana, in attesa dell'arrivo del giorno in cui egli sarà di nuovo chiamato nella storia in qualità di re regnante.
In un precedente articolo, abbiamo visto come questa leggenda abbia subìto un assai significativo trasloco da Avalon a una montagna d'Italia, il vulcano Etna, così come narrato in “Floriant et Florète”, un poema cavalleresco risalente alla seconda metà del tredicesimo secolo, con Morgana trapiantata direttamente in terra italiana: un indizio altamente significativo, il quale ci segnala come Morgana la Fata e la Sibilla Appenninica possano essere molto più vicine di quanto non si possa immaginare.
Oltre a questo, siamo anche in grado di rinvenire un altro straordinario indizio: ci arriva dal “Wartburgkrieg”, un'opera illustre tratta dalla letteratura medievale in lingua tedesca, la quale ci racconta di una leggendaria tenzone poetica che avrebbe avuto luogo presso il Castello di Wartburg, in Turingia, nell'anno 1207.
Di questa sfida, che rende disponibili agli studiosi preziose informazioni in merito alla poesia cantata dai menestrelli germanici nel corso del Medioevo, abbiamo un affascinante resoconto contenuto nello Jenaer Liederhandschrift, un manoscritto risalente al quattordicesimo secolo (Ms. El. f. 101) conservato presso la Thüringer Universitäts- und Landesbibliothek a Jena, in Germania.
E questo manoscritto, al Folium 135r, nel quale viene riportato il duello poetico tra Wolfram von Eschenbach e Klingsor d'Ungheria, presenta un riferimento diretto, significativo e inaspettato a Re Artù e al luogo del suo eterno riposo. Ma, in esso, non appare né Avalon, né Morgana:
C'è, invece, una montagna. E una Sibilla (Fig. 1 e 2):
«Felicia, figlia di Sibilla,
e Giunone, che con Artù dimorano nella montagna,
hanno carne e ossa come noi li abbiamo.
[...] Essi vivono ancora nel pieno vigore [...]
Artù vive nella montagna come un eroe [...]
La figlia di Sibilla, Felicia
e Giunone sono entrambe là con Artù».
[Nel testo in antico tedesco: «Felicia, sibillen kint,
Unde iuno, die mit arthus in dem berge synt,
Die habent vleisch sam wir unde ouch gebeyne.
[...] sie lebent noch in vreche [...]
Wie arthus in dem berge lebe und ouch der helde mere [...]
Sybillen kynt felicia
Unde iuno, die synt beyde myr arthuse da»].
Ancora una volta, Morgana la Fata e una Sibilla mostrano di intrecciare i propri ruoli leggendari. Nel “Wartburgkrieg”, una Sibilla prende completamente il posto di Morgana nel suo ruolo fondamentale in qualità di guaritrice di Artù e di compagna della sua eterna vita senza morte ad Avalon.
E la stessa Avalon si muta in una montagna. Esattamente come in “Floriant et Florète”, in cui Avalon si era trasformata nel Monte Etna.
Sembra proprio che una Sibilla, il cui ruolo come incantatrice potente quanto la stessa Morgana era già stato esplicitato dal poeta tedesco Hartmann von Aue, risulti anche essere pienamente autorizzata a indossare gli abiti stessi della sorellastra di Re Artù per recitare i ruoli narrativi tipici di Morgana, in qualità di personaggio genuino e del tutto originale nel contesto della Materia di Britannia e del ciclo Arturiano.
Il tempo è ormai giunto affinché nasca una Sibilla degli Appennini, che dovrà ereditare molti dei tratti che sono tipicamente associati a Morgana la Fata, con una dimora incantata da collocare al di sotto di una remota montagna d'Italia.
Malgrado ciò, abbiamo ancora spazio per proseguire con la nostra investigazione, in modo da reperire ulteriori esempi di una stretta affinità tra le due dame leggendarie. Perché, di esempi, ve ne sono ancora: un ulteriore segno del fatto che non ci troviamo affatto sulla strada sbagliata. Come avremo modo di vedere nel prossimo articolo.
31 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /19. Morgan and Sebile join the same party
In our previous articles, we have pointed at the many literary additions that appear to have been conferred to the Apennine Sibyl's legend, in the form of episodes, narratives and situations which are present in Andrea da Barberino's “Guerrino the Wretch” and Antoine de la Sale's “The Paradise of Queen Sibyl”, and whose origin can be retrieved in earlier chivalric romances, written in the Middle Ages. Then we have followed the footsteps of Morgan le Fay, whose attributes have been changing across the centuries, until she has gradually turned into something which is remarkably close to the figure of a Sibyl of the Apennines. We have also seen that Morgan and classical Sibyls are actually tightly connected, starting from Hartmann von Aue's “Erec” and passing through “Le Livre de Lancelot del Lac”, in which a character called «Sebile» is portrayed as a close intimate of Morgan, and a most powerful wizard.
This Sebile is also described elsewhere as a true friend of Morgan and other mighty fairies. Let's look at the tale narrated in the ancient work “Prophécies de Merlin” (“The Prophecies of Merlin”), according to scholars originally written around 1275 possibly in Italy, in Venice. Of this we have a beautiful specimen contained in British Library's manuscript Additional 25434, dating to the early fourteenth century.
In this narrative, we find an amusing episode concerning Sebile, Morgan, a Queen of Norgales and a dame of Avalon (who is treated here as a different character from Morgan). All of them are skilled sorceresses, and Sebile is openly defined as “the enchantress” (Fig. 1). This excerpt stages a funny magical fight between the dame of Avalon on one side and the three other fays on the other, in two subsequent steps. But the dame from Avalon is much more powerful, and by using her enchanted rings she repels all spells cast by Sebile, the Queen of Norgales and then Morgan, leaving them «wholly naked and in full embarassment» («furent toutes nues et eles erent honte» in Old French) (Fig. 2).
However, Sebile and the others were great friends, and the episode ends up with the dame of Avalon who embraces the other fays dearly («lors li giete la dame davalon les bras au col» in Old French) (Fig. 3):
«The dame of Avalon had great joy and much fun, and the same joy had the Queen of Norgales and Sebile the Enchantress».
[In the original Old French text: «Agrant ioie et agrant fete eu la dame davalon et mout fust grande ioie de la reyne de norgales et de sebile lenchanterresse»].
Once more, we see an ancient literary source which states that Morgan le Fay and Sebile the Enchantress were close friends. And both of them were mighty witches. The two characters knew each other and appeared together on stage, sharing the same narrative and the same magical episodes. And the whole narrative seems to have been written in Venice: this means that more than a century before the appearance of an Apennine Sibyl, Italian scribes already knew well about the close relationship which existed between Morgan and Sebile.
And the time comes when that close intimate of Morgan straightly replaces Morgan herself in her role as ruler of a magical castle: it will actually be the Sibyl, «Sebile», the dame we stumble upon after we have crossed the enchanted gates and enter the bewitched abode.
This is exactly what happens in “Huon of Bordeaux”, the epic poem dating to the thirteenth century which we already encountered in a previous article. And this happens just beyond the metal scourges ceaselessly lashing and whipping (an instance of magical gates that Antoine de la Sale will subsequently refer to in his account of a visit to the Sibyl's cave):
«The son of Sewin [Huon] from the town of Bordeaux, stroke three great blows on the golden basin [which stood beside the bronze guards]. A maiden in the castle listened to the resounding noise, her name was Sebile, a most handsome lady» (in the original French text: «Li fieus Sewins, de Bordiax la cité, Sour le bacin qui fu f'or esmeré a fru trois cos par moult grande fierté. Une pucele ou u palais listé, Sebile ot nom, moult par ot de biauté»).
And there are also occurrences in which this «Sebile» reappears on Morgan's side, in the same fairy setting depicting an enchanted place connected to some sort of mountain. All this happens in «La Chanson d'Esclarmonde», a poem which narrates further deeds of Huon of Bordeaux, and whose text can be read in manuscript L.II.14, preserved at the National University Library in Turin (folia 354v-374r), dated by scholars to year 1311. In this article, we will follow the transcript published by Max Schweigel in 1889.
Knight Huon and his lover Esclarmonde are brought to the magical land of Monmur, where King Auberon reigns (a character that will appear in Shakespeare's “Midsummer Night’s Dream” as 'Oberon'). There, they are welcomed by a distinguished party of fairy ladies (Fig. 4):
«In Monmur [...] The four dames [...] - Dame Oriande, dame Marse, Sibyl and Morgan - who is so good - and made so astounding enchantments» (in the original French text: «a Monmur [...] Les IV dames [...] - Dame Oriande dame Marse i sera Sebile et Morgue - qui tant de bonté a - et nostres sires tel miracle i moustra»).
Thus, Sebile is now fully enrolled as Morgan's fairy mate, in a magical place which is a house of joy and eternal youth. A place, Monmur, which is located beneath a mountain (Fig. 5):
«Each of the ladies goes to Esclarmonde - Dame Oriande takes her by the hand - and dame Morgan by the other hand [...] - Dame Sibyl helps her to stand up [...] - To the Garden of Eden - To the fountain of youth that is there - they went there as soon as they thought of it - Under the mountain everybody has his own pleasure - The four dames all took her - and threw Esclarmonde in the fountain - Thrice they threw her in it - And she became handsome and had no more pain at all - when she went out from the fountain she was young - she will be thirty years old - until the end of the world».
[In the original French text: «A Esclarmonde cascune deles va - Dame Oriande par la main prise la - et dame Morgue par lautre le gbra [...] - Dame Sebile au leuer li aida [...] - En paradis terrestre par dela - A la fontaine de Jouent quil i a - tantost i furent ele devisa - Sus la montaigne cascune joie a - Les IV dames cascune prise la - En la fontaine Esclarmonde bouta - Et par III fois cascune le bouta - Adont fu bele ne nule dolour na - Si jou(e)ne fu quant on len resaca - a XXX ans deage ou pint sera - Dusque adont que li mons finera»].
And another magical mountain is mentioned, one we already know (Fig. 6):
«Great was the joy they felt - But that joy did not last for long - Because King Arthur was to leave for Mount Etna» (in the original French text: «Grans fu la joie que on i demena - Mais cele joie out petit lor dura - Car rois Artus a Mongibel sen va»).
So a golden thread unwinding across the centuries connects Morgan to Sebile. The two figures seem to be so thoroughly intertwined that not only they are represented as companions, but they become almost interchangeable.
And in the fourteenth century, around a hundred years before “Guerrino the Wretch” and “The Paradise of Queen Sibyl” were written, both fays, Morgan and Sebile, appear to be connected to an enchanted mountain, in which eternal youth and pleasures can be experienced.
Are we getting closer to our Apennine Sibyl? Of course we are. And we are going to make a further step ahead in the next article.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /19. Morgana e Sebile insieme nella stessa compagnia
Nei precedenti articoli, abbiamo posto in evidenza le molteplici sovrastrutture letterarie che sono state aggiunte alla leggenda della Sibilla Appenninica, nella forma di episodi, narrazioni e situazioni che risultano essere presenti nel "Guerrin Meschino" di Andrea da Barberino e nel "Paradiso della Regina Sibilla" di Antoine de la Sale, e la cui origine può essere rintracciata in più antichi romanzi cavallereschi, opere poste per iscritto nel corso del Medioevo. Successivamente, abbiamo seguito le tracce di Morgana la Fata, i cui tratti sono andati modificandosi nel corso dei secoli, finché essa non si è trasformata in una figura assai simile a quella della Sibilla Appenninica. Abbiamo anche visto come Morgana e le Sibille classiche risultino essere strettamente collegate, a partire dell'"Erec" di Hartmann von Aue e passando per “Le Livre de Lancelot del Lac”, in cui un personaggio di nome «Sebile» viene rappresentata come una amica e frequentatrice di Morgana, nonché come una potente maga.
Questa Sebile è descritta anche in altri luoghi come un'intima conoscente di Morgana e di altre potenti negromanti. Andiamo a considerare il racconto narrato nell'antico romanzo “Prophécies de Merlin”, un'opera redatta, secondo gli studiosi, attorno al 1275, forse in Italia, a Venezia. Disponiamo di un bellissimo esemplare di questo romanzo, contenuto nel manoscritto Additional 25434 conservato presso la British Library di Londra, databile all'inizio del quattordicesimo secolo.
In questa narrazione, è possibile rinvenire un divertente episodio concernente Sebile, Morgana, una Regina di Norgales e una dama di Avalon (trattata in questa sede come un personaggio diverso da Morgana). Tutte queste figure sono descritte come abilissime maghe, e Sebile è apertamente definita come 'l'incantatrice' (Fig. 1). Il brano pone in scena un curioso combattimento magico tra la dama di Avalon, da un lato, e le altre tre fate dall'altro, in due successive fasi. La dama di Avalon, però, risulta essere assai più potente e, utilizzando i propri anelli magici, è in grado di respingere tutti gli incantesimi scagliati contro di essa da Sebile, dalla Regina di Norgales e poi anche da Morgana, lasciando le negromanti «tutte nude e vergognose» («furent toutes nues et eles erent honte» in antico francese) (Fig. 2).
Malgrado ciò, Sebile e le altre sono descritte come grandi amiche, e l'episodio termina con la dama di Avalon che abbraccia le altre fate con affetto («lors li giete la dame davalon les bras au col» in antico francese) (Fig. 3):
«La dama di Avalon ne ebbe grande gioia e divertimento, e altrettanto grande fu la gioia della Regina di Norgales e di Sebile l'incantatrice».
[Nel testo originale in antico francese: «Agrant ioie et agrant fete eu la dame davalon et mout fust grande ioie de la reyne de norgales et de sebile lenchanterresse»].
Ancora una volta, possiamo vedere un'antica fonte letteraria affermare come Morgana la Fata e Sebile l'Incantatrice fossero grandi amiche. E anche potentissime maghe. I due personaggi si conoscevano bene e si mostravano assieme sulla scena, condividendo una medesima narrazione e uno stesso magico episodio. E sembrerebbe che l'intero racconto possa essere stato scritto a Venezia: ciò significherebbe che più di cento anni prima dell'apparizione di una Sibilla Appenninica, gli amanuensi italiani fossero ben a conoscenza della stretta relazione che sussisteva tra Morgana e Sebile.
E giunge anche il tempo in cui questa intima conoscente di Morgana va direttamente a sostituire Morgana medesima nel suo ruolo di signora di un magico castello: sarà addirittura la Sibilla, «Sebile», la dama nella quale ci imbatteremo dopo avere attraversato il portale incantato e avere fatto ingresso nella stregata dimora.
Questo è esattamente ciò che ha luogo in "Huon de Bordeaux", il poema epico risalente al tredicesimo secolo da noi già considerato in un precedente articolo. E questo accade proprio oltre i flagelli metallici che frustano e colpiscono incessantemente nell'aria (un'altra rappresentazione delle magiche porte di metallo che Antoine de la Sale inserirà successivamente nel proprio resoconto della sua visita alla grotta della Sibilla):
«Il figlio di Sewin [Huon], originario di Bordeaux, assestò tre colpi molto forti sul bacile d'oro [che si trovava accanto ai due guardiani di bronzo]. Una giovane nel palazzo udì il suono, Sebile era il suo nome, fanciulla di grande bellezza» [nel testo originale francese: «Li fieus Sewins, de Bordiax la cité, Sour le bacin qui fu f'or esmeré a fru trois cos par moult grande fierté. Une pucele ou u palais listé, Sebile ot nom, moult par ot de biauté; Si tost comme ot le bacin d'or sonner, A le fenestre s'en est venue ester, et voit Huon qui veut laiens entrer»].
E ci sono anche esempi in cui questa «Sebile» ricompare al fianco di Morgana, in un medesimo scenario fiabesco nel quale viene descritto un luogo incantato connesso a un qualche genere di montagna. Tutto ciò accade ne «La Chanson d'Esclarmonde», un poema che racconta ulteriori gesta di Huon de Bordeaux, e il cui testo può essere consultato nel manoscritto L.II.14 conservato presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino (folia 354v-374r), risalente, secondo gli studiosi, all'anno 1311. In questo articolo, seguiremo la trascrizione fornita da Max Schweigel nel 1889.
Il Re Huon e la sua amante Esclarmonde vengono trasportati fino alla magica terra di Monmur, della quale il re è Auberon (un personaggio che in seguito apparirà nel "Sogno di una notte di mezza estate" di William Shakespeare con il nome di 'Oberon'). In questo luogo, a dare loro il benvenuto è una distinta compagnia di fatate figure (Fig. 4):
«A Monmur [...] Le quattro dame [...] - Dama Oriande, dama Marse, Sebile e Morgana - che è così buona - e tanti miracoli seppe mostrare» (nel testo originale francese: «a Monmur [...] Les IV dames [...] - Dame Oriande dame Marse i sera Sebile et Morgue - qui tant de bonté a - et nostres sires tel miracle i moustra»).
E dunque, Sebile è ora pienamente arruolata come fata amica di Morgana, in un magico luogo che è la dimora della gioia e dell'eterna giovinezza. Un luogo, Monmur, che si trova all'interno di una montagna (Fig. 5):
«Ognuna delle dame si presenta a Esclarmonde - Dama Oriande la prende per la mano - E dama Morgana la prende per l'altra [...] - Dama Sebile la aiuta ad alzarsi [...] - Al paradiso terrestre - Alla fontana della giovinezza che lì si trova - furono subito al solo pensiero - Sotto la montagna ciascuno trova la propria gioia - Le quattro dame tutte insieme la presero - E gettarono Esclarmonde nella fontana - E per tre volte ciascuna ve la gettò - Ed essa divenne bellissima e più non ebbe dolore - Così giovane divenne quando ne uscì - Solo trent'anni essa avrà - fino a che il mondo non finirà».
[Nel testo originale francese: «A Esclarmonde cascune deles va - Dame Oriande par la main prise la - et dame Morgue par lautre le gbra [...] - Dame Sebile au leuer li aida [...] - En paradis terrestre par dela - A la fontaine de Jouent quil i a - tantost i furent ele devisa - Sus la montaigne cascune joie a - Les IV dames cascune prise la - En la fontaine Esclarmonde bouta - Et par III fois cascune le bouta - Adont fu bele ne nule dolour na - Si jou(e)ne fu quant on len resaca - a XXX ans deage ou pint sera - Dusque adont que li mons finera»].
E anche un'altra magica montagna viene qui menzionata, un monte che già conosciamo (Fig. 6):
«Grande fu la gioia che regnò - Ma questa gioia non a lungo durò - Perché Re Artù verso il Mongibello [il Monte Etna] doveva partire» (nel testo originale francese: «Grans fu la joie que on i demena - Mais cele joie out petit lor dura - Car rois Artus a Mongibel sen va»).
E così, un filo dorato snodantesi attraverso i secoli pare connettere Morgana a Sebile. Le due figure sembrano essere così strettamente connesse l'una all'altra da non essere rappresentate solamente come compagne, ma anche come personaggi quasi intercambiabili.
E, nel quattordicesimo secolo, circa un centinaio di anni prima che fossero vergati "Guerrin Meschino" e "Il Paradiso della Regina Sibilla", entrambe le fate, Morgana e Sebile, risultano essere legate a una montagna d'incantamento, nella quale è possibile esperimentare giovinezza eterna e piaceri senza fine.
Stiamo forse avvicinandoci, ancora di più, alla nostra Sibilla Appenninica? Certamente. E andremo a compiere un un ulteriore passo in avanti nel prossimo articolo.
29 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /18. Morgan, Sebile and a wretched knight
With this series of articles, we are trying to unveil the true essence of the legend of the Apennine Sibyl. To this purpose we are seeking to remove the many literary additions that have been conferred to the sibilline myth throughout the centuries.
Our guess is that the character of a Sibyl of the Apennine was basically taken from a much more antique profile: Morgan le Fay, a primary figure belonging to the Arthurian cycle.
What can we say up to now? What sort of results has our search achieved so far? Let's try to summarize our preliminary findings.
Following our initial finding that no Apennine Sibyl is ever mentioned in antiquity, and considering a number of narrative episodes contained in earlier chivalric works which seem to portray a number of situations we already encountered in the Apennine Sibyl's literature, with Morgan the Fay appearing in a similar role at least in one instance (“Floriant et Florète”) and under an Italian mountain (a Sicilian volcano), we have started from the same Morgan and her original description as a benign healer and oracle, soon taking a decisive twist towards the portrait of an experienced necromancer and evil fay in close contact with the powers of the Netherworld, with a specific parallelism established with classical Sibyls as stated by Hartmann von Aue in his “Erec”. Moreover, Morgan began to be connected to a mountain and some sort of realm of joys. In addition to that, she started to be depicted as a lecherous woman, actually the most lecherous in the whole Britain. Finally, she liked to hold knights in an enchanted place of confinement, where they enjoyed their time by living a blissful life.
On the other side, we know that the Apennine Sibyl was an experienced necromancer and an evil fay, who lived in a subterranean realm, buried beneath a mountain. She was a lascivious being, and she enjoyed to hold the visiting knight as prisoners in her hidden abode, absorbed in an endless life of sensual joys.
Is that enough to say that the idea of an Apennine Sibyl was possibly inspired by Morgan le Fay?
Can all that be just trivial coincidences? Just mere chance? Just obvious correspondences that may possibly happen, with some sort of frequency, in a same chivalric literary setting?
The answer is certainly no. This is no coincidence.
There is a strict connection between Morgan and Sibyls. And this connection is stated once more - after having already been declared by Hartmann von Aue in his “Erec” dating to 1185 - in “Le Livre de Lancelot del Lac”, the French romance we already saw in previous articles, which dates to the early fourteenth century and possibly even earlier.
Let's fly again through the leaves of manuscript Add. 10293 preserved at the British Library in London. At Folium 281v we find a truly amazing episode, that of a sleeping Lancelot, caught in the forest in such defenseless state by three fairies. Three fairies, of whom one is Morgan, and a second one bears a name that is not the product of chance (Fig. 1):
«While Lancelot was sleeping [...] a Queen who reigned over the land of Sorestan passed by [...] And she saw Lancelot's horse grazing the grass [...] So she called for two dames [of her retinue] of which the first was Morgan le Fay - and the other Sebile - And the two were the most skilled women in the world as to enchantments, apart from the Lady of the Lake».
[In the original Old French text: «quant lancelot fu remes dormant [...] par illuec passa une Royne qui estoit raine de la terre de sornestan [...] Et elle regarda le cheval lancelot qui paissoit de lerbe [...] Si apela ii dames dont li vne auoit anon Morgue la fee - et l'autre sebile - Et ce estoient les ii femmes del monde qui plus sauoient denchantemens sans la dame del lac»].
Who do we find here as a member of a most distinguished company, including a queen and our well-known Morgan le Fay? We find nothing less but «Sebile», the Old French world for 'Sibyl' (Fig. 2). And we are also told that Morgan and Sibyl are the greatest wizards in the whole world, beside the Lady of the Lake (another character playing an important role in the Matter of Britain, to her belongs the arm handing the sword Excalibur over to King Arthur out of the the waters of an enchanted lake). A supreme magical power that we saw had been already acknowledged by Hartmann von Aue, who had expressed a similar comparison in his poem “Erec”.
Once more, Morgan and Sibyl - also appearing in other “Lancelot”'s manuscripts as «Sebille» or «Sibile», as H. Oskar Sommer reports - show their close relationship: now they start travelling together, with a Sibyl embodied in a brand new literary character, a witchess that sounds as a sort of alternative identity of Morgan herself, being endowed with comparable powers.
What do the two ladies do with poor sleeping Lancelot? If you remember, they both seem to share a common tendency for detaining brave knights in confinement. So they fetch Lancelot to their castle and awake him. However, they fail to recognise him, and he does not tell them his own name.
Now the Queen of Sorestan, Morgan le Fay and Sebile, in their most charming attire, ask the bewildered knight to pick his choice: which one of the three will he elect as his lover? However, he refuses to choose, a great offence to the three sensual ladies (who are portrayed together in a charming miniature at Folium 281v - Fig. 3).
Subsequently, when a damsel, who is in charge to look after him in the prison, asks him for his name, he sadly unveils his own identity, that of an unfortunate knight who lost his father, inheritance and rank (Fig. 4):
«My name is Lancelot of the Lake, the Wretch».
[In the original Old French text: «iou ai a non lancelot del lac li mescheans»].
So we have a Sibyl and a wretched knight: Lancelot of the Lake.
The perfume of the right trail is now becoming stronger and stronger, if we just think of the Apennine Sibyl and the knight hero who meets her in Andrea da Barberino's fifteenth-century romance: Guerrino, also known as the «Meschino».
«Meschino»: the Italian word which exactly matches the Old French word «mescheans», or 'wretch'.
Morgan and the Apennine Sibyl are now almost touching by the tips of their magical, literary fingers. An amazing encounter which seems to take place after the crossing by the two enchantress of a mythical bridge spanning over an abyss of centuries.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /18. Morgana, Sebile e un cavalier meschino
Con questa serie di articoli, stiamo cercando di svelare la vera essenza della leggenda della Sibilla Appenninica. A questo scopo, stiamo cercando di rimuovere le molteplici sovrastrutture letterarie che sono state poste al di sopra del mito sibillino nel corso dei secoli.
L'ipotesi che stiamo considerando si basa sulla congettura che la figura della Sibilla degli Appennini sia stata sostanzialmente derivata da un profilo ben più antico: quello di Morgana la Fata, un personaggio di primaria rilevanza nell'ambito del ciclo arturiano.
Ma cosa possiamo affermare, fino a questo momento? Che genere di risultati siamo stati in grado di conseguire, finora? Proviamo a ricapitolare le nostre iniziali scoperte.
Successivamente alla nostra verifica del fatto che nessuna Sibilla Appenninica viene mai menzionata nell'antichità, e considerando come numerosi episodi narrativi, contenuti in precedenti romanzi cavallereschi, sembrino porre in scena una serie di situazioni già da noi rilevate nell'ambito della letteratura concernente la Sibilla degli Appennini, con Morgana la Fata raffigurata in un ruolo assai simile, quantomeno nell'ambito di una specifica occorrenza (“Floriant et Florète”), come abitatrice di una montagna italiana (un vulcano siciliano), abbiamo cominciato proprio dalla stessa Morgana e dalla sua originale rappresentazione in qualità di profetessa e benigna guaritrice. Una descrizione che, successivamente, ha subìto una drastica mutazione nella direzione di una fata malvagia e di un'abile negromante, in stretta relazione con le potenze del mondo infero, e con uno specifico parallelismo stabilito con le Sibille classiche nell'"Erec" di Hartmann von Aue. Oltre a tutto questo, la letteratura cavalleresca ha cominciato a porre in relazione Morgana con una montagna e con un qualche genere di regno di delizie. Inoltre, si è cominciato a rappresentarla come una donna lussuriosa, in effetti la più lussuriosa dell'intera Britannia. Infine, essa ha cominciato a manifestare una propensione verso il confinamento di cavalieri in un luogo chiuso e incantato, nel quale essi potessero comunque vivere una vita di gioie senza fine.
Dall'altro lato, sappiamo che la Sibilla Appenninica era un'esperta negromante e una maga malvagia, che abitava una dimora sotterranea, sepolta al di sotto di una montagna. Si trattava di un essere lascivo, che amava trattenere i cavalieri in visita come prigionieri all'interno della sua residenza nascosta, per immergerli in una vita di gioie sensuali e senza fine.
È sufficiente, tutto questo, per potere sostenere l'idea di una Sibilla Appenninica probabilmente ispirata alla figura di Morgana la Fata?
Potrebbe trattarsi, soltanto, di banali coincidenze? Solo di mera casualità? Di corrispondenze ovvie, che possono certamente capitare, con una certa frequenza, nell'ambito di un contesto letterario cavalleresco?
La risposta è sicuramente negativa. Non si tratta di semplici coincidenze.
Esiste infatti una stretta connessione tra Morgana e le Sibille. E questa connessione viene affermata ancora una volta - dopo essere stata dichiarata da Hartmann von Aue nel suo "Erec", risalente al 1185 - in “Le Livre de Lancelot del Lac”, il romanzo francese che già abbiamo avuto modo di considerare nei precedenti articoli, e che è databile all'inizio del quattordicesimo secolo, e forse a tempi ancora più antichi.
Proviamo a volare di nuovo attraverso i fogli del manoscritto Add. 10293, conservato presso la British Library a Londra. Al Folium 281v troviamo un episodio assolutamente significativo, relativo a un Lancillotto dormiente nella foresta, colto in tale vulnerabile condizione da tre fate. Tre fate, delle quali una è Morgana, e una seconda è portatrice di un nome che non pare essere affatto il prodotto di un caso (Fig. 1):
«Mentre Lancillotto si trovava così addormentato [...] di lì passò una Regina che regnava sulla terra di Sorestan [...] Ed essa notò il cavallo di Lancillotto che brucava dell'erba [...] Così chiamò altre due dame delle quali una aveva nome Morgana la Fata - e l'altra Sebile - E queste erano le due donne al mondo che più sapevano di incantamenti, a meno della Dama del Lago».
[Nel testo originale in antico francese: «quant lancelot fu remes dormant [...] par illuec passa une Royne qui estoit raine de la terre de sornestan [...] Et elle regarda le cheval lancelot qui paissoit de lerbe [...] Si apela ii dames dont li vne auoit anon Morgue la fee - et l'autre sebile - Et ce estoient les ii femmes del monde qui plus sauoient denchantemens sans la dame del lac»].
Chi troviamo qui in questa assai distinta compagnia, comprendente una regina e la fata, a noi ben nota, Morgana? Troviamo nientemeno che «Sebile», l'antica parola francese per 'Sibilla' (Fig. 2). E ci viene anche detto che Morgana e Sibilla sono le più grandi maghe dell'intero mondo, oltre alla Dama del Lago (un altro personaggio che interpreta un ruolo importante nella Materia di Bretagna, a lei appartenendo il braccio che emerge dalle acque di un lago incantato per consegnare a Re Artù la spada Excalibur). Un supremo potere magico che, come abbiamo visto, era già stato menzionato in precedenza da Hartmann von Aue, il quale aveva esplicitato un paragone simile nel proprio poema "Erec".
Ancora una volta, Morgana e Sibilla - che appare in altri manoscritti del "Lancelot" anche come «Sebille» o «Sibile», come segnalato da H. Oskar Sommer - manifestano la loro stretta relazione: ora esse si mostrano mentre viaggiano assieme, con una Sibilla incarnata in un personaggio letterario del tutto nuovo, una strega che pare rappresentare una sorta di identità alternativa della stessa Morgana, essendo dotata di poteri comparabili.
Cosa intendono fare, le due dame, del povero Lancillotto addormentato? Se ricordate, entrambe condividono una medesima passione per il confinamento di coraggiosi cavalieri in luoghi di prigionia. E, infatti, esse trasportano Lancillotto fino al loro castello, per poi ridestarlo. Ma non lo riconoscono, ed egli si premura di non rendere loro noto il suo nome.
Ora la Regina di Sorestan, Morgana la Fata e Sebile, nel loro abbigliamento più seducente, chiedono allo sbalordito cavaliere di fare la sua scelta: quale delle tre egli deciderà di eleggere come propria amante? Egli, però, si rifiuterà di scegliere, una gravissima offesa per le tre sensuali signore (che sono ritratte assieme in una bella miniatura contenuta nel Folium 281v - Fig. 3).
Poco dopo, quando una damigella, incaricata di prendersi cura di lui nella prigionia, gli chiede di rivelarle il suo nome, egli tristemente le svela la propria identità, quella di uno sfortunato cavaliere che aveva perduto il proprio padre, la propria successione e il proprio lignaggio (Fig. 4):
«Il mio nome è Lancillotto del Lago, il Meschino».
[Nel testo originale in antico francese: «iou ai a non lancelot del lac li mescheans»].
E così, abbiamo una Sibilla e un cavalier meschino: Lancillotto del Lago.
Il profumo della giusta pista sta ora diventando sempre più intenso, se solo pensiamo alla Sibilla Appenninica e al cavaliere eroe che la incontrerà nel romanzo quattrocentesco di Andrea da Barberino: Guerrino, conosciuto come il «Meschino».
«Meschino»: la parola italiana che corrisponde con esattezza all'antica parola francese «mescheans».
Morgana e la Sibilla Appenninica si stanno ora quasi toccando con la punta delle loro letterarie, magiche dita. Un emozionante incontro che sembra avere luogo dopo l'attraversamento, da parte delle due incantatrici, di un mitico ponte che si protende, con un lungo arco, sopra un abisso di secoli.
27 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /17. Many knights imprisoned by different fays
It truly appears that the literary character of Morgan le Fay, King Arthur's half-sister in the poems and romances belonging to the Matter of Britain, has undergone a transformation process across the twelfth, thirteenth and fourteenth centuries, as all scholars have already recorded in a vast number of research papers.
The interesting aspect is that the evolutionary path achieved by Morgan seems to head unswervingly towards a figure that is not so different from the Apennine Sibyl we already know, a character who popped up almost from nothing at the beginning of the fifteenth century.
Are we treading the right road? Maybe yes, because we just need to follow the succeeding steps in Morgan's transformation to retrieve further astounding findings.
Let's open again the vellum leaves of “Le Livre de Lancelot del Lac”, as taken from the illuminated manuscript Add. MS 10293 preserved at the British Library in London, dating to the early fourteenth century. At Folium 167r we strike upon another remarkable peculiarity, specifically referred to Morgan le Fay.
Because Morgan, in grief and wrath after an unsuccessful love affair, has cast a spell over a valley, which is turned into an enchanted prison for knights (Fig. 1):
«a valley [...] from which no knight nor friends of him can leave once they have entered it - if they hold in their soul a love which is untrue [...] The valley was full of knights and was encircled by the air - And as soon as a knight entered it - he could not leave it - he was not allowed to leave because he was a knight [...] So it was that valley - the people of the country called it the Valley of No Return - and others called it the Valley of Untrue Lovers».
[In the original Old French text: «vn val [...] que iamais a nul ior nen isteroit sez amis ne chevaliers qui y entrast aussi - portant quil eust vers amors fausse [...] Li vals estoit tous plains de chevaliers et estoit tous enclos del air - Et si tost com vns chevaliers y entrast - ia puis issuee ne entree ni veist - ne nen peust issir pourcoi il fust chevaliers [...] En tel maniere estoient el val - si lapeloient cil del pais le val sans retor - Et li autre le val des faus amans»].
So it is apparent that Morgan le Fay shares another remarkable trait with the Sibyl of the Apennines: they both have a penchant for confining knights in some kind of restricted area bounded by witchcraft, the Sibyl's cave for the latter and the Valley of No Return for the former.
However, the Sibyl's cave was a land of eternal joy, provided with all sort of riches and food, and gladdened by the presence of sensual, beautiful damsels. And what about the Valley of No Return? Let's read what the manuscript reports (Fig. 2):
«And some of the knights had with them their lovers, and their squires who from their estates brought to them their goods and clothes and birds and food - So they had all a man's heart may wish for - and there also were many nice abodes [...]»
[In the original Old French text: «Et de tels y auoit qui y orent lor amies par amors auec euls et lor ualles qui de lor terres lor aportoient lor aportoient lor relies et lor reubes et lor oisiaus et qui lor atornoient lor viandes - Et neporquant il auoient quant que a cors domme puet apartenir - et moult y auoit de beles mesons [...]».
A similar tale is told in “Le Livre d'Artus”, another romance belonging to the 'Vulgata Cycle' (Bibliothèque Nationale de France, Département des Manuscrits, Français 337). Morgan le Fay, turned down by Queen Guinevere following an inappropriate love affair, flees to the forest of Sarpenic and, by the power of her magic, «had that the most beautiful abode in the world built for her convenience» (in the original Old French text: «fist faire sales por ester les plus beles du monde»). There, she set up her confinement place (Folia 187v and 188r - Fig. 3):
«Morgan cast her spell [...] with such a might that all the knights and all the dames who acted insincerely in their love affairs [...] be never allowed to leave once they had entered».
[In the original Old French text: «si gita Morganz son enchantement [...] qui ot tel force que tuit li chevalier et toutes les dames qui eussent fausse en lor amors [...] sil i entrassent iamet ne sen issent»].
Sure there are many differences between the two confinement places, Morgan's and the Sibyl's, as the Valley of No Return allows squires to come and go from the site, which only confines knights, and the Valley also contains chapels to attend the religious service: two features that are not available at the Sibyl's cave.
However, the overall impression is that a same type of magical place is devoted to the confinement of knights: each person of that rank, once entered, «is forced to stay there» («il y est remes a force» in the “Lancelot” - Fig. 4). Both places are ruled by a similar evil queen. And both places, though a product of witchcraft, offer some sort of blissful life, a reminiscence of antique Avalon, Morgan's enchanted island.
Morgan le Fay and the Apennine Sibyl. Two figures who seem to get closer and closer to each other as centuries unfold.
Just an insubstantial illusion? Just a chimerical fancy?
Not in the least. Because, as we will see in the next article, the character of Morgan will begin to actually merge with that of a Sibyl. And it won't be only a matter of merging traits and features, as we already saw.
It will be a matter of far more solidity. It will be a matter of names.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /17. Vari cavalieri imprigionati da diverse fate
È del tutto palese come il personaggio letterario di Morgana, la sorellastra di Re Artù, nei poemi e romanzi che costituiscono la Materia di Bretagna, abbia subìto un processo di trasformazione nel corso dei secoli dodicesimo, tredicesimo e quattordicesimo, come tutti i ricercatori hanno già da tempo avuto modo di rimarcare nell'ambito di un vasto repertorio di studi scientifici.
L'aspetto interessante di tutto ciò è che il percorso evolutivo compiuto da Morgana sembrerebbe dirigersi, senza affatto deviare, verso una figura non particolarmente differente da quella Sibilla Appenninica che già conosciamo, un personaggio apparso praticamente dal nulla all'inizio del quindicesimo secolo.
Siamo o non siamo sulla strada giusta? Forse sì, perché non dobbiamo fare altro che seguire i passi successivi nell'evoluzione di Morgana la Fata per rinvenire interessantissimi risultati ulteriori.
Andiamo ad aprire nuovamente le pagine di pergamena di “Le Livre de Lancelot del Lac”, così come contenute nel manoscritto miniato Add. MS 10293 conservato presso la British Library a Londra, databile all'inizio del quattordicesimo secolo. Al Folium 167r, ci imbattiamo in un'altra peculiarissima caratteristica, specificamente riferita a Morgana la Fata.
Perché Morgana, dolente e rabbiosa a causa di una questione d'amore conclusasi sfavorevolmente, ha lanciato un incantesimo su di una vallata, che viene dunque trasformata in un magico luogo di prigionia per cavalieri (Fig. 1):
«una valle [...] dalla quale nessun cavaliere né i suoi amici potrebbero mai uscire se vi entrassero - se albergasse nel loro animo un falso amore [...] La valle era piena di cavalieri ed era circondata dall'aria - E non appena un cavaliere vi faceva ingresso - non avrebbe potuto uscirne - non gli sarebbe stato permesso di uscirne perché era un cavaliere [...] Tale era la valle - tanto che quelli del paese la chiamavano la Valle Senza Ritorno - E altri la Valle dei Falsi Amanti».
[Nel testo originale in antico francese: «vn val [...] que iamais a nul ior nen isteroit sez amis ne chevaliers qui y entrast aussi - portant quil eust vers amors fausse [...] Li vals estoit tous plains de chevaliers et estoit tous enclos del air - Et si tost com vns chevaliers y entrast - ia puis issuee ne entree ni veist - ne nen peust issir pourcoi il fust chevaliers [...] En tel maniere estoient el val - si lapeloient cil del pais le val sans retor - Et li autre le val des faus amans»].
È dunque chiaro come Morgana condivida un'altra significativa caratteristica con la Sibilla degli Appennini: entrambe mostrano una specifica inclinazione al confinamento di cavalieri all'interno di un qualche genere di luogo di restrizione, delimitato grazie alla stregoneria, la grotta della Sibilla per l'abitatrice dei Monti Sibillini e la Valle Senza Ritorno per la maga arturiana.
Nondimento, la grotta della Sibilla era un luogo di eterne gioie, ben fornito di ogni sorta di cibi e ricchezze, e rallegrato dalla presenza di damigelle bellissime e sensuali. Cosa possiamo dire, invece, della Valle Senza Ritorno? Vediamo cosa ci racconta il manoscritto (Fig. 2):
«E vi erano alcuni cavalieri che avevano con sé le proprie amanti, e i propri scudieri che dai rispettivi possedimenti portavano loro beni e vesti e uccelli e cibi - E quindi essi disponevano di tutto ciò che un cuore d'uomo possa desiderare - e vi erano anche delle bellissime dimore [...]»
[Nel testo originale in antico francese: «Et de tels y auoit qui y orent lor amies par amors auec euls et lor ualles qui de lor terres lor aportoient lor aportoient lor relies et lor reubes et lor oisiaus et qui lor atornoient lor viandes - Et neporquant il auoient quant que a cors domme puet apartenir - et moult y auoit de beles mesons [...]».
Un episodio analogo viene raccontato ne “Le Livre d'Artus”, un ulteriore romanzo appartenente al 'Ciclo in Vulgata' (Bibliothèque Nationale de France, Département des Manuscrits, Français 337). Morgana la Fata, respinta dalla Regina Ginevra a seguito di un'inappropriata vicenda amorosa, fugge nella foresta di Sarpenic e, grazie al potere della sua magia, «si fece costruire una dimora dove abitare, la più bella dimora del mondo» (nel testo originale in antico francese: «fist faire sales por ester les plus beles du monde»). E lì, la maga allestì un suo luogo di prigionia (Folia 187v e 188r - Fig. 3):
«Tanto lanciò Morgana il suo incantesimo [...] con tale forza che tutti i cavalieri e tutte le dame che non fossero in amore sinceri [...] mai non potessero uscirne se vi fossero entrati».
[In the original Old French text: «si gita Morganz son enchantement [...] qui ot tel force que tuit li chevalier et toutes les dames qui eussent fausse en lor amors [...] sil i entrassent iamet ne sen issent»].
Certamente, sussistono varie differenze tra i due luoghi di prigionìa, quello creato da Morgana e quello della Sibilla, perché la Valle Senza Ritorno permette agli scudieri di andare e venire da quel luogo, che trattiene in prigionia i soli cavalieri; inoltre, la Valle contiene anche delle cappelle presso le quali prendere parte ai servizi religiosi: due caratteristiche che non sono di certo disponibili nella grotta della Sibilla.
Eppure, l'impressione generale è quella di una medesima tipologia di luogo magico, destinata al confinamento dei cavalieri: ogni personaggio di siffatto rango, una volta entrato, «è costretto a rimanervi» («il y est remes a force» nel “Lancelot” - Fig. 4). Entrambi i luoghi sono governati da un'analoga regina malvagia. Ed entrambi i luoghi, benché rappresentino il prodotto di arti negromantiche, offrono una vita di gioie e delizie, un ricordo dell'antica Avalon, l'isola incantata della guaritrice Morgana.
Morgana la Fata e la Sibilla Appenninica. Due figure che sembrano avvicinarsi sempre più l'una all'altra, mentre i secoli continuano a scorrere.
Solo un'incorporea illusione? Solamente una chimerica fantasia?
No, per nulla. Perché, come potremo vedere nel prossimo articolo, il personaggio di Morgana comincerà effettivamente a fondersi con quello di una Sibilla. E non sarà solo questione di mescolanze di tratti e caratteristiche, come già abbiamo avuto modo di rilevare.
Si tratterà, invece, di una questione ben più sostanziale. Una questione di nomi.
25 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /16. Morgan, an inviting, ardent sorcerer
Bit by bit, step by step we are venturing into a most flimsy but wholly substantial trail, which is leading our enquiry from Morgan le Fay, an antique character belonging to the Matter of Britain and the Arthurian cycle, to the Apennine Sibyl, living beneath a mountain which raises its cliff in the Italian Apennines.
We have started from Morgan le Fay and her original description as a benign healer and oracle, soon turning into an experienced necromancer and an evil fay in close contact with the powers of the Netherworld, and connected to a mountain and to some sort of realm of joys. In the medieval works in which references to that are found, Morgan's mountain does not appear to be set in the Italian Apennines.
We are now about to witness the next phase in her transformation. And we will do it by opening the vellum leaves of a precious illuminated manuscript (Additional MS 10292) preserved at the British Library in London, which contains, among many fine miniatures, a beautiful image which portrays young Arthur in the very moment he draws the magical kingly sword from the stone (Fig. 1).
The manuscript, dating to 1316, bears testimony to the great diffusion of the Matter of Britain among French-speaking readers, with what scholars calls the “Lancelot-Grail” or the “Vulgata Cycle”, an elaboration process that had already started in the early thirteenth century.
The manuscript contains “Lestoire de Merlin” (“The History of Merlin”) and in it a new astounding description of Morgan le Fay is set down. At Folium 152r, we find again the Morgan we already know, a skilled necromancer and savant (Fig. 2):
«[...] Morgan, who had been a clever student with Merlin [...] many wonders she learned from him about astronomy and necromancy and she gained a wide knowledge of them» (in the original Old French text: «[...] Morgain de merlin qui moult estoit boine clergesse [...] maintes merveilles li aprinst dastrenomie et dingremance et ele les detint moult bien»).
But then, at Folium 177r, this description takes an utterly different hue. At the beginning, the author insists on the great proficiency acquired by Morgan in all arts (Fig. 3):
«she was a most talented scholar - and she had a deep knowledge of astronomy because Merlin had taught her - [...] and she had learned so much that she was called, by the people in her own country and throughout the world, Morgan the Fay, King Arthur's sister, owing to the wonders she achieved across the country»
[In the original Old French text: «si estoit a merveilles boine cleriesse - et dastrenomie savoit ele asses car merlins len avoit aprinse - [...] et tant aprinst qui puis fu ele des gens del pais et de la terre appelee morgain la fee la seror le roy artu por les merveilles que ele fist puis el pais»].
Finally, the most striking words are written (Fig. 4):
«This Morgan was a young damsel and very cheerful and lively - but she was dark in her face, her flesh round without being too skinny nor too plump - but she was very inviting and attractive in her body, and her limbs were so wonderfully well-shaped and lissome and graceful - But she was the most ardent woman in all Britain, and the most lecherous».
[In the original Old French text: «Icele morgain iert iouene damoisele et gaie durement et moult enuoisie - mais moult estoit brune de vis et dune roonde charneure ne trop maigre ne trop cras - mais moult estoit aperte et avenans de cors et de menmbres si estoit droite et plisans a merveilles et bien chantans - Mais ele estoit la plus chaude feme de toute la grant bertaigne et la plus luxurieuse»].
Here we are: another step in the transformation of Morgan le Fay into something else has now been performed, with the appearance of an unchaste, lascivious sinner who, in the lines that follow, beguiles the knight Guyomar and has an encounter with him.
And this new voluptuous trait of Morgan will never leave Arthur's sister. For instance, we also find it in “Le Livre de Lancelot del Lac”, another French romance which is part of the “Vulgata Cycle”. Let's read the following excerpt taken from British Library's manuscript Add. MS 10293 (Folium 169v), written in the early fourteenth century (Fig. 5):
«She was unworthy and ardent with lust» (in the Old French text: «Elle fu laide et chaude de luxure»).
With “Lestoire de Merlin” and “Le Livre de Lancelot del Lac”, Morgan le Fay has taken on an additional trait which draws her nearer to the prophetess and evil sorcerer we know from Andrea da Barberino's romance “Guerrino the Wretch” (Fig. 6):
«the handsomest woman his eyes had never beheld; [...] she is Dame Sibyl [...] She had in herself all beauty and honesty; her limbs were of perfect gracefulness and of larger size than in common women, and she was of so attractive a colour that he was nearly deflected from his firm resolution [...] she showed him her own beauty and her white flesh and her breasts which looked like polished ivory».
[In the original Italian text: «una bella donna piu che li ochii soi mai havesse veduto; [...] quella e madona la Sibilla [...] Era in lei tuta belleza et honesta; li membri soi era de smesurata zentileza de grandezza piu che comuneuale e tanta colorita che quasi del suo proposito el cauo [...] mostrandoli la sua belleza e le sue bianche carne e le mamelle che pareano proprio che fosseno da volio»].
However, this gradual transformation process is not yet over. In the next article, we will witness to another mutation in the distinguishing aspects of Morgan le Fay. This time, it will be a new inclination shown by the fairy for the confinement of brave knights in enchanted prisons: a tendency that the Apennine Sibyl will share as well. As we will see in the next article.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /16. Morgana, una maga lasciva e seducente
Poco a poco, passo dopo passo, ci stiamo avventurando lungo un percorso appena visibile eppure marcatamente sostanziale, il quale sta conducendo la nostra investigazione da Morgana la Fata, una delle più antiche figure appartenenti alla Materia di Bretagna e al ciclo arturiano, verso la Sibilla Appenninica, dimorante al di sotto di una montagna che innalza la propria cima tra gli Appennini d'Italia.
Abbiamo cominciato da Morgana e dalla sua rappresentazione originaria in qualità di profetessa e benigna guaritrice, presto tramutatasi in un'abile negromante e fata malvagia, in stretto contatto con le potenze infere, nonché in associazione con una montagna e con una qualche sorta di regno di delizie. Nelle opere medievali contenenti questi riferimenti, la montagna di Morgana non pare affatto essere collocata tra le cime degli Appennini.
Stiamo ora per assistere alla successiva fase di questa trasformazione. E lo faremo aprendo le pagine di pergamena di un prezioso manoscritto miniato (Additional MS 10292) conservato presso la British Library a Londra; un manoscritto che contiene, tra molte affascinanti miniature, anche una bella immagine che ritrae il giovane Artù nel momento stesso in cui egli estrae la magica spada regale dalla roccia (Fig. 1).
Questo manoscritto, risalente al 1316, testimonia della grande diffusione della Materia di Bretagna tra i lettori di lingua francese, tramite ciò che gli studiosi chiamano il “Lancillotto-Graal” o il "Ciclo in Vulgata", un processo elaborativo che aveva già avuto inizio nella prima parte del tredicesimo secolo.
Il manoscritto contiene “Lestoire de Merlin” (“La Storia di Merlino”) e, in esso, possiamo rinvenire una nuova e straordinaria descrizione di Morgana la Fata. Al Folium 152r, possiamo trovare ancora la Morgana che già conosciamo, negromante esperta e saggia sapiente (Fig. 2):
«[...] Morgana, che era stata una diligente allieva di Merlino [...] molte meraviglie egli le aveva insegnato d'astronomia e negromanzia ed ella le aveva ottimamente apprese» (nel testo originale in antico francese: «[...] Morgain de merlin qui moult estoit boine clergesse [...] maintes merveilles li aprinst dastrenomie et dingremance et ele les detint moult bien»).
Ma, successivamente, al Folium 177r, questa descrizione assume una tonalità del tutto differente. All'inizio, l'autore ribadisce ancora la grande padronanza acquisita da Morgana in tutte le arti (Fig. 3):
«era una allieva di grande talento - e d'astronomia ella tutto conosceva perché da Merlino aveva ogni cosa appresa - [...] e aveva imparato così tanto che ella fu chiamata, dalle genti della sua terra e del mondo intero, Morgana la Fata, sorella di Re Artù, a causa delle meraviglie che fu capace di compiere nel paese».
[Nel testo originale in antico francese: «si estoit a merveilles boine cleriesse - et dastrenomie savoit ele asses car merlins len avoit aprinse - [...] et tant aprinst qui puis fu ele des gens del pais et de la terre appelee morgain la fee la seror le roy artu por les merveilles que ele fist puis el pais»].
E poi, le parole più sbalorditive (Fig. 4):
«Questa Morgana era una giovane damigella, molto gaia e vivace - ma molto era oscura nel viso, d'un incarnato tornito senza essere né troppo magra, né troppo grassa - ma molto era essa invitante e attraente nel corpo, e le membra aveva così ben formate e languide e graziose - Ma essa era la più ardente femmina di tutta la Britannia, e la più lasciva».
[Nel testo originale in antico francese: «Icele morgain iert iouene damoisele et gaie durement et moult enuoisie - mais moult estoit brune de vis et dune roonde charneure ne trop maigre ne trop cras - mais moult estoit aperte et avenans de cors et de menmbres si estoit droite et plisans a merveilles et bien chantans - Mais ele estoit la plus chaude feme de toute la grant bertaigne et la plus luxurieuse»].
Ed eccoci arrivati: un ulteriore passo nella trasformazione di Morgana la Fata in qualcosa di diverso è stato compiuto, con l'apparizione di un'impura, lasciva peccatrice la quale, nei versi che seguono, seduce il cavaliere Guyomar e ha un incontro con lui.
E questo nuovo, voluttuoso tratto di Morgana non abbandonerà mai più la sorella di Artù. Ad esempio, lo rinveniamo nuovamente ne “Le Livre de Lancelot del Lac”, un ulteriore romanzo francese facente parte del "Ciclo in Vulgata". Andiamo a consultare il seguente brano, tratto dal manoscritto Add. MS 10293 (Folium 169v) conservato presso la British Library e risalente all'inizio del quattordicesimo secolo (Fig. 5):
«Era laida e ardente di lussuria» (nel testo in antico francese: «Elle fu laide et chaude de luxure»).
Con “Lestoire de Merlin” e “Le Livre de Lancelot del Lac”, Morgana ha assunto un nuovo tratto aggiuntivo, che contribuisce ad avvicinarla ulteriormente alla malvagia maga e profetessa che conosciamo dal romanzo "Guerrin Meschino" di Andrea da Barberino (Fig. 6):
«una bella donna piu che li ochii soi mai havesse veduto; [...] quella e madona la Sibilla [...] Era in lei tuta belleza et honesta; li membri soi era de smesurata zentileza de grandezza piu che comuneuale e tanta colorita che quasi del suo proposito el cauo [...] mostrandoli la sua belleza e le sue bianche carne e le mamelle che pareano proprio che fosseno da volio [avorio]».
Nondimeno, questa graduale trasformazione non è ancora giunta al proprio termine. Nel prossimo articolo, assisteremo a un'altra mutazione dei caratteri distintivi di Morgana. Questa volta, si tratterà di una nuova inclinazione, espressa dalla fata, concernente la segregazione di valorosi cavalieri all'interno di incantate prigioni: una predilezione che la Sibilla Appenninica condividerà anch'essa. Come avremo modo di vedere nel seguente articolo.
23 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /15. Morgan le Fay, an enchanted mountain, a place for blissful joy
We are now about to start from Morgan le Fay and move on through chivalric literature: there, at the very end of our path, we will behold the looming, sinister figure of the Apennine Sibyl.
Our first step moves from one of the masterpieces of German chivalric literature: the poem “Parzival”, written by Wolfram von Eschenbach at the beginning of the thirteenth century, around twenty years after Hartmann von Aue's “Erec”. We are going to find significant traces of Morgan le Fay in one of the most complete manuscripts bearing the poem's text: manuscript no. 857 preserved in the Stiftsbibliothek, the Library Hall of the benedictine abbey of St. Gall, Switzerland, and dating to around 1260.
And what do we find in “Parzival”? Again, we find Famorgan, or Morgan le Fay. And, for the first time, King Arthur's half-sister is mentioned in association with something new, a most significant feature, of a kind that had never been referenced before in Morgan's literary tradition: an enchanted mountain.
.
It happens in Chapter VIII, verse 400.8, when the knight Gawain encounters another knight, King Vergulaht (Fig. 1):
«Mazadan sent forth his [Vergulaht's] family - from the mountain of Famorgan - his origin was from the fays» (in the original Old German text: «sin geslaehte sante Mazadan - fur den berch ce Famorgan - sîn art was von der feien»).
And later in the epic, in Chapter IX, verse 496-8, the same association between Morgan le Fay and a mountain is stated once more, when another knight speaks as follows (Fig. 2):
«I have also engaged in many knightly combats before the mountain of Famorgan» (in the original Old German text: «Ich hân ouch manege tjost getan vor dem berch ze Famorgan»).
Thus not only Morgan is associated with a charmed island, that of Avalon, as reported by Geoffrey of Monmouth in his works “Vita Merlini” and “Historia Regum Britanniae”, dating to the first half of the twelfth century and referring to an antique tradition: now, for the first time ever, we find a literary mention in which a relationship between Morgan le Fay and a special, enchanted mountain is established. It is «dem berch ze Famorgan». With Wolfram von Eschenbach's “Parzival”, a small, significant step towards an evil fay living on or beneath a mountainous cliff has been taken.
Is that all? No, because “Parzival” hides a further clue which brings us closer to an Apennine Sibyl.
In two further passages (Chapter I, verse 56.19 and Chapter XII, verse 585.15), Morgan le Fay is associated to a most significant attribute, a magical “Land of Bliss” (Fig. 3):
«King Mazadan was their father - a fay led the king to Morgan - her name was Land-of-joy / [...] When Mazadan was king - who was brought to Morgan le Fay by Land-of-joy» (in the original Old German text: «der zweier vatr hiez Mazadan - den fuort ein feie in Morgan - diu hiez Terre de lascoye / [...] Sît her von Mazadane - den ze Famurgane - Terre delascoye fuorte - den iwer chraft do ruorte»).
So not only Morgan le Fay is connected to a mountain, she is also linked to a magical land where pleasure and bliss seem to rule. Though Wolfram von Eschenbach seems to attach the name “Land-of-joy” to a fay, most scholars believe that this is a mistaken reference to Avalon, the magical land, the “Blessed Isle” in the definition originally set down by Geoffrey of Monmouth.
In any case, something is slowly changing in the figure and traits of Morgan le Fay: from a benign healer living in a heavenly island, to a powerful witch and necromancer, a fay referenced in association with a mountain and a place of blissful joy.
An association that - we must not forget - is also stated in another thirteenth-century chivalric romance, “Floriant et Florète”, which we already saw in a previous article. In this poem, we found Morgan le Fay as the inhabitant of Mongibel, or Mount Etna, in southern Italy:
«Three fairies coming from the see - Their master is called - Morgan, King Arthur's sister - [...] and then took their way back, - towards Mongibel they headed - where their castle lay [...] - Know then, by your own eyes and with no lies - That this castle of Mongibel is enchanted - Know that the truth is as follows: - No one can ever die here».
[In the original Old French text: «Trois fées de la mer salée - La mestresse d'aux ert nommée - Morgain, la suer le roi Artu - [...] Aitant s'en tornernet, - Vers Mongibel s'acheminerent - Quar c'estoit lor mestre chastel [...] - Sachiès de voir et sanza mentir - Que cist chastuaus [Mongibel] si est feez; - Sachiéz que ço est veritez: - Nus hons ne puet caienz mori»].
Are we getting any nearer to our fifteenth-century Apennine Sibyl, a sorcerer whose abode lies in a magical cave set beneath an Italian mountain, in which unending sensual joys are offered to brave, unsuspecting knights?
Maybe. However, the progression towards an Apennine Sibyl is not in the least over. A further step is still to be taken toward a sensual, lecherous enchanter. That's what will happen in a French literary environment, with a transfer and an adaptation of the Matter of Britain to a different cultural milieu.
We are about to behold a further transformation of Morgan le Fay, as she appears in the romance “Lestoire de Merlin”: a seductive necromancer, a dark lady whose ensnaring fascination can well lure a knight into sin. As we will see in the next article.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /15. Morgana, una montagna incantata, un luogo di gioie e piaceri
Stiamo per intraprendere un viaggio che inizia da Morgana la Fata e si inoltra attraverso la letteratura cavalleresca: al termine di questo percorso, si staglierà l'oscuro, sinistro profilo della Sibilla Appenninica.
Muoviamo i nostri primi passi a partire da uno dei capolavori della letteratura cavalleresca di lingua tedesca: il poema "Parzival", scritto da Wolfram von Eschenbach al principio del tredicesimo secolo, circa venti anni dopo l'"Erec" di Hartmann von Aue. Stiamo per rinvenire significative tracce relative a Morgana all'interno di uno dei manoscritti maggiormente completi contenenti il testo del poema: si tratta del manoscritto n. 857 conservato presso la Stiftsbibliothek, la biblioteca dell'abbazia bendettina di San Gallo, in Svizzera, risalente al 1260 circa.
E cosa troviamo nel "Parzival"? Nuovamente, ci imbattiamo in Famorgan, o Morgana la Fata. E, per la prima volta, la sorellastra di Re Artù viene nominata in connessione con qualcosa di nuovo, un aspetto di grande rilevanza, di un genere mai apparso in precedenza nell'ambito della tradizione letteraria relativa a Morgana: una montagna incantata.
Tutto questo accade nel Capitolo VIII, al verso 400.8, in cui il cavaliere Galvano incontra un altro cavaliere, il re Vergulaht (Fig. 1):
«Mazadan portò la famiglia [di Vergulaht] - dalla montagna di Famorgan - la sua origine scaturiva dalle fate» (nel testo originale in antico tedesco: «sin geslaehte sante Mazadan - fur den berch ce Famorgan - sîn art was von der feien»).
E più avanti, nel poema, al Capitolo IV, verso 496-8, la medesima associazione tra Morgana e una montagna viene stabilita ancora una volta, quando un altro cavaliere si esprime nel seguente modo (Fig. 2):
«Ho anche ingaggiato molti cavallereschi combattimenti di fronte alla montagna di Famorgan» (nel testo originale in antico tedesco: «Ich hân ouch manege tjost getan vor dem berch ze Famorgan»).
Dunque, Morgana non risulta essere associata solamente a un'isola magica, quella di Avalon, così come riferito da Goffredo di Monmouth nella “Vita Merlini” e nella “Historia Regum Britanniae”, risalenti alla prima metà del dodicesimo secolo, opere radicate in una tradizione ancora più antica: ora, per la prima volta in assoluto, ci imbattiamo in un riferimento letterario in cui viene stabilita una connessione tra Morgana e una montagna speciale, incantata. Si tratta di «dem berch ze Famorgan». Con il "Parzival" di Wolfram von Eschenbach viene quindi intrapreso un piccolo, significativo passo in direzione di una fata malvagia che vivrebbe sulla cima o all'interno di un picco montuoso.
È tutto? No, perché "Parzival" nasconde al proprio interno un ulteriore indizio che ci avvicina ancora di più a una Sibilla Appenninica.
In due ulteriori passaggi (Capitolo I, verso 56.19 e Capitolo XII, verso 585.15), Morgana viene posta in relazione con un attributo particolarmente significativo, quello di una magica "Terra della Gioia" (Fig. 3):
«Il Re Mazadan fu il loro padre - una fata condusse il Re a Morgana - il suo nome era Terra-della-Gioia / [...] Quando Mazadan era un re - il quale fu condotto da Morgana la Fata presso Terra-della-Gioia» (nel testo originale in antico tedesco: «der zweier vatr hiez Mazadan - den fuort ein feie in Morgan - diu hiez Terre de lascoye / [...] Sît her von Mazadane - den ze Famurgane - Terre delascoye fuorte - den iwer chraft do ruorte»).
E dunque non solo Morgana è associata a una montagna, ma essa è anche in relazione con una magica terra nella quale il piacere e la gioia sembrano predominare. Benché Wolfram von Eschenbach sembri volere collegare il nome "Terra-della-Gioia" a una fata, molti studiosi ritengono che questo appellativo possa costituire un riferimento, erroneamente interpretato, ad Avalon, il luogo incantato, l'"Isola Fortunata" nella definizione tramandataci da Goffredo di Monmouth.
In ogni caso, qualcosa sta lentamente mutando nella figura e nei tratti di Morgana la Fata: da una benigna guaritrice dimorante in un'isola dai caratteri celestiali, a una potente strega e negromante, una fata che viene menzionata in relazione a una montagna e a un luogo di piacevoli gioie.
Una relazione che - non dobbiamo dimenticarlo - viene anche stabilita in un'altra opera cavalleresca risalente al tredicesimo secolo, “Floriant et Florète”, che abbiamo già avuto modo di considerare in un precedente articolo. In quel poema, avevamo trovato Morgana la Fata abitare il Mongibello, o Monte Etna, nell'Italia meridionale.
«Tre fate provenienti dal mare - La regina d'esse è chiamata - Morgana, la sorella di re Artù [...] e se ne tornarono indietro - Verso il Mongibello diressero il proprio cammino - dove si trovava il loro castello [...] Sappiate, vedendo con i vostri occhi e senza menzogne - Che questo castello [Mongibello] è incantato; - Sappiate che questa è la verità: - Nessun uomo può qui giungere a morte».
[Nel testo originale in antico francese: «Trois fées de la mer salée - La mestresse d'aux ert nommée - Morgain, la suer le roi Artu - [...] Aitant s'en tornernet, - Vers Mongibel s'acheminerent - Quar c'estoit lor mestre chastel [...] - Sachiès de voir et sanza mentir - Que cist chastuaus [Mongibel] si est feez; - Sachiéz que ço est veritez: - Nus hons ne puet caienz mori»].
Ci stiamo veramente avvicinando alla nostra quattrocentesca Sibilla Appenninica, una maga la cui dimora giace in una magica caverna posta al di sotto di una montagna italiana, presso la quale vengono offerte gioie sensuali e senza fine a cavalieri valenti e ingenui?
Forse. Eppure, il percorso di avvicinamento verso una Sibilla Appenninica non è affatto terminato. Un passo ulteriore attende ancora di essere intrapreso, nella direzione di una sensuale, lussuriosa incantatrice. E questo è ciò che si verificherà in un contesto letterario di lingua francese, con il trasferimento e l'adattamento della Materia di Bretagna in un differente ambito culturale.
Stiamo per assistere a un'ulteriore trasformazione di Morgana la Fata, così come essa apparirà nel romanzo “Lestoire de Merlin”: una seducente negromante, una signora delle tenebre la cui fascinazione adescatrice ben potrà indurre un cavaliere in tentazione. Come vedremo nel prossimo articolo.
22 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /14. The astounding journey from Famurgan to the Apennine Sibyl
In the previous article, we saw that an unexpected connection was established, in the year 1185, between Morgan le Fay, a main character within the Arthurian chivalric cycle, and one of the classical Sibyls: they were both considered as supreme sorcerers, able to communicate with the Netherworld and its demons, and provide oracular responses, even by means of necromancy, an impious and forbidden craft. And both were associated to Erictho, the hideous witch of ancient Greece described by first-century author Marcus Annaeus Lucanus in his “Pharsalia”.
This connection, previously overlooked though known to scholars, is contained in “Erec”, a chivalric poem written by Hartmann von Aue, a German knight and poet.
What is the relevance of all this, if any, to our search into the enigma of the true origin of the legendary tale about an Apennine Sibyl?
Can we suppose that some of the dark, sinister traits concerning the new Morgan le Fay, originally a benign prophetess and healer and now turned into a witch and necromancer after Hartmann von Aue's “Erec”, might have been transferred, through the centuries and by a tradition which is both oral and literary, to another gloomy figure, that of an Apennine Sibyl?
Can we really make the challenging assumption that the Apennine Sibyl only represents a further extraneous layer, another chivalric artifact which screens the true nature of the inner core of the legendary tale about the Sibillini Mountain Range in Italy?
Can we daringly push ourselves as far as to conjecture that the legendary figure of Morgan le Fay has been transplanted and adapted to the Italian Apennines, creating in this way, from what it might appear as a misty, unfathomable void, the myth of an Apennine Sibyl?
The narrow path we are going to follow is truly staggering and dumbfounding. However, we will see that the very same conclusions we are about to draw, on an independent basis and bewildering as they might appear, were also reached many years ago by one of the greatest American scholars on the Matter of Britain and the Arthurian cycle, Roger Sherman Loomis.
But let's start from Hartmann von Aue's twelfth century, and search across the subsequent hundreds of years for further clues which might provide an increasing evidence of a close relationship between Morgan le Fay, the Sibyls, and the Apennine Sibyl.
Let's unfold another heavy, opaque layer of the shield which covers the most genuine essence of the Sibyl of the Apennines.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /14. Lo straordinario viaggio da Famurgan alla Sibilla Appenninica
Nel precedente articolo, abbiamo visto come una inattesa connessione sia stata stabilita, nell'anno 1185, tra Morgana la Fata, uno dei personaggi principali del ciclo cavalleresco arturiano, e una delle Sibille classiche: entrambe considerate come abilissime nell'arte della stregoneria, in grado di comunicare con il mondo ctonio e i suoi demoni, e capaci di fornire responsi oracolari, anche utilizzando la negromanzia, una pratica empia e proibita. Ed entrambe vengono associate a Erichto, l'esecrabile strega dell'antica Grecia, descritta nel primo secolo dall'autore latino Marco Anneo Lucano nella sua "Pharsalia".
Questa connessione, in precedenza non sufficientemente presa in considerazione dagli studiosi, benché nota e conosciuta, è contenuta in "Erec", un poema cavalleresco scritto dal cavaliere e poeta tedesco Hartmann von Aue.
Quale è il significato di tutto ciò, se un significato è rinvenibile, in relazione all'investigazione che stiamo conducendo in merito all'enigma della vera origine del racconto leggendario concernente una Sibilla Appenninica?
È possibile supporre che alcuni dei tratti oscuri, sinistri, relativi alla nuova Morgana, in origine una benigna profetessa guaritrice e in seguito trasformatasi in una strega e negromante dopo l'"Erec" di Hartmann von Aue, possano essersi trasferiti, nel corso dei secoli e attraverso una tradizione sia orale che letteraria, su di un'altra tenebrosa figura, quella di una Sibilla Appenninica?
Possiamo veramente enunciare l'impegnativa ipotesi che la Sibilla Appenninica possa semplicemente rappresentare un ulteriore strato aggiuntivo, un elemento cavalleresco addizionale che nasconde la più genuina natura del nucleo profondo della narrazione leggendaria che riguarda i Monti Sibillini, in Italia?
Possiamo arditamente spingerci fino a congetturare che la figura leggendaria di Morgana la Fata possa essere stata trapiantata e adattata presso gli Appennini italiani, generandosi così, in questo modo, da quello che potrebbe apparire come un nebuloso, insondabile vuoto, il mito di una Sibilla Appenninica?
Lo stretto sentiero che stiamo per percorrere si presenta come assolutamente singolare e sconcertante. Eppure, vedremo come le stesse deduzioni che stiamo per trarre, in modo del tutto indipendente e per quanto strabilianti esse possano apparire, siano state in realtà enunciate molti anni fa da uno dei più grandi studiosi statunitensi della Materia di Bretagna e del ciclo arturiano, Roger Sherman Loomis.
Ma cominciamo da quel dodicesimo secolo nel quale Hartmann von Aue scrisse "Erec", e andiamo alla ricerca, lungo le successive centinaia di anni, di ulteriori indizi che possano fornire una crescente evidenza di una stretta relazione tra Morgana, le Sibille, e la Sibilla Appenninica.
Iniziamo dunque a sfogliare un altro strato, pesantissimo, opaco, di quello schermo che ricopre la più genuina essenza della Sibilla degli Appennini.
13 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /13. A bond of necromancy established between Morgan le Fay and the Sibyls
We are perusing Folium 40v of the Codex Vindobonensis Ser. Nova 2663, also called “Ambraser Heldenbuch”, a manuscript which contains the only integral version of Hartmann von Aue's twelfth-century poem “Erec”. The vellum page includes an excerpt on «Famurgan», or Morgan le Fay, in which King Arthur's half-sister is depicted and praised as a skilled healer and a most powerful wizard, proficient in magical arts.
But as we proceed further with the reading, the description takes an utterly different turn. And here is how Hartmann von Aue presents the new, sinister traits of Morgan le Fay (Fig. 1):
«She lived much against God: for under her command were the birds of the wild, of forests and fields, and what is most important to me, the evil spirits, which are called demons, were all under her control. She could work wonders, for even the dragons of the air and the fish of the sea brought tribute to her».
[In the original Old German text: «sÿ lebete vaſt wider got - wann es wartette jr gepot - das gefugl zu dem wilde - on walde vnd on geuilde - vnd daz mich daz maiſte - die vbeln geiſte - die da tiefln ſint genant - die waren alle vnnder jr handt - ſÿ mochte wunder machen - wann jr muſten die trachen - von den lufften bringen - ſtewre zu jrn dingen - die Viſche von dem wage»].
And there is more to that. Hartmann von Aue is now ready to stage Morgan le Fay's final transformation into a full demon, a being who partakes of the nature of Hell and commands by a single gesture the gloomiest subterranean powers (Fig. 2):
«She also had kin deep in Hell; the devil was her companion. He paid tribute to her, even from the flames, however much she wanted. And whatever she wanted from the earthly realm, that she took enough of without any bother. The earth would grow no plants, if her power were not manifested, as I move my hand».
[In the original Old German text: «auch het ſÿ mage - tieff in der helle - der teufl was jr gefelle - der ſant jr ſteure - auch aus dem feure - wieuil ſy des wolte - vnd was ſÿ haben ſolte - von erdtriche - des nam ſÿ im angſtliche - alles ſelb genug - die erde dhain wurtzen trug - Ir ware jr crafft erkannt - als mir mein ſelbs hanndt»].
The description of Morgan le Fay we have been reading up to now, written by German writer Hartmann von Aue at the end of the twelfth century, might perfectly fit the main character and traits of the Apennine Sibyl as she will appear before our eyes more than two centuries later in the works by Andrea da Barberino and Antoine de la Sale: a woman who is a sort of goddess, a fiendish being, in close contact with the Netherworld, who can cast spells to create illusions and induce transformations of men and animals (here we still miss the Sibyl's sensual aspects, but they are soon to come, too, in later literary potraits of Morgan, as we will see in subsequent articles).
However, in this excerpt we still lack a manifest, indisputable evidence of an actual link to Sibyls. Is there any?
Is Morgan le Fay, a chief character in the Arthurian cycle, closely and irrefutably connected to the lore of Sibyls, the prophesying oracles of the classical age?
Yes. This manifest, irrefutable evidence is provided by the same Hartmann von Aue, in the very lines that follow the ones we have already presented above.
Let's see how Hartmann von Aue proceeds with his description of Morgan le Fay (Fig. 3):
«Since the Sybil died, and Ericto perished, of which Lucanus tells us, and sorcery which they could command had died away ages ago, with her it all came back (about which I don't want to say much at this time, since it would take too long). Since then, the earthly realm probably has had no better mistress of the magic arts than Morgan le Fay, of whom I have already spoken. He couldn't be a wiser man, whoever wished to take away great suffering, that she could mix up a plaster for him. Yes, I ween that if a man looked everywhere he could not, however busily he searched out powers from books of magic, find such powerful arts that she practiced against Christ».
[In the original Old German text: «Seyt daz ſibilla erſtarb - vnd Ericto verdarb - von der vns Lucanuſ zalt - daz jr zauberlich gewalt - wem ſÿ wolte gepot - der dauor was lanng todt - daz er erſtund wol geſunt - von der ich euch hie zeſtund - nu nicht mer fagen wil - wann es wurde ze vil - sy gewan das erdtrich - das wiſſet warlich - von zauberlichen ſÿnne - nie beſſer maiſterÿnne - dann Famurgan - von der ich euch geſaget han - wann da were er nicht weÿſer man - wer im wolte daran - nemen gros laſter - auch ſeÿ ein phlaſter - fur jn gebruefen kunde - Ja wann man nÿndert funde - wie ſere man ſy wolte erſuchen - die crafft aus Artztpuchen - ſo krefftigkliche liſte - die ſy wider criſte»].
Here is the connection, the missing link between the Matter of Britain, featuring the healer and wizard Morgan le Fay, and the lore of classical Sibyls. It is right here that Hartmann von Aue, in the year 1185, establishes a specific connection between King Arthur's half-sister and the Sibyls belonging to an ancient Roman-Greek, mediterranean tradition.
And the link is based on magic power, and the acquaintance with the Devil and with the evil subterranean powers. And, in addition to that, on necromancy.
Because the Sibyls of the classical world, together with Morgan le Fay, are now included in a same party in which a main role is also played by Erictho, the impious Greek witch who used to perform necromantic rituals on human corpses. One of the most repugnant characters of antique literature, a ghastly sorcerer, depicted by first-century Latin author Marcus Annaeus Lucanus in his “Pharsalia” (Book VI): a mighty necromancer, with a horrifying semblance, who could raise the dead to a new abominable life and draw oracular responses right from their corrupted bodies.
Lucanus' Erictho, like Hartmann von Aue's Morgan le Fay, is a companion to the dark powers: according to Lucanus, she is «dear to the deities of the Netherworld» («grata deis Erebis»), she knows «the abodes of Hell and the mysteries of subterranean Pluto» («domos Stygias arcanaque Ditis»), and she «addresses no prayer to Heaven, invokes no divine aid with suppliant hymn» («nec superos orat nec cantu supplice numen auxiliare vocat»).
In this gloomy, necromantic framework, which Sibyl is Hartmann von Aue specifically referring to? He doesn't tell. But our mind immediately runs to one of the most renowned Sibyls: the Cumaean Sibyl, and her ancestor the Cimmerian Sibyl, both residing in the Italian town of Cumae.
It is the Cumaean Sibyl who is celebrated by Publius Vergilius Maro in Book VI of his “Aeneid” as a guide to Aeneas into the Otherworld. It is the Cumaean Sibyl who utters fateful prophecies, «terrific riddles she yells, as she sings in her cave, the truth enshrouded in darkness» («Cumaea Sibylla - horrendas canit ambages antroque remugit - obscuris vera involvens»). It is the Cumaean Sibyl who lives in her «ghastly, secret recesses, the huge cavern of the Sibyl» («horrendaque procul secreta Sibyllae antrum immane»). Again, it is the Cumaean Sibyl who commands Aeneas to make an offering to Hecate, the Greek goddess associated to witchcraft and necromancy, with the hero from Troy «appealing to Hecate by his voice, calling to the heaven and to vast Erebus» («voce vocans Hecaten caeloque Ereboque potentem»). Finally, it is the Cimmerian oracle, according to Strabo, the Greek geographer and historian, a Sibyl, according to Sextus Aurelius Victor, who presided over the temple «where the dead uttered prophecies as if they were alive».
Morgan le Fay. A Sibyl, possibly the Cumaean. And a Greek witch, Erictho.
In the twelfth century, in a German-speaking literary environment, the three of them are considered as the most poweful magicians in the whole world. And the three of them have to do with the Netherworld, and the evil entities that live in the gloomy darkness beneath. And they all have something to do with oracular responses, obtained through a most impious and forbidden craft: necromancy, the art of dealing with the dead to obtain prophecies for the living.
But what has it all got to do with our posterior, fifteenth-century Apennine Sibyl?
The way to the fifteenth century is still long. Here, we are still considering a minor chivalric poem, “Erec”, written by a minor German poet, Hartmann von Aue, more than two hundred years before the literary appearance of the Appennine Sibyl amid the lofty peaks of the Italian Apennines.
Yet, as we will see in the next articles, the road of myth will direct its own course in that precise direction.
Further clues, retrieved in the two subsequent centuries, will show that Morgan le Fay, a powerful witch, an antique oracle, living in an enchanted isolated place, in close contact with the gloomiest subterranean powers, will accentuate her kinship with the Sibyls, and with a specific kind of Sibyl.
By this process, a process we will retrace in the next articles, she will be getting nearer and nearer to her final destination: a Sibyl of the Apennines.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /13. Il legame di negromanzia che unisce Morgana e le Sibille
Stiamo consultando il Folium 40v del Codex Vindobonensis Ser. Nova 2663, denominato “Ambraser Heldenbuch”, un manoscritto che contiene l'unica versione integrale sopravvissuta del poema "Erec", risalente al dodicesimo secolo. In quella pagina di pergamena è rinvenibile un brano su «Famurgan», o Morgana la Fata, nel quale la sorellastra di Re Artù viene rappresentata e apprezzata nella sua qualità di abile guaritrice e maga potente, esperta nell'arte degli incantamenti.
Ma a mano a mano che ci inoltriamo nella lettura, la descrizione comincia ad assumere una piega del tutto diversa. Ed ecco come Hartmann von Aue presenta i nuovi, sinistri tratti che caratterizzano Morgana la Fata (Fig. 1):
«Essa viveva marcatamente contro Dio: perché sotto il suo comando erano gli uccelli delle terre disabitate, dei boschi e dei campi, e ciò che è più importante per me, gli spiriti maligni, che sono chiamati dèmoni, erano sotto il suo controllo. Poteva compiere cose meravigliose, perché anche i draghi dell'aria e i pesci del mare le tributavano obbedienza».
[Nel testo originale in antico tedesco: «sÿ lebete vaſt wider got - wann es wartette jr gepot - das gefugl zu dem wilde - on walde vnd on geuilde - vnd daz mich daz maiſte - die vbeln geiſte - die da tiefln ſint genant - die waren alle vnnder jr handt - ſÿ mochte wunder machen - wann jr muſten die trachen - von den lufften bringen - ſtewre zu jrn dingen - die Viſche von dem wage»].
E c'è ancora dell'altro. Hartmann von Aue è ora pronto per porre in scena la trasformazione finale di Morgana in un vero e proprio dèmone, un'entità che partecipa della natura dell'Inferno e che è in grado di governare con un singolo gesto le più oscure potenze del sottosuolo (Fig. 2):
«Essa aveva anche comunanza con il profondo dell'Inferno, il demonio le era compagno. Egli era costretto a obbedirle, anche se protetto dalle fiamme, e tutto ciò che avesse desiderato dal reame della terra, lei avrebbe potuto ottenerlo senza contrasto. Nessuna pianta sarebbe cresciuta sulla terra, se lei non lo avesse voluto, così come io muovo la mia mano».
[Nel testo originale in antico tedesco: «auch het ſÿ mage - tieff in der helle - der teufl was jr gefelle - der ſant jr ſteure - auch aus dem feure - wieuil ſy des wolte - vnd was ſÿ haben ſolte - von erdtriche - des nam ſÿ im angſtliche - alles ſelb genug - die erde dhain wurtzen trug - Ir ware jr crafft erkannt - als mir mein ſelbs hanndt»].
La rappresentazione di Morgana la Fata che abbiamo potuto leggere fino a questo punto, scritta dall'autore tedesco Hartmann von Aue alla fine del dodicesimo secolo, potrebbe ben adattarsi alle caratteristiche e ai tratti principali che raffigurano la Sibilla Appenninica, così come essa apparirà di fronte ai nostri occhi più di due secoli dopo, nelle opere di Andrea da Barberino e Antoine de la Sale: una donna che è quasi una divinità, un essere demoniaco, in stretto contatto con le potenze ctonie, che può lanciare incantesimi per creare illusioni e indurre trasformazioni in uomini e animali (e qui risultano essere ancora mancanti gli aspetti sensuali della Sibilla, ma, come vedremo in seguito, anche questi sono in procinto di apparire in successive rappresentazioni di Morgana).
Malgrado tutto ciò, in questo brano sembrerebbe in ogni caso mancare una prova che possa risultare palesemente inconfutabile in merito a una effettiva connessione con le Sibille. Esiste questa prova?
È vero o non è vero che Morgana la Fata, un personaggio di primo piano appartenente al ciclo arturiano, è connessa strettamente, incontrovertibilmente con la tradizione delle Sibille, gli oracoli profetanti risalenti al mondo classico?
Sì, è vero. E questa indiscutibile evidenza viene fornita dallo stesso Hartmann von Aue, esattamente nei versi che seguono quelli da noi già citati in precedenza.
Andiamo dunque a vedere in quale modo Hartmann von Aue prosegua con la sua descrizione di Morgana (Fig. 3):
«Da quando la Sibilla è morta, e Erichto è perita, della quale Lucano ci parlò, e le arti magiche che esse potevano comandare sono sparite ormai da tanto tempo, con essa sono pienamente ritornate (ma di questo non voglio raccontare troppo ora, perché troppo tempo occorrerebbe). Da quell'epoca, sulla terra non c'è stata forse alcuna altra signora delle arti magiche se non Morgana la Fata, della quale narrai. Non esiste uomo più saggio, che intendesse lenire le sofferenze più intense, di colui al quale essa potrebbe creare un unguento. Sì, io credo che se anche un uomo cercasse ovunque, seppure con grande impegno nei libri di magia, mai potrebbe trovare tali potenti arti come quelle che essa praticò contro Cristo».
[Nel testo originale in antico tedesco: «Seyt daz ſibilla erſtarb - vnd Ericto verdarb - von der vns Lucanuſ zalt - daz jr zauberlich gewalt - wem ſÿ wolte gepot - der dauor was lanng todt - daz er erſtund wol geſunt - von der ich euch hie zeſtund - nu nicht mer fagen wil - wann es wurde ze vil - sy gewan das erdtrich - das wiſſet warlich - von zauberlichen ſÿnne - nie beſſer maiſterÿnne - dann Famurgan - von der ich euch geſaget han - wann da were er nicht weÿſer man - wer im wolte daran - nemen gros laſter - auch ſeÿ ein phlaſter - fur jn gebruefen kunde - Ja wann man nÿndert funde - wie ſere man ſy wolte erſuchen - die crafft aus Artztpuchen - ſo krefftigkliche liſte - die ſy wider criſte»].
Ecco qui la connessione, ecco l'anello mancante tra la Materia di Bretagna, con la sua maga e guaritrice Morgana la Fata, e il mondo delle Sibille classiche. È esattamente qui che Hartmann von Aue, nell'anno 1185, stabilisce un legame diretto tra la sorellastra di Re Artù e le Sibille, appartenenti a un'antica tradizione greco-romana e mediterranea.
E questo legame è basata sulle arti magiche, e sulla familiarità con il Demonio e con le potenze maligne del sottosuolo. E, oltre a questo, sulla negromanzia.
Perché le Sibille del mondo classico, assieme a Morgana la Fata, sono ora incluse in una medesima compagnia nella quale un ruolo primario viene rappresentato da Erichto, l'empia maga greca che era solita praticare rituali negormantici sui cadaveri degli uomini. Uno dei personaggi più ripugnanti della letteratura antica, una strega orrenda, raffigurata nel primo secolo dall'autore latino Marco Anneo Lucano nella sua "Pharsalia" (Libro VI): una potente negromante, dall'aspetto terrificante, in grado di risuscitare i morti a una nuova, abominevole vita e trarre responsi oracolari direttamente dai loro corpi corrotti.
L'Erichto di Lucano, proprio come Morgana la Fata di Hartmann von Aue, è una alleata delle potenze oscure: secondo Lucano, essa è «cara alle divinità degli Inferi» («grata deis Erebis»), conosce «le dimore ctonie e i misteri di Plutone» («domos Stygias arcanaque Ditis»), e «nessuna preghiera essa rivolge ai cieli, né l'aiuto divino invoca con supplice canto» («nec superos orat nec cantu supplice numen auxiliare vocat»).
In questo quadro tenebroso, negromantico, a quale specifica Sibilla sta facendo riferimento Hartmann von Aue? Egli non lo dice. Ma la nostra mente corre immediatamente a una delle Sibille più celebri: la Sibilla Cumana, e alla sua più antica manifestazione, la Sibilla Cimmeria, entrambe dimoranti presso la città di Cuma, in Italia.
È infatti la Sibilla Cumana ad essere celebrata da Publio Virgilio Marone nel Libro VI dell'"Eneide" come guida di Enea nell'Ade. È la Sibilla Cumana a proferire spaventose profezie, «enigmi paurosi essa canta mugghiando nell’antro, la verità avvolgendo di tenebra» («Cumaea Sibylla - horrendas canit ambages antroque remugit - obscuris vera involvens»). È la Sibilla Cumana a vivere nei suoi «segreti, agghiaccianti recessi, l'antro immane della Sibilla» («horrendaque procul secreta Sibyllae antrum immane»). E ancora, è la Sibilla Cumana che ordina a Enea di rendere un sacrificio a Ecate, la divinità greca associata con la stregoneria e la negromanzia, con l'eroe troiano che «innalza un'invocazione a Ecate, chiamando i cieli e l'Erebo potente» («voce vocans Hecaten caeloque Ereboque potentem»). Infine, è l'oracolo Cimmerio, secondo Strabone, lo storico e geografo greco, nonché una Sibilla, secondo Sesto Aurelio Vittore, a presiedere il tempio «dove i morti rendono profezie come se fossero ancora vivi».
Morgana la Fata. Una Sibilla, forse la Cumana. E una strega ellenica, Erichto.
Nel dodicesimo secolo, in un contesto letterario di lingua tedesca, queste tre figure sono considerate come le maghe più potenti del mondo intero. E tutte e tre hanno legami con il mondo ctonio, e con le maligne entità che dimorano nell'oscura tenebra del sottosuolo. E tutte hanno a che fare con responsi oracolari, ottenuti per mezzo di una delle arti considerate più empie e soggette alla massima esecrazione: la negromanzia, l'arte di trattare con i morti al fine di ottenere profezie per i vivi.
Ma cosa ha a che fare, tutto questo, con la nostra ben più tarda, quattrocentesca Sibilla Appenninica?
La strada verso il quindicesimo secolo è ancora molto lunga. Qui stiamo ancora considerando un poema cavalleresco minore, "Erec", scritto da un poeta tedesco minore, Hartmann von Aue, più di duecento anni prima dell'apparizione letteraria della Sibilla Appenninica tra le vette scoscese degli Appennini italiani.
Eppure, come vedremo nei prossimi articoli, la rotta del mito dirigerà il proprio corso esattamente in quella ben precisa direzione.
Ulteriori indizi, rinvenibili nei due secoli successivi, mostreranno come Morgana la Fata, potente negromante, antico oracolo, dimorante in un isolato luogo incantato, in stretta relazione con le più tenebrose potenze del sottosuolo, a mano a mano accentuerà la propria parentela con le Sibille, e con una specifica tipologia di Sibilla.
Con questo processo, un processo che andremo a ripercorrere nei prossimi articoli, essa si avvicinerà sempre di più alla sua destinazione finale: una Sibilla degli Appennini.
12 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /12. The Sibyls and Famurgan, master of arcane arts
It is the year 1185 and, according to scholars, a knight and poet from Germany, Hartmann von Aue, writes a rhymed poem, whose title is “Erec”, an adaptation from the much more popular work “Erec et Enide” by Chrétien de Troyes.
Hartmann von Aue was not to become the most famous German writer of his age: twenty years later, Wolfram von Eschenbach, subsequently recognized as one of the most influential authors in medieval literature, would write his “Parzival”, probably the greatest German epic ever written; and Gottfried von Strassburg was about to write “Tristan”, another cornerstone in the wondrous scenario of the Matter of Britain. In France, Chrétien de Troyes was adding to the Arthurian Cycle with such masterpieces as “Yvain” and “Lancelot”.
However, Hartmann von Aue will be the one to provide today's scholars with a most amazing proof of the literary connection which links Morgan le Fay and the Sibyls, with specific reference to the traits which will be peculiar to the Apennine Sibyl.
A proof that has almost been ignored for centuries by everybody, an evidence which explains many subsequent literary facts, and which we are now going to present to the widest audience of scholars and researchers.
We must remember that, during the twelfth century, Morgan had been retaining her original traits as a wise savant, a remarkable feature which is also shared with the later Sibyl of the Apennines. In one of the earliest romances belonging to the Arthurian cycle, Chrétien de Troyes' “Yvain ou le Chevalier au Lion” (“Yvain, the Knight of the Lion”), written in 1180, Morgan appears as «the Wise» («Morge la sage»), with reference to her healing skills: a title also enjoyed by the Apennine Sibyl, whom Andrea da Barberino calls «wise» and «most learned» («savia Sibilla» and «sapientissima Sibilla») in his “Guerrino the Wretch” (Fig 1 - “Yvain”'s Morgan from folium 216r of manuscript Français 1450, Département des Manuscrits, Bibliothèque Nationale de France, and the Sibyl from the edition of “Guerrino the Wretch” printed in 1480).
But a change was about to take place. At the end of that same twelfth century, Hartmann von Aue writes “Erec”. And, in it, we find something truly amazing and unexpected. And thoroughly overlooked.
The single existing complete copy of “Erec” is preserved in Wien, at the Österreichische Nationalbibliothek, the Austrian National Library, in the Codex Vindobonensis Ser. Nova 2663: it is the most famous manuscript called “Ambraser Heldenbuch”, a sixteenth-century work containing a collection of twenty-five old-German epic narratives all dating to the twelfth and thirteenth century (Fig. 2 - the opening miniature from the “Ambraser Heldenbuch”).
The Folium 40v contains the twelfth-century clue which changes our perception of the evolution of the legendary tale concerning a Sibyl of the Apennines.
In this episode, Erec is wounded, and Queen Guinevere takes care of him at King Arthur's court. She has a magical ointment, a special medicament which heals all wounds and abates all pain. It was given to her by Morgan le Fay, whom we already know as a skilled healer according to the most antique tradition we mentioned in a preceding article (Fig. 3):
«If any man wonders, and would gladly know where this ointment came from, it was left long ago by Morgan le Fay, the King's sister, when she died».
[In the original Old German text: «wundert nu dhainen man - der es gerne vernéme - von wannen ditz phlaſter kime - das hette Famurgan - des kuniges ſchweſter da verlan - lanng daruor da ſÿ erſtarb»].
In Hartmann von Aue's work, initially Morgan le Fay, «Famurgan», is presented as the same benign healer we already know from the antique tradition reported by Geoffrey of Monmouth, ultimately to be ascribed to Latin author Pomponius Mela. And Morgan's magical traits too, as described by von Aue, are similar to those we found in Geoffrey of Monmouth's “Vita Merlini”, with the addition that now Morgan is turned into a fully divine being (Fig. 4):
«What great power and arcane arts perished with her! She was a goddess. Her wonders cannot be told, we must be silent about them, those wonders that that same woman performed. But as far as I can, I will tell you more. When she manifested her magic arts, she could travel with great speed around the world and quickly come back. I don't know who taught this to her. Before you could turn your hand or wink, she could leave and reappear just as quickly. She lived just as she wished; in the air or on earth - if she wanted she could sleep on the waves or live underwater. It wasn't difficult for her, she could just as easily live in fire or dew; the lady knew how to do that. And if she wanted, she could turn someone into a bird or animal. After that she could quickly give him his usual shape. She knew all sorts of magic arts».
[In the original Old German text: «was ſtarcher liſte an jr verdarb - von frembden ſÿnnen - sÿ was ein gottinen - Man mag die wunder nit geſagen - von Ir man mus jr mer verdagen - der die ſelb fraw phlag - doch ſo ich maiſte mag - ſo ſag ich was ſÿ kunde - wenn ſy begunde - augen jr zauberliſt - ſo het ſy in kurtzer friſt - die welt vmbfarn da - vnd kam wider ſa - ich waÿſs nit wer ſy es lerte - ee ich die vmbkerte - oder zugeſchluege die pra - ſo fuer ſÿ hin vnd ſchin doch fa - sÿ lebete ir vil werde - im luffte als auf der erde - mochte ſy zu rue ſchweben - auf dem wage vnd darundter leben - auch was jr das vnteure - ſÿ wonnet in dem fewre - alſo ſanfft als auf dem tawe - ditz kunde die fraue - vnd ſo ſy des began - ſo mochte ſy den man - Ze vogel oder ze tiere - darnach gab ſy im ſchiere - wider ſein geſchafft - ſÿ kunde doch zaubers die kraft»].
So Morgan le Fay is portrayed as a mighty, experienced wizard, who knew well the craft of magical arts («ſÿ kunde doch zaubers die kraft»)
But now the time of «Famurgan» as a mere benign healer is over. And, for the first time, evil sorcery and necromancy make their dark appearance.
Gloomy traits that Hartmann von Aue, at the end of the twelfth century, openly associates with specific characters belonging to a most ancient tradition, lost in classical antiquity.
He states a forthright, unambiguous association between Morgan le Fay and the Sibyls. As we will see in the next article.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /12. Le Sibille e Famurgan, signore delle arti arcane
Correva l'anno 1185 e, secondo gli studiosi, un cavaliere e poeta originario della Germania, Hartmann von Aue, componeva un poema in rima intitolato "Erec", un adattamento tratto dal ben più popolare "Erec et Enide" di Chrétien de Troyes.
Hartmann von Aue non era destinato a diventare il più famoso poeta tedesco della sua epoca: venti anni dopo, Wolfram von Eschenbach, in seguito riconosciuto come uno dei più influenti autori dell'intera letteratura medievale, avrebbe composto il suo "Parzival", probabilmente il più grande poema epico tedesco che sia mai stato scritto; e Gottfried von Strassburg stava per vergare "Tristano", un'altra pietra miliare nel meraviglioso scenario della Materia di Bretagna. In Francia, Chrétien de Troyes stava arricchendo il ciclo arturiano con capolavori quali "Yvain" e "Lancelot".
Eppure, sarà proprio Hartmann von Aue a fornire ai ricercatori di oggi la più strabiliante evidenza della connessione letteraria che collega Morgana la Fata e le Sibille, con specifici riferimenti ad attributi che saranno poi attribuiti alla Sibilla Appenninica.
Una prova che è stata quasi del tutto ignorata per secoli da chiunque, in grado però di spiegare molti degli eventi letterari successivi; un'evidenza che stiamo ora per presentare a una vasta platea di ricercatori e studiosi.
Dobbiamo ricordare come, durante il dodicesimo secolo, Morgana abbia mantenuto i propri tratti originali in qualità di donna saggia e sapiente, un aspetto assai interessante che sarà in seguito attribuito anche alla più tarda Sibilla degli Appennini. In uno dei più antichi romanzi appartenenti al ciclo arturiano, “Yvain ou le Chevalier au Lion” di Chrétien de Troyes, scritto nel 1180, Morgana appare come «la Saggia» («Morge la sage»), con riferimento alle proprie abilità di guaritrice: una qualificazione della quale godrà anche la Sibilla Appenninica, che Andrea da Barberino chiamerà «savia Sibilla» e «sapientissima Sibilla» nel suo "Guerrin Meschino" (Fig 1 - La Morgana di “Yvain” tratta dal folium 216r del manoscritto Français 1450 conservato presso il Département des Manuscrits della Bibliothèque Nationale de France, e la Sibilla dall'edizione a stampa del 1480 di "Guerrin Meschino").
Ma un mutamento stava per avere luogo. Alla fine di quello stesso dodicesimo secolo, Hartmann von Aue scrive "Erec". E, in esso, troviamo qualcosa di assolutamente straordinario e inaspettato. E del tutto dimenticato.
L'unica copia esistente di "Erec" è conservata a Vienna, presso l'Österreichische Nationalbibliothek, la Biblioteca Nazionale Austriaca, nel Codex Vindobonensis Ser. Nova 2663: si tratta del famosissimo manoscritto denominato “Ambraser Heldenbuch”, un'opera del sedicesimo secolo che contiene una raccolta di venticinque narrazioni epiche scritte in antico tedesco, tutte risalenti al dodicesimo e tredicesimo secolo (Fig. 2 - la miniatura di apertura dell' “Ambraser Heldenbuch”).
Il Folium 40 contiene lo specifico indizio, databile al dodicesimo secolo, che modifica la nostra percezione dell'evoluzione del racconto leggendario concernente una Sibilla degli Appennini.
In questo episodio, Erec viene ferito, e la Regina Ginevra se ne prende cura presso la corte di re Artù. La Regina possiede un magico unguento, una medicina speciale in grado di guarire ogni ferita e di lenire ogni dolore. Un unguento donatole da Morgana la Fata, che noi già conosciamo nella sua veste di esperta guaritrice, in accordo con l'antichissima tradizione da noi citata in un precedente articolo (Fig. 3):
«Per chiunque voglia sapere da dove questo unguento provenga, esso fu lasciato molto tempo fa da Morgana la Fata, la sorella del Re, quando essa morì».
[Nel testo originale in antico tedesco: «wundert nu dhainen man - der es gerne vernéme - von wannen ditz phlaſter kime - das hette Famurgan - des kuniges ſchweſter da verlan - lanng daruor da ſÿ erſtarb»].
Nel poema di Hartmann von Aue, inizialmente Morgana la Fata, «Famurgan», viene presentata come quella stessa benigna guaritrice che già conosciamo dall'antica tradizione tramandataci da Goffredo di Monmouth e in origine ascrivibile all'autore classico Pomponio Mela. E anche gli aspetti magici descritti da von Aue sono simili a quelli che abbiamo già potuto rinvenire nella "Vita Merlini" di Goffredo di Monmouth, con l'aggiunta del fatto che ora Morgana viene trasformata in una entità pienamente divina (Fig. 4):
«Quali immensi poteri e arti arcane sono periti con lei! Ella era una dea. Le meraviglie da lei compiute non possono essere raccontate, dobbiamo tacere su di esse, le meraviglie che quella donna ha saputo compiere. Ma, per quanto possibile, vi racconterò ciò che so. Quando manifestava i propri magici poteri, essa poteva viaggiare attorno al mondo con grande velocità e rapidamente tornare indietro. Non so chi le avesse insegnato tutto ciò. Prima che voi poteste muovere una mano o sbattere le palpebre, ella poteva lasciarvi e poi riapparire con la medesima velocità. Ella viveva come desiderava; nell'aria o sulla terra - se avesse voluto, avrebbe potuto dormire tra le onde o vivere sott'acqua. Non era difficile per lei, avrebbe potuto anche vivere con facilità nel fuoco o nella rugiada; quella dama sapeva come fare tutto ciò. E se lo avesse voluto, avrebbe potuto trasformare chiunque in un uccello o in un animale. E poi gli avrebbe rapidamente restituito la sua forma usuale. Ella conosceva ogni sorta di arti magiche».
[Nel testo originale in antico tedesco: «was ſtarcher liſte an jr verdarb - von frembden ſÿnnen - sÿ was ein gottinen - Man mag die wunder nit geſagen - von Ir man mus jr mer verdagen - der die ſelb fraw phlag - doch ſo ich maiſte mag - ſo ſag ich was ſÿ kunde - wenn ſy begunde - augen jr zauberliſt - ſo het ſy in kurtzer friſt - die welt vmbfarn da - vnd kam wider ſa - ich waÿſs nit wer ſy es lerte - ee ich die vmbkerte - oder zugeſchluege die pra - ſo fuer ſÿ hin vnd ſchin doch fa - sÿ lebete ir vil werde - im luffte als auf der erde - mochte ſy zu rue ſchweben - auf dem wage vnd darundter leben - auch was jr das vnteure - ſÿ wonnet in dem fewre - alſo ſanfft als auf dem tawe - ditz kunde die fraue - vnd ſo ſy des began - ſo mochte ſy den man - Ze vogel oder ze tiere - darnach gab ſy im ſchiere - wider ſein geſchafft - ſÿ kunde doch zaubers die kraft»].
Dunque, Morgana viene qui rappresentata come una potente, abilissima maga, che ben conosceva l'arte della magia e degli incantamenti («ſÿ kunde doch zaubers die kraft»).
Ma il tempo di «Famurgan» come una mera guaritrice benigna è ormai finito, e per la prima volta la magia nera e la negromanzia fanno la propria sinistra apparizione.
Tratti inquietanti, che Hartmann von Aue, alla fine del dodicesimo secolo, intenderà associare con specifiche figure appartenenti a una tradizione antichissima, che si perde tra le nebbie del mondo antico.
Egli, infatti, stabilirà una connessione e inequivocabile tra Morgana la Fata e le Sibille. Come andremo a vedere nel prossimo articolo.
10 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /11. An oracle and magician whose name is Morgan le Fay
In our previous articles, we have seen that a medieval literary poem, “Floriant et Florète”, dating to the thirteenth century, stages a magical lady, bestowed with wizardly powers, living in a magical palace set within a very special mountain, situated in Italy.
However, this lady is not the Apennine Sibyl, and the mountain is not a peak of the Apennines. As a matter of fact, the Apennine Sibyl will come on to the scene at the beginning of the fifteenth century only, preceded by a similar necromantic queen depicted in the French poem “Huon d'Auvergne” and in Andrea da Barberino's romance “Ugone d'Avernia”.
Who is the lady who seems to partake of a number of significant features which belong, as we were accustomed to considering, to the Sibyl of the Apennines?
The poem “Floriant et Florète” points to a specific, unexpected direction: that lady is Morgan le Fay, and it seems that she too was used to live in hidden or underground places, such as Mount Etna, the great Italian volcano.
And there is also another poem, written in the thirteenth century as well, “Claris et Laris”, which stages an enchanted realm, featuring many traits in common with the Apennine Sibyl's magical abode, but ruled by a different queen, yet one we know already: again, Morgan, King Arthur's half-sister.
But who is Morgan le Fay?
In this paper, we dare not confront with this towering figure fully belonging to the Arthurian cycle: throughout the centuries, she has been the subject of extensive, ceaseless research in the domains of literature, mythography, history, and psychology, and it falls outside the scope of the present work to discuss in detail the origin, traits and meaning of this mighty fairy character, a leading protagonist of the Matter of Britain's legendary tradition and lore.
The most renowned description of the character of Morgan le Fay is contained in the world-famous book “Le Morte d'Arthur” by Thomas Malory, first published in London in 1485: according to Malory, she is the evil half-sister to King Arthur, a sorceress who is determined to pursue the ruin of his relative out of a relentless resentment. A wicked figure, a villain, and an experienced necromancer.
Nonetheless, this is only the final outcome of a long process through which Morgan's character has undergone a significant transformation, starting from a most remarkable beginning.
Because the earliest known written mention concerning Morgan is reported by Geoffrey of Monmouth in his “Vita Merlini” (“The Life of Merlin”), written around 1150 and available today in its entirety in one manuscript only (Cotton MS Vespasian E IV, folia 112v–138v), preserved at the British Library in London. In his work, Geoffrey narrates of a special, enchanted island (Fig. 1):
«The Island of Fruits, which men call 'The Blessed Isle'
gets its name from the fact that it produces all things of itself;
the fields there have no need of the ploughs of the farmers
and all cultivation is lacking except what nature provides:
of its own accord it produces grain and grapes,
and fruit trees grow in its woods from the close-clipped grass.
The ground of its own accord produces everything instead of merely grass,
and people live there a hundred years or more».
[In the original Latin text: «Insula Pomorum qua Fortunata vocatur,
Ex re nomen habet, quia per se singula profert:
Non opus est illi sulcantibus arva colonis;
Omnis abest cultus nisi quem natura ministrat:
Ultro foecundas segetes producit et uvas,
Nataque poma suis pretonso germine silvis;
Omnia gignit humus vice graminis ultro redundans.
Annis centenis aut ultra vivitur illic»].
According to Geoffrey of Monmouth, in this heavenly island nine fairy sisters live, whose the handsomest is Morgen, endowed with wisdom, healing knowledge and magical powers:
«There nine sisters rule by a pleasing set of laws
those who come to them from our country.
She who is first of them is more skilled in the healing art,
and excels her sisters in the beauty of her person,
Morgen is her name, and she has learned what useful properties
all the herbs contain, so that she can cure sick bodies.
She also knows an art by which to change her shape,
and to cleave the air on new wings like Daedalus;
when she wishes she is at Brest, Chartres, or Pavia,
and when she will she slips down from the air onto our shores.
And men say that she has taught mathematics to her sisters».
[In the original Latin text:
«Ilic jura novem geniali lege sorores
Dant his qui veniunt nostris ex partibus ad se:
Quarum que prior est fit doctior arte medendi;
Exceditque suas forma prestante sorores;
Morgen ei nomen, didicitque quid utilitatis
Gramina cuncta ferant, ut languida corpora curet;
Ars quoque nota sibi qua scit mutare figuram,
Et resecare novis quasi Dedalus aera pennis;
Cum vult est Bristi, Carnoti, sive Papie,
Cum vult in nostris ex aere labitur horis.
Hancque mathematicam dicunt didicisse sorores»].
Thus, according to this most antique description, Morgen lives in an enchanted island teeming with all kinds of fruits. The most beautiful amid nine women, she is a healer and a fay, owing to her ability to change her own shape and fly.
In the magical island, continues Geoffrey of Monmouth, Morgen received the wounded King Arthur in a rich palace, and asked him to stay with her for an endless time to have his wounds healed:
«[...] With the prince we came there,
and Morgen received us with fitting honour,
and in her chambers she placed the king on a golden bed
[...] at length she said that health could be restored
to him if he stayed with her for a long time
and made use of her healing art».
[In the original Latin text:
«[...] cum principe venimus illuc,
Et nos quo decuit Morgen suscepit honore,
Inque suis talamis posuit super aurea regem
[...] tandemque redire salutem
Posse sibi dixit, si secum tempore longo
Esset, et ipsius vellet medicamine fungi»].
An isolated, enchanted abode, inhabited by a fairy lady, a place where to take rest forever. And the island, as Geoffrey of Monmouth himself says in another work, the “Historia Regum Britanniae” ("The History of the Kings of Britain", Book XI, Chapter II, following the text taken from folium 53v of manuscript Latin 6040 preserved at the Département des Manuscrits of the Bibliothèque Nationale de France, dating to the end of the twelfth century - Fig. 2), is the mythical isle of Avalon:
«[...] Even the renowned King Arthur himself was wounded deadly, and was borne thence unto the island of Avalon for the healing of his wounds».
[In the original Latin text: «Sed et inclytus ille Arturus rex letaliter vulneratus est, qui illinc ad sananda vulnera sua in insulam Avallonis evectus»].
But, according to scholars, Geoffrey of Monmouth's description comes from a much older excerpt, coming straight from the first century and the Roman age. The nine sisters depicted by the medieval writer seem to be drawn straight from “De Situ Orbis”, a work written by Latin author Pomponius Mela, an ancient Roman geographer.
In this ancient work, Pomponius Mela portrays a special island (which scholars identify as today's Île de Sein, an island off the coast of Brittany, France), as shown in the text drawn from a precious edition printed in Paris in 1507 (Fig. 3):
«In the Britannic Sea, opposite the coast of the Ossismi, the isle of Sena [Sein] belongs to a Gallic divinity and is famous for its oracle, whose priestesses, sanctified by their perpetual virginity, are reportedly nine in number. They call the priestesses Gallizenae and think that because they have been endowed with unique powers, they stir up the seas and the winds by their magic charms, that they turn into whatever animals they want, that they cure what is incurable among other peoples, that they know and predict the future, but that it is not revealed except to sea-voyagers and then
only to those traveling to consult them».
[In the original Latin text: «Sena in Britannico mari Ossismicis adversa litoribus, Gallici numinis oraculo insignis est, cuius antistites perpetua virginitate sanctae numero novem esse traduntur: Gallizenas vocant, putantque ingeniis singularibus praeditas maria ac ventos concitare carminibus, seque in quae velint animalia vertere, sanare quae apud alios insanabilia sunt, scire ventura et praedicare, sed nonnisi deditas navigantibus, et in id tantum ut se consulerent profectis»].
So Morgan le Fay - who in medieval times we have found as a resident fay in enchanted towns and Italian volcanoes - at the very origin of her myth was connected to an enchanted or specially blessed place, and presented the characters of a prophetess with oracular powers, a priestess, a healer, and a magician, who could fly, transform herself, and command the seas and the winds by her spells. She lived in a magical abode, in which a mighty knight and king was asked to stay forever.
All such features were mixed and intertwined in the most antique semblance of this northern-European fairy. Features that are not alien indeed to the later prophetess whose origin we are currently investigating, the Apennine Sibyl.
It is manifest that some kind of tenuous link seems to exist between Morgan le Fay and the Sibyl of the Apennines: a few basic traits they share in common, some overlapping in ther roles as rulers of enchanted abodes, and a hint that very special mountains might be of relevance to both.
Yet, this is only the beginning. The more we proceed into our search, the more the connection between the two will appear to grow larger and steadier.
Because there is one astounding turning point.
A turning point that has been overlooked for centuries and centuries. An element which connects strongly and indelibly Morgan le Fay to the world of the Sibyls. A relationship which is established between them in a minor chivalric poem, written by a secondary poet, in a country which is neither Britain, nor France, the two homelands of the Matter of Britain.
This relationship has never been highlighted adequately before the issue of the present paper. Thus what we are about to present is an absolute cornerstone in the study of the Apennine Sibyl's legend and lore: the point of passage between Morgan le Fay and the Sibyls, with a specific significance for what was due to become the still-to-be Sibyl of the Apennines.
Let's see together what we are talking about.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /11. Una maga e oracolo di nome Morgana
Nel nostro precedente articolo, abbiamo visto come un poema letterario medievale, “Floriant et Florète”, databile al tredicesimo secolo, ponga in scena una magica dama, dotata di poteri incantati e dimorante in un magico palazzo all'interno di una montagna molto speciale, situata in Italia.
Ma questa dama non è la Sibilla Appenninica, e quella montagna non è un picco appartenente alla catena degli Appennini. Ed è un dato di fatto come la Sibilla Appenninica faccia la propria apparizione solamente a partire dall'inizio del quindicesimo secolo, preceduta da negromantiche regine caratterizzate da alcuni tratti assai simili, rappresentate nel poema francese "Huon d'Auvergne" e nel romanzo "Ugone d'Avernia" di Andrea da Barberino.
Chi è dunque la magica signora che parrebbe condividere un certo numero di aspetti assai significativi che certamente appartengono, invece, come ci eravamo abituati a considerare, alla Sibilla degli Appennini?
Il poema “Floriant et Florète” ci indica una direzione ben precisa, e forse inattesa: quella dama è Morgana la Fata, e sembrerebbe proprio che anch'essa sia solita vivere in luoghi nascosti o sotterranei, come il Monte Etna, il grande vulcano siciliano.
Ed esiste anche un altro poema, anch'esso risalente al tredicesimo secolo, "Claris et Laris", il quale pone sulla scena un regno incantato, il quale presenta molti tratti in comune con la magica residenza della Sibilla Appenninica, sebbene ne sia signora una ben differente regina, che stiamo cominciando già a conoscere: di nuovo, Morgana, la sorellastra di Re Artù.
Ma chi è Morgana la Fata?
In questo articolo, non osiamo di certo avventurarci in un impari confronto con questa straordinaria figura, che è parte integrante del ciclo arturiano: attraverso i secoli, essa è stata oggetto di una ricerca incessante e approfondita, nei domini della letteratura, della mitografia, della storia e della psicologia, e non rientra negli obiettivi del presente lavoro il discutere in dettaglio l'origine, le caratteristiche, i tratti e i significati di questo fiabesco personaggio, un protagonista indiscusso delle leggende e delle tradizioni connesse con la Materia di Bretagna.
La più nota descrizione del personaggio di Morgana è contenuta nell'opera, famosa nel mondo, “Le Morte d'Arthur” di Thomas Malory, pubblicata per la prima volta a Londra nel 1485: in essa, Morgana è la perfida sorellastra di Re Artù, una maga determinata a perseguire la rovina del proprio fratellastro, sospinta da un odio implacabile. Una figura maligna, un personaggio negativo, e un'esperta negromante.
Eppure, questo è solo il risultato finale di un lungo processo attraverso il quale il personaggio di Morgana ha subìto significative trasformazioni, a cominciare da un punto di partenza particolarmente significativo.
Perché la più antica menzione conosciuta che riguardi Morgana e che sia riportata in un testo scritto è rinvenibile nella “Vita Merlini” ("Vita di Merlino") di Goffredo di Monmouth, redatta attorno al 1150 e disponibile nella sua interezza in un solo manoscritto (Cotton MS Vespasian E IV, folia 112v–138v), conservato presso la British Library di Londra. Un'opera nella quale l'autore ci racconta di un'isola speciale, un'isola incantata (Fig. 1):
«L'Isola dei Frutti, che è chiamata anche 'Fortunata',
così nominata per l'abbondanza che essa stessa offre:
non è necessaria, sui campi coltivati, l'opera rustica degli agricoltori;
non c'è coltivazione se non di ciò che la natura regala:
Messi e uve sono prodotte in grande quantità,
e gli alberi da frutto prosperano tra i boschi e le distese di prati;
la terra offre di tutto invece che mere erbe,
e lì si vive per cento anni o anche più».
[Nel testo originale latino: «Insula Pomorum qua Fortunata vocatur,
Ex re nomen habet, quia per se singula profert:
Non opus est illi sulcantibus arva colonis;
Omnis abest cultus nisi quem natura ministrat:
Ultro foecundas segetes producit et uvas,
Nataque poma suis pretonso germine silvis;
Omnia gignit humus vice graminis ultro redundans.
Annis centenis aut ultra vivitur illic»].
Secondo Goffredo di Monmouth, in questa isola paradisiaca vivrebbero nove sorelle, nove fate, delle quali la più bella è la stessa Morgen, dotata del dono della saggezza e del sapere della guarigione, nonchè di magici poteri:
«Lì nove sorelle guidate da leggi benigne
provvedono guida a chi si reca a loro dalle nostre terre:
La prima tra di esse è la più esperta nell'arte del guarire;
supera le altre sorelle per la leggiadria dell'aspetto;
Morgana è il suo nome, e ha appreso ciò che di utile
ogni erba possiede, per curare i corpi languenti;
Le è anche nota l'arte per la quale conosce il mutar di forma,
e come solcare i cieli con nuove ali quasi come Dedalo;
quando lo desidera, essa è a Brest, Chartres o Pavia,
e quando vuole ritorna scivolando nell'aria presso i nostri lidi.
E si dice che abbia anche insegnato alle proprie sorelle la scienza dei numeri».
[Nel testo originale latino:
«Ilic jura novem geniali lege sorores
Dant his qui veniunt nostris ex partibus ad se:
Quarum que prior est fit doctior arte medendi;
Exceditque suas forma prestante sorores;
Morgen ei nomen, didicitque quid utilitatis
Gramina cuncta ferant, ut languida corpora curet;
Ars quoque nota sibi qua scit mutare figuram,
Et resecare novis quasi Dedalus aera pennis;
Cum vult est Bristi, Carnoti, sive Papie,
Cum vult in nostris ex aere labitur horis.
Hancque mathematicam dicunt didicisse sorores»].
Dunque, secondo questa antichissima rappresentazione, Morgen vive presso un'isola incantata, feconda di ogni genere di frutto. Tra le nove sorelle, è la più affascinante, è una guaritrice e una fata, grazie alla propria abilità nel mutare di forma, e volare.
Nella magica isola, prosegue Goffredo di Monmouth, Morgen riceve re Artù, ferito, in un meraviglioso palazzo, e gli chiede di rimanere presso di lei per un tempo senza fine, affinché le sue ferite possano guarire:
«[...] Con il principe ci recammo lì,
e Morgen ci accolse con gli onori più adeguati,
e nelle sue camere pose il re su un letto d'oro
[...] disse infine che egli sarebbe potuto guarire
se per un lungo tempo fosse rimasto con lei
e se avesse voluto ricevere le cure della sua medicina».
[In the original Latin text:
«[...] cum principe venimus illuc,
Et nos quo decuit Morgen suscepit honore,
Inque suis talamis posuit super aurea regem
[...] tandemque redire salutem
Posse sibi dixit, si secum tempore longo
Esset, et ipsius vellet medicamine fungi»].
Una dimora incantata, appartata, isolata, abitata da una regina delle fate, un luogo dove riposare per sempre. E quell'isola, come riferisce lo stesso Goffredo di Monmouth in un'altra opera, l' “Historia Regum Britanniae” (Libro XI, Capitolo II, nel testo tratto dal folium 53v del manoscritto Latin 6040 conservato presso il Département des Manuscrits della Bibliothèque Nationale de France, risalente alla fine del dodicesimo secolo - Fig. 2), è la favolosa isola di Avalon:
«[...] Anche l'illustre Re Artù fu ferito mortalmente, ed egli fu portato nell'isola di Avalon per curare le proprie ferite».
[Nel testo originale latino: «Sed et inclytus ille Arturus rex letaliter vulneratus est, qui illinc ad sananda vulnera sua in insulam Avallonis evectus»].
Ma, secondo gli studiosi, la descrizione di Goffredo di Monmouth deriverebbe da un brano ancora più antico, proveniente direttamente dal primo secolo e dall'età romana. Le nove sorelle menzionate dall'autore medievale parrebbero essere tratte da "De Situ Orbis", un'opera redatta dallo scrittore latino Pomponio Mela, un antico geografo classico.
Pomponio Mela, infatti, dipinge un'isola assai speciale (che gli studiosi identificano con l'odierna Île de Sein, un'isola posta di fronte alla costa della Bretagna, in Francia), così come rinvenibile nel testo tratto da una preziosa edizione stampata a Parigi nel 1507 (Fig. 3):
«Nel mare Britannico, di fronte alle coste degli Ossismi, si trova Sena, che grandemente illustre è a causa del divino oracolo Gallico, in merito al quale si racconta che le sacerdotesse, santificate da una perpetua verginità, siano in numero di nove: sono chiamate Gallizene, e si ritiene che, grazie ai peculiari poteri dei quali dispongono, esse possano suscitare i mari e i venti con i loro canti magici, e che possano tramutarsi in qualsivoglia animale esse desiderino, curare ciò che è incurabile tra gli altri popoli, conoscere il futuro e preannunciarlo, ma ciò non viene rivelato se non ai naviganti, e solo se ci si ponga in viaggio per consultarle».
[Nel testo originale latino: «Sena in Britannico mari Ossismicis adversa litoribus, Gallici numinis oraculo insignis est, cuius antistites perpetua virginitate sanctae numero novem esse traduntur: Gallizenas vocant, putantque ingeniis singularibus praeditas maria ac ventos concitare carminibus, seque in quae velint animalia vertere, sanare quae apud alios insanabilia sunt, scire ventura et praedicare, sed nonnisi deditas navigantibus, et in id tantum ut se consulerent profectis»].
E così, la medesima Morgana - che in età medievale abbiamo visto essere una fata dimorante all'interno di magiche città e italici vulcani - alla sorgente del proprio mito appare essere connessa ad un luogo incantato o particolarmente benedetto, presentando inoltre i tratti di una profetessa dotata di poteri oracolari, di una sacerdotessa, di una guaritrice e di una maga, capace di volare, trasformarsi e comandare il vento e il mare per mezzo dei propri incantesimi. Essa viveva in una magica dimora, all'interno della quale, a un potente re e cavaliere, fu chiesto di rimanere per sempre.
Tutte queste caratteristiche si presentavano mescolate e intrecciate tra di loro, nel più antico sembiante di questa fata nordeuropea. Caratteristiche che non risultano essere affatto estranee alla più tarda profetessa la cui origine forma l'oggetto della nostra investigazione, la Sibilla Appenninica.
Sembra palese come un qualche genere di flebile legame possa sussistere tra Morgana la Fata e la Sibilla degli Appennini: alcuni tratti fondamentali che esse sembrano condividere, una qualche sovrapposizione tra i rispettivi ruoli come signore di dimore incantate, e un accenno al fatto che montagne molto speciali possano essere rilevanti per entrambe.
Eppure, questo non è che l'inizio. Quanto più procediamo nella nostra investigazione, tanto più il legame tra le due figure diventerà sempre più esteso e più stabile.
Perché sussiste uno strabiliante punto di svolta.
Un punto di svolta che è stato dimenticato per secoli e secoli. Un elemento che collega, fortemente e indelebilmente, Morgana la Fata e il mondo delle Sibille. Una relazione che viene stabilita, tra di esse, in un poema cavalleresco minore, scritto da un poeta secondario, in un territorio che non è né la Britannia, né la Francia, le due principali patrie della Materia di Bretagna.
Questa connessione non è stata mai adeguatamente esplicitata prima della pubblicazione del presente lavoro. Quindi, ciò che stiamo per presentare costituisce una assoluta pietra miliare nello studio della leggenda della Sibilla Appenninica: il punto di passaggio tra Morgana e le Sibille, con una speciale rilevanza per ciò che in seguito diventerà la futura Sibilla degli Appennini.
Vediamo insieme di cosa stiamo parlando.
7 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /10. A fay from Britain to the land of Italy
We are now about to meet fairy queens and subterranean realms, in the land of Italy: however, the realm we are going to meet is not the Apennine Sibyl's.
Could this peculiar element, connected to magical abodes situated in very special mountains, be a further foreign narrative layer concealing the true nature of the legend which concerns a Sibyl of the Apennines? Is this a further, crucial step we are about to make in the delicate process of taking out the concentric narrative leaves which hide the pulsating nucleus of the myth that lives in the Sibillini Mountain Range, in the Italian Apennines?
Let's see and find out.
One of the most antique examples, and almost unknown, of a narrative scheme concerning a magical realm set in Italy is present in a substantially neglected manuscript originally preserved at Newbattle Abbey, a benedictine monastery not far from Edinburgh, Scotland. The manuscript contains “Floriant et Florète” (Fig. 1), a minor chivalric romance written in Old French and dating to the second half of the thirteenth century. The manuscript, including sixty-nine leaves, was discovered in the abbey's library in the second half of the nineteenth century and published in 1873, and is currently preserved at the New York Public Library (manuscript De Ricci, no. 122). Further fifteenth-century manuscripted versions of this romance exist at the Bibliothèque Nationale de France (Département des Manuscrits, Français 1492 and 1493), with the title "Le Roment de Floriant et de Flourete", but the Scottish manuscript is more antique and it is the only text presenting the form of a metrical poem.
The tale narrated in “Floriant et Florète” establishes a direct link between the Arthurian legends, part of the Matter of Britain, and the Mediterranean and Italian world. The story unfolds in Sicily, the island situated in southern Italy: soon after his birth, the son of the Sicilian king Elyadus is brought away by three fairies whose lady is a powerful magician. The child is raised in an enchanted palace, set in a very special place (that we will name below), and given the name of Floriant. Subsequently, Floriant is sent by the fairy queen from Sicily to the court of King Arthur in Britain. He becomes a valiant knight. When Floriant comes to know his kingly lineage, King Arthur and all the knights of the Round Table pledge to help him: they promise to win Sicily back for him against the usurper Maragoz. Arthur sets sails to Sicily, he and his knights fight the usurper and his ally, the Emperor of Constantinople, at Monreale and Palermo, two Sicilian towns, and then Floriant is restored to power.
Scholars (Megan Moore, 2014) have seen in this antique poem an effort to establish a bridge between the Matter of Britain and the Mediterranean region, with the author staging a war being waged by King Arthur against the rulers of Byzantium, and portraying in the poem Sicilian merchants from Palermo who come to and fro Britain to exchange all sorts of goods («marcheant sunt arrivez - Qui de Palerne furet né. - Droit de Bretaigne revenoient - Dras et marchandise aportoient», Folium 24r).
Amid all that, there is one specific element we want to stress: incredibly enough, this romance stages an Italian mountain, a fairy queen, and a realm in which no one can ever die.
Is that queen the Apennine Sibyl? No: she is «Morgain», or Morgan le Fay, the most famous half-sister to King Arthur; and the Italian mount is Mongibel, the ancient name for Mount Etna, the volcano sitting in the vicinity of the town of Catania, Sicily.
«Three fairies coming from the see - Their master is called - Morgan, King Arthur's sister [...] - Morgan, with no further delay, - seized the child [Floriant], and then took their way back, - towards Mongibel they headed - where their castle lay [...] - They had the child well nourished and tended».
[In the original Old French text: «Trois fées de la mer salée - La mestresse d'aux ert nommée - Morgain, la suer le roi Artu [...] - Morgain, sans plus de demorée, - L'a pris. Aitant s'en tornernet, - Vers Mongibel s'acheminerent - Quar c'estoit lor mestre chastel [...] - Bien le font norrir et garder», Folium 5v].
At the Mongibel, or Mount Etna, Floriant undergoes «training in all arts» («Morgan [...] par nuit m'embla, - Droit à Mongibel m'emporta, - Bien me fist norrir et garder - Et de tous les ars doctrinner», Folium 30v). When he grows up, Floriant asks Morgan about his true lineage:
«One day Floriant came to Morgan - and so he spoke to her: - “Dame, he said, listen to my words. - I know well you are my mother, - yet I do not know the name of my father.” - When Morgan heard his words, [... she said] “And do you know which direction you will head now? - You are to go to King Arthur, and you will tell him - That Morgan, his sister, salutes him».
[In the original Old French text: «Un jor est à Morgain venu - Florians, si li demanda: - "Dame, fet-il, entendez çà. - Bien croi que vous estes ma mere, - Mais je ne connois pas mon pere." - Quant Morgain l'ot ansi parler, [... fet-ele] "Et savez quel part vous irois? - Au roi Arti, si li dirois - Que Morgain, sa soeur, le salue», Folia 7r and 7v].
Mongibel, the magical castle of the mountain, is a place where no one can ever pass away. Here is how Morgan describes it to Floriant, who at the end of the romance is nearing death (Folium 69v - Fig. 2):
«My friend, you are about to die
And leave this life,
Nothing can help you,
No medicine can save you:
That is why I wanted to have you here.
Know then, by your own eyes and with no lies
That this castle of Mongibel is enchanted;
Know that the truth is as follows:
No one can ever die here.
King Arthur, when he will be on the verge of death,
Will be brought here by my brothers;
When he will be about to die,
You must know that I will bring him here».
[In the original Old French text:
«Amis, vous deviez mourir
Et de cest siecle departir,
Nus ne vous i péust aidier,
Mecine n'i éust mestier:
Por itant vous fis ci venir.
Sachiès de voir et sanza mentir
Que cist chastuaus [Mongibel] si est feez;
Sachiéz que ço est veritez:
Nus hons ne puet caienz mori.
Li rois Artus, au defenir,
Mes freres, i ert amenez;
Quant il sera à mort navrez,
Sachiez que je l'i amenrai».
The manuscript ends a few lines after the listed words. However, we know the closing of “Floriant et Florète” by virtue of the fifteenth-century manuscripts available at the Bibliothèque Nationale de France: both Floriant and Florète enter the Mongibel to live an eternal life, and «after that, nobody was who ever heard of them anymore» («Et oncques puis ne fut nul qui ouist parler d'eulx»).
Unbelievable as it might seem, we must remember that “Floriant et Florète” is not the only antique text which establishes a peculiar connection between King Arthur and Mount Etna as his final resting place (Fig. 3). According to a most ancient tradition, Arthur is still living an eternal life in the enchanted island of Avalon in Britain, but a few medieval authors reports a truly different location: Mongibel in Sicily was mentioned by Gervase of Tilbury in his “Otia Imperialia”, written at the beginning of the thirteenth century; the same did Caesarius of Heisterbach with his “Dialogus Miraculorum” dating to near 1220; and a mention is also found in Stephen of Bourbon's “Tractatus de diversis materiis predicabilibus”, written in the first half of the thirteenth century. All of them set the immortal King Arthur beneath Mount Etna, a conspicuous evidence of the migration of tales belonging to the Matter of Britain from northern Europe to Italy and back again, mainly owing to the ceaseless wandering of oral performers and storytellers who used to tread all the roads of the continent. But the listed authors do not provide further details on the magical abode hidden within the Sicilian volcano.
As to “Floriant et Florète”, the striking fact is that, some one hundred fifty years before “Guerrino the Wretch” and “The Paradise of Queen Sibyl” were written, a chivalric poem was already narrating of a fairy lady, who lived in a very special mountain - a volcano - set in Italy and whose abode was an enchanted place, bestowed of the gift of immortality. Furthemore, like in the legend of “Tannhäuser”, dating to the same period as “Guerrino” and “The Paradise”, a main character of the story vanishes forever within the fairy realm and is to be seen no more in our world.
And the fairy lady is not the Apennine Sibyl at all: instead, she is Morgan le Fay, a prominent figure belonging to the Arthurian cycle.
The Apennine Sibyl and Morgan le Fay: what sort of relationship does exist between the two, if any?
In the next paper, we will see that a connection does actually exist. And that link is so strong that we might even suspect that the two ladies have much in common.
Much more than we can ever expect.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /10. Una fata dalla Britannia in terra italiana
Stiamo per incontrare magiche regine e regni sotterranei, in terra italiana: eppure, il reame che stiamo per visitare non è quello della Sibilla Appenninica.
È possibile che questo peculiare elemento, connesso alla presenza di residenze incantate all'interno di montagne molto speciali, possa costituire un ulteriore elemento narrativo estraneo alla vera natura della leggenda che riguarda una Sibilla degli Appennini? Potrebbe essere, questo, un passo cruciale che stiamo per compiere nel delicato processo di rimuovere i concentrici livelli narrativi che celano il nucleo pulsante del mito che vive e opera tra i Monti Sibillini, nella catena degli Appennini?
Vediamo insieme cosa stiamo per trovare.
Uno degli esempi più antichi, e quasi del tutto sconosciuti, di uno schema narrativo concernente un magico regno presente in terra d'Italia è rinvenibile in un manoscritto quasi del tutto dimenticato, originariamente conservato presso Newbattle Abbey, un monastero benedettino situato non lontano da Edimburgo, in Scozia. Il manoscritto contiene “Floriant et Florète” (Fig. 1), un romanzo cavalleresco minore redatto in antico francese e databile alla seconda metà del tredicesimo secolo. Il manoscritto, composto da sessantanove fogli, fu scoperto all'interno della biblioteca dell'abbazia nel corso della seconda metà del diciannovesimo secolo e pubblicato nel 1873, ed è attualmente conservato presso la New York Public Library (manoscritto De Ricci, n. 122). Di questo romanzo, esistono anche ulteriori versioni manoscritte databili al quindicesimo secolo e conservate presso la Bibliothèque Nationale de France (Département des Manuscrits, Français 1492 e 1493), con il titolo "Le Roment de Floriant et de Flourete", ma il manoscritto scozzese ne costituisce l'esemplare più antico e, inoltre, è il solo testo esistente che ne conservi la forma di poema in metrica.
Il racconto narrato in “Floriant et Florète” stabilisce un legame diretto tra le leggende del ciclo di Re Artù, appartenenti alla Materia di Bretagna, e il mondo mediterraneo e italiano. La vicenda si svolge in Sicilia, l'isola situata all'estremo meridione d'Italia: poco dopo la sua nascita, il figlio del re di Sicilia Elyadus viene rapito da tre fate la cui signora è una potente negromante. Il bambino viene cresciuto in un palazzo incantato, situato in un luogo molto speciale (che nomineremo tra poco), e chiamato con il nome di Floriant. Successivamente, Floriant è inviato dalla regina delle fate dalla Sicilia fino alla corte di Re Artù, in Britannia. Il giovane diviene un valoroso cavaliere. Quando egli viene finalmente informato della sua regale ascendenza, Re Artù e tutti i cavalieri della Tavola Rotonda si obbligano ad aiutarlo: gli promettono che riconquisteranno la Sicilia al suo legittimo dominio contro l'usurpatore Maragoz. Artù salpa per la Sicilia, egli e i suoi cavalieri combattono l'usurpatore e il suo alleato, l'Imperatore di Costantinopoli, presso Monreale e a Palermo, e Floriant viene così reintegrato nella sua regalità.
Alcuni ricercatori (Megan Moore, 2014) hanno visto in questo antico poema un tentativo di gettare un ponte tra la Materia di Bretagna e la regione del Mediterraneo, con l'autore che pone in scena una guerra tra Re Artù e i dominatori di Bisanzio, e ritrae nel testo alcuni mercanti originari di Palermo, che viaggiano tra la Sicilia e la Britannia per vendere e scambiare ogni sorta di merci («marcheant sunt arrivez - Qui de Palerne furet né. - Droit de Bretaigne revenoient - Dras et marchandise aportoient», Folium 24r).
In mezzo a tutto questo materiale, c'è uno specifico elemento che vogliamo porre in evidenza: in modo quasi incredibile, questo poema cavalleresco fa entrare in scena una montagna d'Italia, una regina delle fate e un regno nel quale nessuno mai può morire.
È forse, questa regina, la Sibilla Appenninica? No: si tratta di «Morgain», conosciuta anche come Fata Morgana, la celebre sorellastra di Re Artù; e la montagna italiana è il Mongibello, l'antico nome del Monte Etna, il vulcano che si erge in prossimità della città di Catania, in Sicilia.
«Tre fate provenienti dal mare - La regina d'esse è chiamata - Morgana, la sorella di re Artù [...] - Morgana, senza attendere oltre - afferrò il bambino [Floriant], e se ne tornarono indietro - Verso il Mongibello diressero il proprio cammino - dove si trovava il loro castello [...] - Esse ben nutrirono e ben si occuparono di quel bambino».
[Nel testo originale in antico francese: «Trois fées de la mer salée - La mestresse d'aux ert nommée - Morgain, la suer le roi Artu [...] - Morgain, sans plus de demorée, - L'a pris. Aitant s'en tornernet, - Vers Mongibel s'acheminerent - Quar c'estoit lor mestre chastel [...] - Bien le font norrir et garder», Folium 5v].
Presso il Mongibello, o Monte Etna, Floriant riceve «addestramento in tutte le arti» («Morgan [...] par nuit m'embla, - Droit à Mongibel m'emporta, - Bien me fist norrir et garder - Et de tous les ars doctrinner», Folium 30v). Una volta divenuto un adolescente, Floriant chiede a Morgana quale sia la sua vera ascendenza:
«Un giorno venne a Morgana - Floriant, e le domandò: - "Dama, fece egli, ascoltate. - Io credo fermamente che voi siate mia madre, - ma io non conosco mio padre." - Quando Morgana lo udì parlare in questo modo, [... ella disse] "E savete in quale luogo ve ne andrete? - Da re Artù, e a lui così direte - che Morgana, sua sorella, lo saluta».
[Nel testo originale in antico francese: «Un jor est à Morgain venu - Florians, si li demanda: - "Dame, fet-il, entendez çà. - Bien croi que vous estes ma mere, - Mais je ne connois pas mon pere." - Quant Morgain l'ot ansi parler, [... fet-ele] "Et savez quel part vous irois? - Au roi Arti, si li dirois - Que Morgain, sa soeur, le salue», Folia 7r e 7v].
Mongibello, il magico castello della montagna, è un luogo nel quale non è possibile morire. Ecco come Morgan descrive questa qualità a Floriant, il quale al termine del poema è ormai prossimo alla morte (Folium 69v - Fig. 2):
«Amico mio, voi dovete morire
E da questa vita dipartirvi,
Nulla può esservi d'aiuto,
Nessuna medicina potrà darvi giovamento:
Per questo vi feci venire qui.
Sappiate, vedendo con i vostri occhi e senza menzogne
Che questo castello [Mongibello] è incantato;
Sappiate che questa è la verità:
Nessun uomo può qui giungere a morte.
Re Artù, quando egli dovrà morire,
Sarà condotto qui dai miei fratelli;
Quando sarà sul punto di morire,
Sappiate che io lo porterò qui».
[In the original Old French text:
«Amis, vous deviez mourir
Et de cest siecle departir,
Nus ne vous i péust aidier,
Mecine n'i éust mestier:
Por itant vous fis ci venir.
Sachiès de voir et sanza mentir
Que cist chastuaus [Mongibel] si est feez;
Sachiéz que ço est veritez:
Nus hons ne puet caienz mori.
Li rois Artus, au defenir,
Mes freres, i ert amenez;
Quant il sera à mort navrez,
Sachiez que je l'i amenrai».
Il manoscritto termina alcuni versi dopo le parole che abbiamo qui citato. Nondimeno, è possibile conoscere la parte finale di “Floriant et Florète” grazie ai manoscritti quattrocenteschi disponibili presso la Bibliothèque Nationale de France: sia Floriant che Florète entrano nel Mongibello per vivere una vita eterna e senza fine, e «dopo questo, non vi fu più nessuno che avesse udito parlare di loro» («Et oncques puis ne fut nul qui ouist parler d'eulx»).
Per quanto possa oggi sembrare incredibile, dobbiamo ricordare come "Floriant et Florète” non sia affatto l'unico testo antico a stabilire una particolarissima connessione tra Re Artù e il Monte Etna in qualità di luogo del suo riposo immortale (Fig. 3). Benché, secondo un'antichissima tradizione, Artù stia ancora vivendo una vita senza fine nell'isola incantata di Avalon, in Gran Bretagna, alcuni autori medievali hanno inteso tramandare una localizzazione alquanto differente: il Mongibello, in Sicilia, è infatti menzionato da Gervasio di Tilbury nei suoi "Otia Imperialia", scritto all'inizio del tredicesimo secolo; da Cesario di Heisterbach con il suo “Dialogus Miraculorum”, risalente al 1220 circa; e da Stefano di Borbone, nel “Tractatus de diversis materiis predicabilibus”, un'opera databile alla prima metà del tredicesimo secolo. Tutti questi autori pongono l'immortale Re Artù al di sotto del Monte Etna, una prova manifesta della migrazione di narrazioni e racconti appartenenti alla Materia di Bretagna dall'Europa settentrionale all'Italia, e ritorno, in massima parte grazie all'ininterrotto girovagare di cantastorie e recitatori, che erano soliti percorrere le strade di tutto il continente. Ma gli autori citati non forniscono, comunque, ulteriori dettagli in merito alla magica dimora nascosta all'interno del vulcano siciliano.
Per quanto riguarda “Floriant et Florète”, il fatto che colpisce è che, circa centocinquanta anni prima che "Guerrin Meschino" e "Il Paradiso della Regina Sibilla" fossero scritti, un poema cavalleresco narrasse già di una signora delle fate, che viveva all'interno di una montagna molto speciale - un vulcano - situata in Italia, e la cui dimora era un luogo incantato, caratterizzato dal dono dell'immortalità. Inoltre, come nella leggenda di “Tannhäuser”, che risale al medesimo periodo di "Guerrin Meschino" e del "Paradiso", un protagonista principale della storia svaniva per sempre nel regno fatato, per non essere più visibile nel nostro mondo.
E quella dama delle fate non era affatto la Sibilla Appenninica: si trattava, invece, di Morgana, una figura di primaria rilevanza appartenente al ciclo arturiano.
La Sibilla Appenninica e Morgana la Fata: quale genere di legame esiste tra le due, se veramente ne esiste uno?
Nel prossimo articolo, vedremo come una connessione, effettivamente, esista. E il legame è così forte da farci addirittura sospettare che le due dame abbiano molto in comune.
Molto più di quanto non potremmo mai aspettarci.
6 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /9. A queen who presides over an enchanted realm (but she is not the Apennine Sibyl)
As we have shown in the preceding articles, we know that the Apennine Sibyl's cavern is not the one and only literary instance of a secure, concealed place, often located on a mountain, adorned with beautiful gardens and magnificent palaces, and inhabited by a malign entity, often a sort of dark lady.
We saw that a similar necromantic queen lives in a magical castle in the French poem “Huon d'Auvergne”:
«You must be aware that our master
is a dame from the mountain [...]
and no other woman was so wise in Britain;
She is proficient in black arts [...]
she knows the language of necromancy
if you know how to ask and tell her [...]
you will be able to know how to go to Mount Hell»
[in the original French-Italian text:
«Tu dé saver ch'el nostro capetaine
È una dame de çà da la montagne [...]
Nian si savia fui in Bertagne;
De negromencia ella è sovraine [...]
de negromançia sa tuto lo latin
Se tu te saveré domandar e contar a lei ben vexin [...]
E può saver da lie tuto lo train
Como tu anderé al munte inferin»].
And the same we find in Andrea da Barberino's “Ugone d'Avernia”:
«Know then that our master is a lady, beyond that mountain; that she is handsome and wise, more than anybody else; and she is the best necromancer in the world; and know that if you come to her, she will show you and teach you the way to meet your goal [... here is] a town, more valuable than any other one in the world, and here all pleasures that can be enjoyed by mortal men [...] you will not be able to leave».
[In the original Italian text: «Sappi, che nostro signore è una dama, passata quella montagna; ch'è bella e saggia, più che niun'altra che sia; ed è la migliore negromanta del mondo; e sappi, che se tu vieni a lei, ed ella ti potrà mostrare, e insegnare il modo che tu fornirai la tua bisogna [... qui è] una città, che tutte l'altre del mondo non vagliano, quanto questa sola, et qui tutti i diletti che per uomo mortale si può avere [sono] [...], tu non te ne saprai partire».]
An additional instance is found in the castle described by “The High History of the Holy Grail” (“Li Hauz Livres du Graal”), a thirteenth-century romance:
«There was an evil spirit within that gave answers concerning any matter they wanted to hear of» (in the old French text: «avoit malvais esperiez dedens qui lor donoit respons de canque il voloient oir»).
Another example is found in “Huon of Bordeaux”, the thirteenth-century epic poem. Within the castle protected by magically striking metal scourges we already saw that a lady is found whose name - strange enough - is Sibyl:
«The son of Sewin [Huon] from the town of Bordeaux, stroke three great blows on the golden basin [which stood beside the bronze guards]. A maiden in the castle listened to the resounding noise, her name was Sebile, a most handsome lady; as soon as the golden basin resounded, she went by a window and saw Huon who was trying to get in». [in the original French text: «Li fieus Sewins, de Bordiax la cité, Sour le bacin qui fu f'or esmeré a fru trois cos par moult grande fierté. Une pucele ou u palais listé, Sebile ot nom, moult par ot de biauté; Si tost comme ot le bacin d'or sonner, A le fenestre s'en est venue ester, et voit Huon qui veut laiens entrer»].
No one of such ladies or enchanters, in the literary works they are drawn from, is the Sibyl of the Apennines. No one of them lives under an Italian Mount Sibyl. No one of them has nothing to do with Guerrino the Wretch or is mentioned in the travel account by Antoine de la Sale. They live their literary, fictional lives elsewhere.
What does it all mean? What kind of dark lady, featuring some strange connection to the name 'Sibyl/Sebile', is hidden behind all those references and mentions?
As a matter of fact, throughout the Middle Ages the idea of a hidden, enchanted realm, inhabited by some kind of being and containing all sort of magical wonders, is not an exclusive feature of the Apennine Sibyl's legend.
But the utterly astounding thing is the fact that, as we are about to ascertain, in this same ruling role other remarkable names sometime appear. And they appear centuries before the works by Andrea da Barberino and Antoine de la Sale were written.
Let's open the pages of “Claris et Laris”, a chivalric poem which is dated by scholars to the second half of the thirteenth century, handed down to us by manuscript Français 1447 preserved at the Département des Manuscrits of the Bibliothèque Nationale de France.
And in it we find the following amazing piece of information.
The two main characters, the valiant knights Claris and Laris, arrive to an enchanted place, which features a number of aspects we already know well from the legendary tales concerning the magical abode of the Apennine Sibyl:
«Through a gate they went; - In the most charming town they entered, - such they had never seen before the like; [...] - I believe this is a Devil's artifact, - Witchcraft or enchantment».
[In the original Old French text: «Atant une porte passerent, - En la plus bele vile entrerent, - Qu'onques mes eussent veue; [...] - Je croi, que ce soit deablie, - Feerie ou enchantement»].
The two knights enter into a magical realm, a product of wizardry, in which the streets were adorned «with rich silken draperies - And precious kingly fabrics; - With so much gold and silver» («De riches pailes de cendax - Et d'osterins emperiax; - Tant i avoit or et argent»). And they are welcomed by handsome damsels, and they attend a luscious banquet, and take rest in a magnificent chamber.
But the lavish lures just conceal a deadly trap, which is ensnaring Claris and Laris (Fig. 1):
«And now that you have come here,
You will be held in great honor;
In this place you will be with us
All the days of your life.
We are all at your service,
If you do not complain of that,
For in accord with your wishes,
You will get everything you may ask for
And think of for your own pleasure,
So much so that you will never be able to leave
This abode».
[In the original Old French text:
«Et puis que ci estez venuz,
A grant hennor serez tenuz;
Ceanz nos ferez compaignie
Tretouz les jours de vostre vie.
Toutes sommes a vo voloir,
Si ne vous en doit pas doloir,
Car a vostre vouloir avrez
Tout ce, que demander savrez
Et pourpenser a grant loisir,
Fors tant, que ne porrez issir
Ja mes de ceste enfermerie»].
Who is the ruler of such a perilous, enchanted place? Who presides over such a magical kingdom, which attracts knights and noblemen by presenting them with beautiful fairies and glittering riches and appealing food? Who is the queen of a place that, once you are allowed in, you are never permitted to leave for the rest of your life, imprisoned in a neverending revelry?
Is she a Sibyl of the Apennines? The answer is no.
Let's see in the following lines who she is (Fig. 2):
«She replied to him [Laris] that her name was Morgan,
sister to King Arthur, and she was a fay».
[In the original Old French text:
«Li dist, que Morgans iert nonmee,
La suer Artus, et estoit fee»].
So, in the thirteenth century, long before “Guerrino the Wretch” and “The Paradise of Queen Sibyl” were written, a fairy queen is already ruling an enchanted realm, marked by specific traits we will later find attached to a magical place hidden within a Mount Sibyl's cave, a later abode presided over by an Apennine Sibyl.
The interesting thing is that the fairy queen is not the Apennine Sibyl, but Morgan le Fay. A legendary character which fully belongs to the Matter of Britain and the Arthurian literary cycle.
Just a mere chance? Just an insignificant coincidence which links two utterly different legendary tales, the Apennine Sibyl's and King Arthur's, both ultimately rooted in a same kind of well-known, widespread chivalric literary genre and simply making use of the same trivial narrative schemes?
Perhaps. Yet perhaps not.
Because if we deepen our search, we stumble upon another astounding coincidence, even more remarkable than that retrieved in “Claris et Laris”.
We are now about to visit a mountain. In Italy. And make acquaintance with another enchanted realm. Once again, our host will not be a Sibyl either.
Incredibly enough, it will be, once more, Morgan le Fay.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /9. Una regina che regna su un luogo incantato (ma non è la Sibilla Appenninica)
Come abbiamo avuto modo di illustrare nei precedenti articoli, sappiamo come la grotta della Sibilla Appenninica non costituisca affatto l'unico esempio letterario di un luogo protetto, nascosto, spesso collocato su una montagna, ricolmo di meravigliosi palazzi e stupendi giardini, abitato da una maligna entità, spesso una sorta di sinistra dama.
Abbiamo incontrato una tale regina delle arti negromantiche, dimorante in un magico castello, nel poema francese "Huon d'Auvergne":
«Tu devi sapere che il nostro capitano
è una dama di qui della montagna [...]
nessuna così saggia fu mai nella Bretagna
Ella è regina della negromanzia [...]
«ella conosce tutto il latino delle arti magiche
se saprai domandare e ben raccontare [...]
potrai conoscere
come recarti fino al monte dell'inferno»
[nel testo originale franco-italiano:
«Tu dé saver ch'el nostro capetaine
È una dame de çà da la montagne [...]
Nian si savia fui in Bertagne;
De negromencia ella è sovraine [...]
de negromançia sa tuto lo latin
Se tu te saveré domandar e contar a lei ben vexin [...]
E può saver da lie tuto lo train
Como tu anderé al munte inferin»].
E una figura analoga troviamo anche nell'"Ugone d'Avernia" di Andrea da Barberino:
«Sappi, che nostro signore è una dama, passata quella montagna; ch'è bella e saggia, più che niun'altra che sia; ed è la migliore negromanta del mondo; e sappi, che se tu vieni a lei, ed ella ti potrà mostrare, e insegnare il modo che tu fornirai la tua bisogna [... qui è] una città, che tutte l'altre del mondo non vagliano, quanto questa sola, et qui tutti i diletti che per uomo mortale si può avere [sono] [...], tu non te ne saprai partire».
Un ulteriore esempio è rinvenibile ne "La Nobile Storia del Santo Graal" (“Li Hauz Livres du Graal”), un romanzo risalente al tredicesimo secolo:
«C'era lì dentro uno spirito malvagio, che forniva risposte su qualsiasi cosa venisse a lui domandata» (nel testo originale francese: «avoit malvais esperiez dedens qui lor donoit respons de canque il voloient oir»).
Ancora un altro esempio è reperibile in "Huon da Bordeaux", il poema epico duecentesco. Nel castello protetto da magici flagelli metallici in movimento, troviamo, come abbiamo già avuto occasione di vedere, una dama il cui nome è - stranamente - Sibilla:
«Il figlio di Sewin [Huon], originario di Bordeaux, assestò tre colpi molto forti sul bacile d'oro [che si trovava accanto ai due guardiani di bronzo]. Una giovane nel palazzo udì il suono, Sebile era il suo nome, fanciulla di grande bellezza; subito, come udì il bacile risuonare, se ne venne alla finestra, e vide Huon che tentava di entrare» [nel testo originale francese: «Li fieus Sewins, de Bordiax la cité, Sour le bacin qui fu f'or esmeré a fru trois cos par moult grande fierté. Une pucele ou u palais listé, Sebile ot nom, moult par ot de biauté; Si tost comme ot le bacin d'or sonner, A le fenestre s'en est venue ester, et voit Huon qui veut laiens entrer»].
Nessuna di queste dame e nessuno di questi incantatori, nelle opere letterarie dalle quali sono tratti, coincide con la Sibilla degli Appennini. Nessuno di loro dimora al di sotto di un italico Monte Sibilla. Nessuno di essi ha nulla a che fare con Guerrin Meschino o viene menzionato nel resoconto di viaggio scritto da Antoine de la Sale. Tutti vivono la propria vita letteraria e fantastica in altri e diversi luoghi.
Cosa significa tutto ciò? Quale genere di dama oscura e sinistra, che pare mostrare un qualche tipo di connessione con il nome 'Sibilla/Sebile', si nasconde dietro tutti questi riferimenti e citazioni?
È un fatto come, lungo tutto il Medioevo, l'idea di un regno nascosto, incantato, abitato da un qualche genere di entità e ricolmo di ogni sorta di magiche meraviglie, non costituisca affatto una caratteristica esclusiva della leggenda della Sibilla Appenninica.
Ma l'aspetto che maggiormente colpisce è il fatto che, come stiamo per andare a vedere, in questo stesso ruolo di magico dominio, compaiano talvolta altri nomi, e assai significativi. E tali nomi fanno la propria apparizione secoli prima che le opere di Andrea da Barberino e Antoine de la Sale fossero vergate.
Andiamo ad aprire le pagine di "Claris et Laris", un poema cavalleresco risalente alla seconda metà del tredicesimo secolo, conservato nel manoscritto Français 1447 presso il Département des Manuscrits della Bibliothèque Nationale de France.
E, in esso, ci imbattiamo nella seguente, incredibile informazione.
I due protagonisti principali, i valenti cavalieri Claris e Laris, giungono presso un luogo incantato, il quale si presenta con vari elementi che sono già a noi ben noti dal racconto leggendario concernente la magica dimora della Sibilla Appenninica:
«Attraverso una porta essi passarono - Nella più bella città essi entrarono - tale da non averne mai veduto prima l'eguale; [...] - Io credo che sia opera diabolica, - Sortilegio o incantamento».
[Nel testo originale in antico francese: «Atant une porte passerent, - En la plus bele vile entrerent, - Qu'onques mes eussent veue; [...] - Je croi, que ce soit deablie, - Feerie ou enchantement»].
I due cavalieri fanno ingresso in un magico regno, un prodotto della stregoneria, in cui le strade erano adorne «di ricchi tessuti di seta - E drappi degni di un re; - Tanto erano essi intrecciati d'oro e d'argento» («De riches pailes de cendax - Et d'osterins emperiax; - Tant i avoit or et argent»). Ed essi sono accolti da bellissime damigelle, e partecipano a un meraviglioso banchetto, e sono invitati a riposare in una magnifica camera.
Ma tutte queste splendenti tentazioni celano una trappola mortale, che sta per chiudersi su Claris e Laris (Fig. 1):
«E ora che siete giunti qui,
In grande onore sarete tenuti;
Resterete a farci compagnia
Per tutti i giorni della vostra vita.
Tutte noi siamo al vostro volere,
E non avrete a dolervene,
Perché avrete al vostro comando
Tutto ciò che saprete domandare
E chiedere per il vostro piacere,
Così tanto che non potrete uscire
Giammai da questa dimora».
[Nel testo originale francese:
«Et puis que ci estez venuz,
A grant hennor serez tenuz;
Ceanz nos ferez compaignie
Tretouz les jours de vostre vie.
Toutes sommes a vo voloir,
Si ne vous en doit pas doloir,
Car a vostre vouloir avrez
Tout ce, que demander savrez
Et pourpenser a grant loisir,
Fors tant, que ne porrez issir
Ja mes de ceste enfermerie»].
Chi abita un luogo così pericoloso e incantato? Chi governa un tale magico regno, che attira nobili e cavalieri offrendo loro bellissime fate e scintillanti ricchezze e cibi succulenti? Chi è la regina di una dimora dalla quale, una volta ammessi al suo interno, non è permesso di uscire mai più per il resto della propria vita, imprigionati tra piaceri senza fine?
È forse la Sibilla degli Appennini? La risposta è no.
Ecco, nei versi seguenti, quale sia la sua identità (Fig. 2):
«Ella gli disse [a Laris] che il suo nome era Morgana,
sorella di Re Artù, e che era una fata».
[Nel testo originale in antico francese:
«Li dist, que Morgans iert nonmee,
La suer Artus, et estoit fee»].
Dunque, nel tredicesimo secolo, molto tempo prima che "Guerrin Meschino" e "Il Paradiso della Regina Sibilla" fossero scritti, una regina delle fate era già a capo di un reame incantato, caratterizzato da specifici tratti che, in seguito, troveremo associati con una magica residenza posta in un una grotta del Monte Sibilla, una più tarda dimora abitata da una Sibilla Appenninica.
La cosa interessante è che la regina delle fate non è la Sibilla Appenninica, ma la Fata Morgana. Un personaggio leggendario che appartiene pienamente alla Materia di Bretagna e al ciclo letterario arturiano.
Solamente un caso fortuito? Una mera, insignificante coincidenza che collega due racconti leggendari del tutto diversi, quello relativo alla Sibilla Appenninica e quello concernente Re Artù, entrambi sostanzialmente radicati in una medesima tipologia di narrazione letteraria cavalleresca, ben conosciuta e assai diffusa, che fanno uso degli stessi banali schemi narrativi?
Forse. O forse no.
Perché, se approfondiamo la nostra ricerca, ci imbattiamo in un'altra sbalorditiva coincidenza, addirittura ancor più rimarchevole di quella rinvenuta in "Claris e Laris".
Stiamo infatti per andare a visitare una montagna. In Italia. E a fare conoscenza con un altro reame incantato. Ancora una volta, il nostro anfitrione non sarà affatto una Sibilla.
Incredibilmente, si tratterà, ancora una volta, della Fata Morgana.
3 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /8. A new perspective in research
In our exploration of the legend of the Apennine Sibyl, we are stumbling upon layers and layers of additional material: literary elements pertaining to different legendary traditions and tales which seem to have been superimposed to a basic mythical core connected to the presence of a sinister cave and lake in the area of the Sibillini Mountain Range, a remote, craggy territory set in the Italian central Apennines.
We discovered that a magical bridge and a bewitched door described by Antoine de la Sale as part of the sibilline legend are drawn from earlier narratives of visits to the Otherworld.
We found out that an episode concerning a visit of a knight to a sensual necromantic lady living by a mountain and concealing her true nature as an evil demon is contained in an earlier poem, "Huon d'Auvergne". We also noted that a certain number of situations described by Andrea da Barberino in his "Guerrino the Wretch", including an encounter with three damsels, an invocation to Jesus, and a journey to Rome to see the Pope, are also present in other medieval works.
And when we took in our hands different works written by the same Andrea da Barberino, we stumbled upon other similar episodes, such as the encounter with the hermits, the search for information in the Italian province of Calabria, and the whole episode concerning the visit to a nasty queen in “Ugone d'Avernia”.
All of that, in addition to the fact that no reference to an Apennine Sibyl can be found in both Roman and medieval literary traditions before the beginning of the fifteenth century, seems to suggest that we should now take a perilous, treacherous turn in our most fascinating, yet formidable enquiry.
We are going to investigate the literary traces of the presence of necromantic ladies and evil queens and prophesying Sibyls in the medieval tradition and literature.
Why are we doing so? Because our search might ultimately lead to an apparently unpleasant, almost unwanted conclusion: the Apennine Sibyl is not an original feature of our mythical tale, as most probably she was just superimposed to the true, fundamental core of the legend concerning the Sibillini Mountain Range.
We are envisaging, with faltering, uneasy steps, a legend of the Apennine Sibyl with no Sibyl in it.
A final, definitive loss? The cancellation of a most illustrious legend and dream? The ultimate, sad outcome of a rigorous, unyielding investigation based on the analysis of literary sources and original manuscripts?
Not at all. We will see that the tale's original core, the mythical might of the legend was already there before a Sibyl came. And still is.
Before discussing the meaning and reach of such apparently preposterous statements, let's venture into this long, winding, slippery trail.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /8. Una nuova prospettiva di ricerca
Nel corso della nostra esplorazione della leggenda della Sibilla Appenninica, ci stiamo imbattendo in strati e strati di materiale narrativo addizionale: elementi letterari che appartengono ad altre e diverse tradizioni leggendarie, elementi che parrebbero essere stati sovrapposti a un nucleo mitico fondamentale connesso alla presenza di un'oscura caverna e un sinistro lago nell'area dei Monti Sibillini, una regione aspra, remota, posta nella porzione centrale della dorsale appenninica, in Italia.
Abbiamo scoperto come un magico ponte e delle porte stregate, citate da Antoine de la Sale come facenti parte della leggenda sibillina, siano in realtà tratte da narrazioni molto più antiche concernenti viaggi nel mondo infero.
Abbiamo rilevato come un episodio relativo alla visita di un cavaliere a una sensuale dama negromantica dimorante presso una montagna, un demone che nasconde al visitatore la propria natura maligna, sia contenuto in un poema precedente, "Huon d'Auvergne". Abbiamo anche notato come un certo numero di situazioni descritte da Andrea da Barberino nel suo "Guerrin Meschino", tra le quali un incontro con tre damigelle, un'invocazione al Cristo, e un viaggio a Roma per incontrare il Papa, siano presenti anche in altre opere medievali.
E quando abbiamo provato a prendere in mano differenti romanzi scritti da quello stesso Andrea da Barberino, ci siamo imbattuti in altri episodi simili, come l'incontro con gli eremiti, la ricerca di informazioni nella regione italiana della Calabria, e l'intero passaggio relativo alla visita presso una malvagia regina nell'"Ugone d'Avernia".
Tutto questo, da considerare assieme al fatto che nessun riferimento a una Sibilla Appenninica può essere rinvenuto nelle tradizioni letterarie romane o medievali, prima dell'inizio del quindicesimo secolo, sembra suggerire un diverso percorso: risulta infatti necessario effettuare un arduo, periglioso cambio di direzione nella nostra formidabile, benché affascinante, inchiesta sulle origini del mito sibilino.
Stiamo per andare a investigare le tracce letterarie della presenza di maghe valenti nell'arte di negromanzia, malvagie regine e Sibille profetanti nella tradizione e nella letteratura del Medioevo.
Perché ci accingiamo a percorrere questa strada? Perché la nostra ricerca potrà infine condurci verso una conclusione apparentemente spiacevole, e forse nemmeno desiderabile: la Sibilla Appenninica non è un elemento originale del nostro racconto mitico, in quanto, con grande probabilità, la sua figura è stata semplicemente sovrapposta al nucleo più vero e più profondo della leggenda che riguarda i Monti Sibillini.
Stiamo ipotizzando, con passi incerti ed esitanti, la sussistenza di una leggenda della Sibilla Appenninica senza la presenza di una Sibilla.
Una perdita finale, definitiva? La cancellazione di una leggenda più che illustre, di un sogno plurisecolare? Il triste risultato conclusivo di una investigazione rigorosa, senza compromessi, basata sull'analisi delle fonti letterarie e dei manoscritti originali?
No, non è così. Vedremo infatti come il nucleo originale di questo racconto, la potenza mitica di questa leggenda fosse attiva, e presente, ben prima che una Sibilla giungesse in questi luoghi. E questa presenza sussiste ancora.
Prima di potere discutere il significato e la portata di queste affermazioni apparentemente arbitrarie, dobbiamo però cominciare ad avventurarci sulla traccia di questo lungo, scivoloso, tortuoso percorso.
2 Jan 2019
Birth of a Sibyl: the medieval connection /7. More chivalric additions to the Sibyl's legend
We are probing into the enigma of the origin of the legend of the Apennine Sibyl, the mysterious oracle and prophetess who, since the fifteenth century, seems to inhabit a remote peak raising in the Apennine mountains, at the very center of the Italian peninsula (Fig. 1). And the more we proceed in our investigation, the more we retrieve narrative episodes which seems to have been taken from earlier medieval romances: a sort of shelter which veils the true core of the legend, an envelope made up by a succession of leaves that are not truly pertinent to the fundamental essence of the Sibyl of the Apennines.
Let's consider another astounding correspondence contained in Chapter LXVI of “Ugone d'Avernia”, which - once again - resounds in our ears as something we already know (Fig. 2):
«How it happened that Huon, after a long walk, stumbled upon three hermits [...] and after having walked a full day, he saw a hollowed cave, a cavern, in which three men lived [...] those from the inside [...] all took a cross in their hands, and appealed to Huon with the following words: we beg you, in the name of Jesus Christ, not to do any harm to us [...] and welcomed him with great expressions of joy [...] This mountain has a name, said the eldest among them, on this mountain was stranded the Noah's Ark after the Flood» [in the original Italian text: «Come Ugo, caminato alquanto, trovò tre romiti [...] e quando fu ito una giornata, vide in una grotta forata una caverna, dove dimoravano tre uomini [...] quegli di drento [...] presono tutti una croce in mano, e iscongiurarono Ugo, così dicendo: io ti scongiuro, per lo nome di Iesù Cristo, che a noi non possa nuocere [...] e ricolsonlo con grandissima festa [...] Questa montagna s'appella, disse il maggiore di loro; in su questa montagna rimase l'arca di Noè per diluvio»].
Three hermits, a cross in their hands. And here is a similar passage, retrieved in the initial part of the sibilline episode described by Andrea da Barberino in “Guerrino the Wretch”:
«when they came to this hermitage they were tired [...] and one of the hermits answered to them, and said Jesus of Nazareth help us [...] and they were three hermits and each one of them had a small cross in his hand. And one of them pleaded them and said: go back [...] They were allowed in the hermitage together with their horses» [in the original Italian text: «Quando zonzeno a questo remitorio erano stanchi [...] et uno de li Remiti respose: e disse ihesus nazarenus tu ci aiuti [...] et erano tre remiti ogni homo avea una crosetta in mano. E sconzurone uno de loro e disse: tornate indrieto [...] Li misseno dentro loro e soi cauali»].
And we find a comparable episode in “I Reali di Francia” (“The Royal House of France”), a fifteenth-century romance by the same author, Andrea da Barberino. Amid the innumerable events narrated in this lengthy romance, here is a hermit again (Fig. 3):
«In the middle of the thick woods of Corneto [between Latium and Tuscany] he got lost and went about for three nights and two days, getting farther and farther through those forests, the third day he arrived to a Hermitage; he knocked at the door, and a hermit came out and shouted at him, evil Thief, you are to meet your own death. Fiovo bowed, and said. Oh Blessed man, I am no Thief, for I descend from a noble lineage [...] When the Hermit listened to his words [...] he said. Friend, I have nothing to eat, if God does not send any food to us, so let's take your horse to a place in which the wild beasts shall not devour it [...] and then they entered the Hermitage, and the Hermit signed himself with the Cross and blessed Fiovo»].
[in the original Italian text: «per le folte selve di Corneto si smarrì, et andò tre notti, e due giorni avviluppandosi per quelle selve, il terzo giorno arrivò la sera ad un Romitorio, et picchiato all'uscio, venne fuora un Romito, e gridò malvaggio Ladrone, alla morte sei venuto. Fiovo s'inchinò, e disse. O Santo huomo, io non son Ladrone, ma sono di gentil lignaggio [...] Quando il Romito l'intese [...] disse. Amico, io non ho da mangiare, se Dio non ce ne manda, ma mettiamo il cavallo in luogo, che le fiere non lo divorano [...] e dipoi entrarono nel Romitorio, e'l Romito fatto il segno della Croce, benedisse Fiovo»].
This is a further demonstration of the fact that the hermits we find in the sibilline episode contained in “Guerrino the Wretch” are just a commonplace theme typical of chivalric literature, so much so that Andrea da Barberino liked to use hermits at least thrice in three different romances, and in situations that are remarkably similar.
Again, just a mere chance? It is manifest that specific literary themes have made their journey from “Ugone d'Avernia” to “Guerrino the Wretch”, and possibly also the other way round. There are many elements that are most likely been copied by Andrea da Barberino from one work to the other, and, for the sake of our search, it does not matter which one is the original source.
If we look for other instances, we may note that in Chapter XIII of Andrea da Barberino's “Ugone d'Avernia” the main character makes his way to Rome, while engaged in a quest to find the entryway to Hell, to meet the Pope (Fig. 4): exactly the same situation we find in Andrea da Barberino's “Guerrino the Wretch” (Chapter CLVII), in which it's the Pope himself who tells Guerrino to go the Purgatory of St. Patrick («lo purgatorio de santo Patritio» in Italian), the legendary Irish access point to Hell. Also remember that we found a similar occurrence in Antoine de la Sale's “The Paradise of Queen Sibyl” and in the thirteenth-century epic poem “Huon of Bordeaux”.
And now another significant example. In the “Ugone d'Avernia”, Ugo moves to the Italian province of Calabria in search of information on where to find an access to Hell (Fig. 5):
«As he travelled through Calabria, and as he went about asking, the way I already told you, he found a few good men, who told him that he would find people able to help him in Athens; and many others corroborated the said assertions, by saying that there he would find many highly experienced men, mainly in the necromantic arts» [in the original Italian text: «et passando per la Calavria, et domandando, com'io v'ho detto, trovò alcuni uomini da bene, i quali gli dissono, che in Attene potrebbe trovare chi l'aiuterebbe di tal fatto; et per molti fu raffermo, perché v'erano valenti uomini esperti, e spezialmente in atto di negromanzia»].
Oddly enough, a same scene is present in “Guerrino the Wretch”:
«And he travelled to the kingdom of Calabria [...] He stayed in Reggio di Calabria for five days asking of that Sibyl. [...] While he was in the town of Reggio he happened to ask certain people about the location of the mountain of the Sibyl; and he was with an elderly man who [...] said [...] that the mountains where the Sibyl is are in the middle of Italy» [in the original Italian text: «e vene al regno di Calauria [...] Stete a rezio [Reggio di Calabria] v giorni domandando de questa Sibilla. [...] Essendo Meschino in la cità de rezio domandò certe persone dove era il monte de la Sibilla; et trovose con un homo uechio el quale [...] disse [...] che le montagne dove è la Sibila è in mezo de Italia»].
Another accidental occurrence? Yet now we start to have in our hands too many of them.
We can even find another one.
Let's consider a specific passage in “Guerrino the Wretch”, Andrea da Barberino's fifteenth-century romance which played a decisive role in spreading the Apennine Sibyl's legend throughout Europe. In Chapter CLIV, Guerrino, the valiant knight who met the Sibyl in her own enchanted den set beneath the hollow Italian mountain, despairs of having any chance to ever leave the evil abode of the prophetess, owing to the labyrinthine structure («uno grande lambarinto» in the original Italian text) of the oracle's dark cave.
How can Guerrino succeed in his search for a way out? Incredibly enough, help will come to him from an utterly unexpected way. One of the Sibyl's fairy damsels will show him the position of the door leading to the external air and sun (Fig. 6):
«A damsel came to him and said: O knight, you forgot that we are forced by God's Providence to show to you the time and place in which you are required to leave, so forget not and come with me, so I shall show you the gate and the way out of this abode».
[In the original Italian text: «Vene alui una damizella e disse o caualiero perche te desmentegi forza e a noi per la divina prouidencia demonstrarte lhora el ponto che tu dei usire e pero non te desmentigare e vieni apresso a mi che io te mostraro la porta e lusita de questa habitatione»].
This excerpt might simply appear as a meaningless instance of an awkward decision in storytelling, with the romance's author just introducing an unrealistic trick to drive his knight out of trouble.
However, there is more to it.
Let's browse the vellum leaves of manuscript Français 1447 preserved at the Département des Manuscrits of the Bibliothèque Nationale de France (Fig. 7). It contains “Claris et Laris”, a chivalric poem dating to the second half of the thirteenth century. In it, we find an episode involving the two main characters, the brave knights Claris and Laris. They both are held as prisoners in a magical castle, as we will see in more detail in a next article. How do they find their way out?
Needless to say, a helping hand comes from the inside, this time out of love:
«Madoine the fay woke up - And to the garden she went - [...] She took Laris by his right hand, - and brought him with her, - She showed a stone to him, - [...] Sir, she said, this stone - seals from here the way out; - By enchantment it was open - [...] So they went out across the countryside».
[In the original Italian text: «Madoine la fee iert levee - Et dedenz le jardin entree - [...] prist Laris par la main destre, - D'une part l'amaine en un estre, - Une pierre li a moustree, - [...] Sire, fet ele, cele pierre - Clot de ceanz la voie entiere; - Par nigromance fu ouvree - [...] Einsi s'en vont par la champaigne»].
In this passage, a fay shows an emprisoned knight the way out from a bewitched place of confinement: the very same situation we already saw in “Guerrino the Wretch”, a romance written nearly a hundred fifty years after “Claris et Laris”.
And we also have another example, with a different knight and a different fay.
If we consider “Le Livre de Lancelot del Lac”, a French romance contained in manuscript Add. 10293 preserved at the British Library in London and dating to the early fourteenth century, we see the most famous knight Lancelot, a main character of the Arthurian cycle, held captive in a castle ruled by three magical ladies we will soon get to know better. And here is how the brave hero escapes the nasty grip of the enchantresses (Fig. 8):
«So the damsel who took care of him came in - And when she saw him suffer so much she was very sorry - [...] I will lead you out of this prison at night - and I will provide you with good horse and weapons - [...] and then she said - Sir, come with me - And he rose and followed her - [...] Then he mounted his horse, the one the damsel had readied for him and then she bade him farewell - [...] So he left - and went out through the garden and then across a grassland».
[In the original French text: «Atant vient auant la damoisele qui de lui se prenoit garde - Et quant elle li voit tel doel demener si en fu trop dolante - [...] ie vous geteroie anuit hors de ceste prison - et vous donroie bon cheval et bones armes - [...] et li dist - Sire uenes apres moi - Et il se lieue et le sieut - [...] Los monte sou son cheval que la pucele liot fet apareillier et puis le commande a dieu - [...] Si sen part atant - et sen issi par i uergier et puis entre en vne praerie»].
Guerrino the Wretch, Claris and Laris, Lancelot: all of them are held in magical prisons; all of them are eventually freed by damsel belonging to the retinue of one or more dark ladies, who had confined those knights. The same narrative scheme is manifestly applied to very different casts and characters. And Guerrino the Wretch is just the last in time.
What should we think of all that?
The most important result of our investigation is that a number of single episodes contained in the sibilline portion of “Guerrino the Wretch” are taken from, or have contributed to, different romances, including “Ugone d'Avernia”: this means that the elements used in such romances are of literary, chivalric origin. All of them can be used in an interchangeable way, and can be transposed by the author or the oral performer into one work or the other, and just re-used with major or minor modifications, with the aim to stun, amuse and entertain an audience looking for knightly deeds and fairy adventures.
The final conclusion is straightforward: all such chivalric elements do not seem to pertain to the true core of the legendary tale of the Apennine Sibyl. In the narrative contained in “Guerrino the Wretch” concerning a Sibyl of the Apennines, there are elements we need to remove, if we want to get to the very essence of the sibilline legend.
The path we are now treading is very slippery. However, we are fully determined to clean the legend of all concentric layers that suffocate the real mythical nucleus.
And the next, painful step might be the removal, or some sort of a radical transformation, of the Sibyl herself.
Let's go and see why we should finally make up our minds and venture into this perilous, hazardous trail.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /7. Ulteriori aggiunte cavalleresche alla leggenda della Sibilla
Stiamo indagando l'enigmatica origine della leggenda della Sibilla Appenninica, il misterioso oracolo, la profetessa che, a partire dal quindicesimo secolo, pare dimorare presso un remoto picco innalzantesi nella catena degli Appennini, proprio al centro della penisola italiana (Fig. 1). E più ci inoltriamo nella nostra investigazione, più ci troviamo a rinvenire passaggi narrativi che sembrano essere tratti da romanzi medievali più antichi: una sorta di schermo che cela il nucleo più vero della leggenda, uno scudo formato da una serie di strati che risultano non essere affatto pertinenti all'essenza più profonda della Sibilla degli Appennini.
Prendiamo ora in considerazione un'ulteriore sconcertante corrispondenza contenuta nel Capitolo LXVI dell'"Ugone d'Avernia", la quale - di nuovo - sembra risuonare al nostro orecchio come qualcosa di già noto (Fig. 2):
«Come Ugo, caminato alquanto, trovò tre romiti [...] e quando fu ito una giornata, vide in una grotta forata una caverna, dove dimoravano tre uomini [...] quegli di drento [...] presono tutti una croce in mano, e iscongiurarono Ugo, così dicendo: io ti scongiuro, per lo nome di Iesù Cristo, che a noi non possa nuocere [...] e ricolsonlo con grandissima festa [...] Questa montagna s'appella, disse il maggiore di loro; in su questa montagna rimase l'arca di Noè per diluvio».
Tre eremiti, con una croce tra le mani. Ed ecco un passaggio assai simile, reperibile nella parte iniziale dell'episodio sibillino descritto da Andrea da Barberino nel "Guerrin Meschino":
«Quando zonzeno a questo remitorio erano stanchi [...] et uno de li Remiti respose: e disse ihesus nazarenus tu ci aiuti [...] et erano tre remiti ogni homo avea una crosetta in mano. E sconzurone uno de loro e disse: tornate indrieto [...] Li misseno dentro loro e soi cauali».
E troviamo anche un episodio analogo ne "I Reali di Francia", un romanzo quattrocentesco scritto dal medesimo autore, Andrea da Barberino. Tra gli innumerevoli fatti narrati in questo prolisso romanzo, ecco ancora un altro eremita (Fig. 3):
«Per le folte selve di Corneto si smarrì, et andò tre notti, e due giorni avviluppandosi per quelle selve, il terzo giorno arrivò la sera ad un Romitorio, et picchiato all'uscio, venne fuora un Romito, e gridò malvaggio Ladrone, alla morte sei venuto. Fiovo s'inchinò, e disse. O Santo huomo, io non son Ladrone, ma sono di gentil lignaggio [...] Quando il Romito l'intese [...] disse. Amico, io non ho da mangiare, se Dio non ce ne manda, ma mettiamo il cavallo in luogo, che le fiere non lo divorano [...] e dipoi entrarono nel Romitorio, e'l Romito fatto il segno della Croce, benedisse Fiovo».
Queste citazioni costituiscono un'ulteriore conferma del fatto che gli eremiti rappresentati dell'episodio sibillino contenuto nel "Guerrin Meschino" non costituiscono altro che un motivo convenzionale tipico della letteratura cavalleresca, tanto che Andrea da Barberino volle utilizzare tali eremiti almeno tre volte in tre differenti romanzi, e in situazioni significativamente simili.
Di nuovo, si tratta solamente di mera casualità? È chiaro come alcuni specifici motivi letterari abbiano compiuto un proprio viaggio da "Ugone d'Avernia" a "Guerrin Meschino", e forse anche in direzione inversa. In queste opere sono rinvenibili elementi che, con grande probabilità, sono stati copiati da Andrea da Barberino da un'opera all'altra e, in relazione agli obiettivi della nostra ricerca, non è nemmeno determinante andare a stabilire in quale di queste opere siano stati originariamente utilizzati.
Muovendoci in cerca di altri esempi, possiamo notare come nel Capitolo XIII dell'"Ugone d'Avernia" di Andrea da Barberino il protagonista effettui un viaggio a Roma per incontrare il Papa, mentre l'eroe è impegnato in una ricerca il cui obiettivo è trovare l'ingresso dell'Inferno (Fig. 4): esattamente la stessa situazione che ritroviamo nel "Guerrin Meschino" (Capitolo CLVII), in cui è il Papa stesso a ordinare a Guerrino di recarsi presso il Purgatorio di San Patrizio («lo purgatorio de santo Patritio»), il leggendario punto d'accesso irlandese all'oltremondo infernale. Occorre anche ricordare come un'occorrenza analoga sia rinvenibile anche ne "Il Paradiso della Regina Sibilla" di Antoine de la Sale e nel poema epico duecentesco "Huon de Bordeaux".
Vediamo anche un ulteriore esempio assai rimarchevole. Nell'"Ugone d'Avernia", Ugo si reca nella provincia italiana della Calabria in cerca di informazioni su come trovare l'ingresso dell'Inferno (Fig. 5):
«Et passando per la Calavria, et domandando, com'io v'ho detto, trovò alcuni uomini da bene, i quali gli dissono, che in Attene potrebbe trovare chi l'aiuterebbe di tal fatto; et per molti fu raffermo, perché v'erano valenti uomini esperti, e spezialmente in atto di negromanzia».
In maniera assai sospetta, una medesima scena si presenta ai nostri occhi anche nel "Guerrin Meschino":
«E vene al regno di Calauria [...] Stete a rezio [Reggio di Calabria] v giorni domandando de questa Sibilla. [...] Essendo Meschino in la cità de rezio domandò certe persone dove era il monte de la Sibilla; et trovose con un homo uechio el quale [...] disse [...] che le montagne dove è la Sibila è in mezo de Italia».
Un'altra occorrenza accidentale? Eppure, a questo punto, di occorrenze casuali cominciamo ad averne tra le mani parecchie.
E ne possiamo trovare ancora un'altra.
Consideriamo uno specifico passaggio nel "Guerrin Meschino", il romanzo quattrocentesco di Andrea da Barberino che ha giocato un ruolo decisivo nel diffondere la leggenda della Sibilla Appenninica in tutta Europa. Nel Capitolo CLIV, Guerrino, il valoroso cavaliere che ha potuto incontrare la Sibilla nel suo regno incantato posto nei recessi cavi di una montagna italiana, dispera ormai di potere mai abbandonare il maligno rifugio della profetessa, a causa della struttura labirintica («uno grande lambarinto») dell'oscura grotta dell'oracolo.
Come può Guerrino avere successo nella propria ricerca di una via d'uscita? Abbastanza incredibilmente, un aiuto giungerà a lui da una direzione totalmente inaspettata. Una delle graziose dame della Sibilla gli mostrerà la posizione della porta in grado di condurlo fuori, all'aria e al sole (Fig. 6):
«Vene alui una damizella e disse o caualiero perche te desmentegi forza e a noi per la divina prouidencia demonstrarte lhora el ponto che tu dei usire e pero non te desmentigare e vieni apresso a mi che io te mostraro la porta e lusita de questa habitatione».
Questo episodio potrebbe apparire semplicemente come un esempio insignificante concernente una goffa decisione narrativa, che vede l'autore del romanzo inserire un irrealistico espediente per riuscire a tirar fuori il proprio eroe dai guai.
Ma c'è assai di più.
Andiamo infatti a scorrere i fogli pergamenati del manoscritto Français 1447 conservato presso il Département des Manuscrits della Bibliothèque Nationale de France. Esso contiene "Claris et Laris", un poema cavalleresco databile alla seconda metà del tredicesimo secolo (Fig. 7). In quest'opera, troviamo un episodio che riguarda i due protagonisti principali, i coraggiosi cavalieri Claris e Laris. Essi si trovano entrambi ad essere prigionieri in un magico castello, come avremo modo di vedere in maggior dettaglio in un prossimo articolo. I due guerrieri riusciranno a uscirne, ma come?
Non c'è nemmeno bisogno di dirlo, una mano amica provvederà un opportuno aiuto dall'interno, e questa volta per amore:
«Madoine la fata di svegliò - E nel giardino entrò - [...] prese Laris per la mano destra, - E lo condusse con sé, - Una pietra gli mostrò, - [...] Sire, gli disse, questa pietra - Chiude la via d'uscita; - Per negromanzia fu aperta - [...] E così se ne uscirono attraverso la campagna».
[In the original Italian text: «Madoine la fee iert levee - Et dedenz le jardin entree - [...] prist Laris par la main destre, - D'une part l'amaine en un estre, - Une pierre li a moustree, - [...] Sire, fet ele, cele pierre - Clot de ceanz la voie entiere; - Par nigromance fu ouvree - [...] Einsi s'en vont par la champaigne»].
In questo brano, una fata mostra a un cavaliere imprigionato come uscire da un luogo stregato in cui egli è confinato: la stessa situazione che abbiamo già veduto nel "Guerrin Meschino", un romanzo scritto circa centocinquanta anni dopo "Claris e Laris".
E disponiamo inoltre di un ulteriore esempio, con un diverso cavaliere e una diversa fata.
Se prendiamo in esame “Le Livre de Lancelot del Lac”, un romanzo francese contenuto nel manoscritto Add. 10293 conservato presso la British Library a Londra e risalente alla prima metà del quattordicesimo secolo, troviamo il famosissimo cavaliere Lancillotto, uno dei principali protagonisti del ciclo arturiano, imprigionato in un castello governato da tre magiche dame che presto andremo a conoscere meglio. Ed ecco come il valente eroe riesce a sfuggire alle malvagie grinfie di quelle incantatrici (Fig. 8):
«Entrò allora la damigella che si prendeva cura di lui - E quando lo vide così prostrato ella ne fu assai dolente - [...] Vi guiderò stanotte fuori da questa prigione - e vi darò un buon cavallo e buone armi - [...] e gli disse - Sire, seguitemi - Ed egli si levò e la seguì - [...] Montò sul suo cavallo, quello che la damigella aveva fatto apprestare per lui, e lei lo affidò a Dio - [...] Così se ne partì - e uscì attraverso il giardino e poi per una vasta prateria».
[Nel testo originale francese: «Atant vient auant la damoisele qui de lui se prenoit garde - Et quant elle li voit tel doel demener si en fu trop dolante - [...] ie vous geteroie anuit hors de ceste prison - et vous donroie bon cheval et bones armes - [...] et li dist - Sire uenes apres moi - Et il se lieue et le sieut - [...] Los monte sou son cheval que la pucele liot fet apareillier et puis le commande a dieu - [...] Si sen part atant - et sen issi par i uergier et puis entre en vne praerie»].
Guerrin Meschino, Claris e Laris, Lancillotto: tutti sono confinati in una magica prigione; tutti sono infine liberati grazie all'aiuto di damigelle che appartengono al corteggio di una o più signore del male; che avevano in precedenza imprigionato quei cavalieri. Lo stesso schema narrativo è palesemente applicato a differenti personaggi e interpreti. E Guerrino il Meschino è solo l'ultimo della serie.
Cosa possiamo infine affermare in merito a tutto ciò?
Il risultato maggiormente rilevante di questa nostra investigazione è che una serie di singoli episodi contenuti nei capitoli sibillini del "Guerrin Meschino" sono presi da, o anche hanno contribuito a, altre e diverse opere, tra le quali "Ugone d'Avernia": ciò significa che gli elementi utilizzati in questi romanzi hanno origine letteraria cavalleresca. Si tratta di elementi che possono essere utilizzati in modo intercambiabile, e possono essere trasposti dall'autore o dal narratore orale nell'una o nell'altra opera, e quindi riutilizzati con maggiori o minori modificazioni, con l'obiettivo di affascinare, divertire e intrattenere un pubblico assetato di nobili gesta e magiche avventure.
La conclusione finale è cristallina: gli elementi citati non sembrano appartenere al vero nucleo del leggendario racconto relativo alla Sibilla degli Appennini, vi sono elementi che è necessario rimuovere se intendiamo compiere il nostro viaggio fino alla essenza più genuina del mito sibillino.
Il cammino che stiamo percorrendo è estremamente scivoloso. Nondimeno, siamo assolutamente determinati a liberare la leggenda da tutti quegli strati concentrici che ne soffocano il reale nucleo mitico.
E il prossimo, doloroso passo potrebbe consistere nella rimozione, o in una sorta di radicale trasformazione, della stessa Sibilla.
Procediamo, dunque, e andiamo a vedere perché dovremmo forse risolverci ad avventurarci lungo questo rischioso, periglioso sentiero.
30 Dec 2018
Birth of a Sibyl: the medieval connection /6. Chivalric additions to the Sibyl's legend
The more we proceed into a deeper analysis of the Apennine Sibyl's currently known legendary narration, the more we find additional literary layers that enshroud the inner core of the legend and disguise the true semblance of our Sibyl.
We have started to walk with hesitant steps amid chivalric romances and poems, and what we are stumbling upon is quite upsetting: we begin to retrieve sparse references to episodes we already know within the framework of such works as “Guerrino the Wretch” and “The Paradise of Queen Sibyl”, yet they refer to different literary situations and circumstances, featuring different heroes, different settings and different villains.
This means that many of the episodes which are part of the Apennine Sibyl's legend and lore originate from other sources, and are rooted in an antique chivalric literary lineage. Such episodes have been used by authors like Andrea da Barberino and Antoine de la Sale, and by a plethora of unknown storytellers, oral performers and jongleurs before their noble and popular audiences, but have actually nothing to do with the original myth concerning the cave and lake existing on the Sibillini Mountain Range in Italy.
Let's make some further steps along this perilous, vertiginous research trail. We are now going to consider Andrea da Barberino's version of the ancient French-Italian narration of “Huon d'Auvergne”.
Andrea da Barberino, the author of “Guerrino the Wretch”, was also the author of a number of additional chivalric romances: “Huon d'Auvergne”, “The History of Ajolfus of Barbicon and Other Valiant Knights”, “The Royal House of France”, “Narbonnais Chronicles”, “The Aspromonte”: tales of valiant knights, epic deeds, virginal damsels, far-away countries, evil beasts, ghastly monsters, and magical visions, not so dissimilar from our best-known romance “Guerrino the Wretch”. Drawing on an illustrious tradition of chivalric literature written in French, Andrea da Barberino took many of such romances and translated them into Italian. Not a mere translator's work was his literary production, as his prose was intended for long sessions of reading before a captivated audience: a huge amount of additional narrative elements was always included in his revised, widely enlarged romances, featuring hundreds and hundreds of pages and made up by an almost ceaseless sequence of chivalric episodes, the vast majority of which depicting a fight between the main character and hero, and any kind of opponent - be it a knight, a king, a loathsome snake, a wild lion, or a demon.
In this immense ocean of material, we retrieve a few literary images we have already come into: images we have read in “Guerrino the Wretch”.
Let's take “Ugone d'Avernia”, whose manuscript is preserved at the Florence National Central Library as the Magliabechian Codex Cl. VI.81.P.III, no. 59, edited by Zambrini / Bacchi Della Lega in 1882: a work in excess of six hundred pages, full to the brim of the many deeds accomplished by Huon, the hero who is depicted in the earlier French-Italian romance “Huon d'Auvergne”, transformed by Andrea da Barberino into the main character of a much longer and intricated narrative (Fig. 1).
What do we find in Andrea da Barberino's “Ugone”?
Perhaps the reader remembers that in Padua's manuscripted version of “Huon d'Auvergne”, we found an episode set by the banks of the river Tigris and concerning three damsels, who introduced Huon to a realm ruled by a «dame from the mountain», proficient in necromancy: a dame who appeared to show a remarkable resemblance to Guerrino's Apennine Sibyl, as depicted by Andrea da Barberino, even though the scene from "Huon" was not set in a cavern.
Did Andrea da Barberino copied his wicked Sibyl from the necromantic dame which appears in “Huon d'Auvergne”? Maybe. Yet, he might as well have copied straight from himself. Because the very same episode is also contained in his “Ugone d'Avernia”, and this time it is set by the course of river Nile, with Huon in search of a way to reach the entrance to Hell (Chapter XXXVIII):
«How it happened that Huon met three damsels, who danced and singed, and who were evil spirits - Huon journeyed for ten days up the river [...] he saw a beach with three damsels, who in the woods, under the shadowy trees, were singing a French song [... Huon] steered the ship to the river's bank and said to himself: I do want to see what sort of adventure this may turn out to be! [...] And then the third damsel said: now I'll tell you about who we are. Know then that our master is a lady, beyond that mountain; that she is handsome and wise, more than anybody else; and she is the best necromancer in the world; and know that if you come to her, she will show you and teach you the way to meet your goal [... here is] a town, more valuable than any other one in the world, and here all pleasures that can be enjoyed by a mortal men, they can be obtained, and flavoured food, and gardens, and other scented fruit. [...] So I tell you, if you come and see the beautiful dame, and the pleasant waters, you will not be able to leave» (Fig. 2).
[In the original Italian text: «Come Ugo arrivò a tre dame, che ballavano e sonavano, ch'erano spiriti maligni - Andò Ugone, dipoi dieci giorni, su pel fiume [...] vidde in una spiaggia tre damigelle, che nel bosco, all'ombra degli alberi, cantavano una canzonetta franciosa [... Ugone] menò la nave alla riva, dicendo: io voglio vedere che aventura è questa! [...] e dipoi disse la terza: ora ti vorrò [dire] di nostro affare. Sappi, che nostro signore è una dama, passata quella montagna; ch'è bella e saggia, più che niun'altra che sia; ed è la migliore negromanta del mondo; e sappi, che se tu vieni a lei, ed ella ti potrà mostrare, e insegnare il modo che tu fornirai la tua bisogna [... qui è] una città, che tutte l'altre del mondo non vagliano, quanto questa sola, et qui tutti i diletti che per uomo mortale si può avere [sono], e spezierie, e giardini, ed altri odoriferi frutti. [...] e ciò ti dico, se tu vieni a vedere la bella dama, e le belle acque, tu non te ne saprai partire».]
Again, in a romance different from “Guerrino the Wretch”, we find a situation which strongly reminds us of the Sibyl's adventure and cave, described by the same author, Andrea da Barberino. We have a necromantic lady, to whom the main hero is introduced by three charming damsels, and the lures they present to him include a superb town and gardens and food, not dissimilar by the magical visions described by Andrea da Barberino as on show within the subterranean realm of the Sibyl. Visions which unleash on the unwary visitor the very same effects: the weakening of any willingness to leave that enchanted place and go back home.
And the available delights, too, seem to be quite the same: «the Sibyl came with all that pleasures and entertainements that are achievable by a human body», says Andrea da Barberino in “Guerrino the Wretch” [in the original Italian text: «la Sibila vene con tuti quelli piaceri e ziochi che fosse possibile che a uno corpo humano se potesse fare»].
The title of Chapter XXXIX in the “Ugone d'Avernia” leaves us with only minor doubts: «How it happened that Huon went to the ladies of the fake town, who were but demons who wanted to ensnare him» [in the original Italian text: «Come Ugone andò dalle dame della città contraffatta alla reina, che erano tanti diavoli che lo volevano ingannare»]. The episode seems to take on the very same colours and patterns of Guerrino's visit to the sibilline cave in “Guerrino the Wretch”, when our hero «saw many castles and mansions and palaces and many gardens, and he imagined all that be witchcraft: for in such a small place within the mountain it was unfeasible that so many buildings were there» [in the original Italian text: «vide molte castelle e molte ville molti palacii e molti ziardini et imaginò questi tutti essere incantamenti: per che in poco loco de la montagna non era possibile che tante cose vi fosseno»].
Because Huon is brought to a town with «all the walls made of marble, carved with sculpted figures [... and] all the charming gardens» [in the original Italian text: «tutte le mura di marmo, storiate di rilevate figure [... e] tutti i bei giardini»], a description which is really close to that presented in “Guerrino the Wretch”, when Guerrino first get into the Sibyl's realm: «they came to a large garden and a most charming loggia completely carved» [in the original Italian text: «zionzeno a uno grando ziardino a una bellissima lozia tuta istoriata»]. Note that Andrea da Barberino makes use of the same Italian word «istoriato» («carved, adorned with carvings») to depict the richness and attractiveness of the place.
The moment when Huon meets his wise dame, and Guerrino his Sibyl, are very, very similar to each other (Fig. 3):
«Huon saw the queen and her damsels sitting in a chair of astounding craft; they were so beatiful that no comparison could never be possible, if they had truly been human beings. Huon saluted her with kindness; and she greeted him in turn, and stood up, and took Huon by his hand, and said: welcome to this man, a good and gentle knight!» [in the original Italian text: «e' trovò la reina e le donne sedere in una sedia di maravigliosa adornezza; tanto bella, che non ci è comparazione, s'elle fossono state corpo umano. Ugo la salutò gentilmente; ed ella gli rendé suo saluto, e levossi da sedere, e prese Ugo per la mano, dicendo: ben sia venuto questo uomo, da bene e gentile cavaliere!»].
«Amid them there was a most charming woman, the most beautiful Guerrino's eyes had ever beheld; and one of the three damsels said that is dame Sibyl and they went to her and she was coming towards them; and when Guerrino was before her he kneeled: and she kneeled too and took him by his hand and said welcome to Sir Guerrino» [in the original Italian text: «in mezo de quele era una bella donna più che lo ochii soi mai havesse veduto; et una de queste tre li disse quella è madonna la Sibilla et in verso lei andono et lei veniva in verso loro: et zionto apreso lei se inzinochiò Guerino: e lei se inchinò e presolo per la mano et disse ben vegna mesere Guerino»].
The episode of the necromantic lady in “Ugone d'Avernia” in much shorter than the corresponding episode of the Sibyl in “Guerrino the Wretch”. However, in both romances the hero is lured into sin by the queen of the place, and in both works the main character calls for the divine protection to save his immortal soul (Fig. 4):
«Huon, almost lost, cried out: come to my aid, to the aid of your servant, Jesus of Nazareth!» [in the original Italian text: «Ugone quasi smarrito, gridò: soccorrimi, servo tuo, Nazareno Iesù!»].
«[Guerrino] was about to fall; yet he came back to God and said thrice Jesus Christ of Nazareth set me free from those whichcrafts» [in the original Italian text: «saria caduto; ma tornato a dio disse tre volte Iesu christo nazareno libera me da questi incantamenti»].
Even though the episodes found in “Ugone d'Avernia” and “Guerrino the Wretch” are not identical, it is apparent that some strict relationship exists between the two: a connection which is not limited to a mere, casual resemblance to be ultimately ascribed to a common chivalric kinship.
And the supposedly 'casual' resemblances are not over. There is more to it. Let's see the additional, astounding similarities in the next article.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /6. Addizioni cavalleresche alla leggenda della Sibilla
Più ci inoltriamo in una analisi maggiormente approfondita a proposito della narrazione leggendaria della Sibilla Appenninica, così come oggi la conosciamo, e più ci imbattiamo in sovrastrutture letterarie che velano il nucleo più interno della leggenda e mascherano il vero sembiante della nostra Sibilla.
Abbiamo iniziato con l'intraprendere passi esitanti tra poemi e romanzi cavallereschi, e ciò in cui ci stiamo imbattendo risulta essere assai sconcertante: stiamo cominciando infatti a rinvenire riferimenti sparsi a episodi che già ci sono noti da opere quali "Guerrin Meschino" e "Il Paradiso della Regina Sibilla", eppure essi sono relativi ad altre e diverse situazioni e circostanze letterarie, che riguardano eroi differenti, scenari differenti e differenti personaggi antagonisti.
Ciò significa che molti degli episodi che sono parte della leggenda e della tradizione della Sibilla Appenninica trovano origine in altre fonti, radicate in un'antica ascendenza letteraria di matrice cavalleresca. Questi episodi sono stati utilizzati da autori quali Andrea da Barberino e Antoine de la Sale, nonché da una moltitudine di sconosciuti cantastorie, attori da strada e poeti intrattenitori innanzi al proprio pubblico aristocratico o popolare, pur non avendo nulla a che vedere con il mito originale connesso con la grotta e il lago esistenti sui Monti Sibillini.
Andiamo allora a compiere alcuni ulteriori passi lungo questo periglioso e assai vertiginoso percorso di ricerca. Stiamo infatti per prendere in considerazione la versione, scritta da Andrea da Barberino, dell'antica narrazione franco-italiana dell'"Huon d'Auvergne".
Andrea da Barberino, l'autore di "Guerrin Meschino", fu anche l'autore di una serie di ulteriori romanzi cavallereschi: "Ugone d'Avernia", "Storia di Ajolfo del Barbicone e di altri valorosi cavalieri", "I Reali di Francia", "Storie Nerbonesi", "L’Aspramonte": racconti di valorosi cavalieri, epiche gesta, fanciulle virginali, distanti contrade, bestie maligne, mostri paurosi e magiche visioni, non così diversi dal suo romanzo più famoso, "Guerrin Meschino". Basandosi su di un'illustre tradizione letteraria cavalleresca scritta in lingua francese, Andrea da Barberino prese molti di questi romanzi e li tradusse in italiano. La sua non fu solamente l'opera di un traduttore, in quanto la sua prosa era destinata ad essere recitata, nel corso di lunghe sessioni di lettura, di fronte ad un pubblico catturato e affascinato: dunque, una grande quantità di elementi narrativi aggiuntivi veniva sempre inserita nei suoi romanzi, riveduti e largamente ampliati, caratterizzati da centinaia e centinaia di pagine comprendenti una sequenza quasi ininterrotta di episodi cavallereschi, la gran maggioranza dei quali rappresentata da combattimenti tra il protagonista ed eroe principale, e ogni sorta di avversario - fosse esso un cavaliere, un leone, un disgustoso serpente, un leone selvaggio, o un demone.
In questo immenso oceano di materiale, è possibile reperire alcune immagini letterarie che abbiamo già avuto occasione di incontrare: immagini che abbiamo già potuto leggere nel "Guerrin Meschino".
Prendiamo "Ugone d'Avernia", il cui manoscritto è conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze nel Codice Magliabechiano Cl. VI.81.P.III, n. 59, trascritto da Zambrini / Bacchi Della Lega nel 1882: un'opera costituita da oltre seicento pagine, piena fino all'orlo delle molte gesta d'arme compiute da Ugone, l'eroe descritto nel più antico poema franco-italiano "Huon d'Auvergne", trasformato da Andrea da Barberino nel protagonista principale di una narrazione ben più lunga e intricata (Fig. 1).
E cosa troviamo nell'"Ugone" di Andrea da Barberino?
Forse il lettore ricorderà che nel manoscritto padovano dell'"Huon d'Auvergne" avevamo rintracciato un episodio ambientato tra le rive del fiume Tigri e relativo a tre damigelle, che introducevano Huon in un regno governato da una «signora della montagna», esperta nell'arte di negromanzia: una dama che pareva mostrare una significativa somiglianza con la Sibilla Appenninica di Guerrino, descritta da Andrea da Barberino, anche la scena di "Huon" non era affatto ambientata in una grotta.
È possibile che Andrea da Barberino abbia copiato la sua malvagia Sibilla dalla magica dama che appare in "Huon d'Auvergne"? Forse. Anzi, egli avrebbe potuto anche copiare direttamente da se stesso. Perché il medesimo episodio compare anche nel suo "Ugone d'Avernia", e questa volta è ambientato lungo il corso del fiume Nilo, mentre Ugone è impegnato in una sua ricerca per trovare l'ingresso dell'Inferno (Chapter XXXVIII):
«Come Ugo arrivò a tre dame, che ballavano e sonavano, ch'erano spiriti maligni - Andò Ugone, dipoi dieci giorni, su pel fiume [...] vidde in una spiaggia tre damigelle, che nel bosco, all'ombra degli alberi, cantavano una canzonetta franciosa [... Ugone] menò la nave alla riva, dicendo: io voglio vedere che aventura è questa! [...] e dipoi disse la terza: ora ti vorrò [dire] di nostro affare. Sappi, che nostro signore è una dama, passata quella montagna; ch'è bella e saggia, più che niun'altra che sia; ed è la migliore negromanta del mondo; e sappi, che se tu vieni a lei, ed ella ti potrà mostrare, e insegnare il modo che tu fornirai la tua bisogna [... qui è] una città, che tutte l'altre del mondo non vagliano, quanto questa sola, et qui tutti i diletti che per uomo mortale si può avere [sono], e spezierie, e giardini, ed altri odoriferi frutti. [...] e ciò ti dico, se tu vieni a vedere la bella dama, e le belle acque, tu non te ne saprai partire» (Fig. 2).
Ancora una volta, in un romanzo diverso da "Guerrin Meschino", troviamo una situazione che ci ricorda fortemente le avventure della Sibilla e della sua grotta, descritte dallo stesso autore, Andrea da Barberino. Ci troviamo di fronte ad una dama esperta nell'arte di negromanzia, alla cui presenza l'eroe protagonista viene introdotto da tre affascinanti damigelle, e le lusinghe che gli vengono offerte comprendono una meravigliosa città e giardini e cibi, in modo non dissimile dal regno sotterraneo della Sibilla. Visioni in grado di scatenare, nell'incauto visitatore, gli stessi pericolosi effetti: l'indebolimento della volontà di lasciare quel luogo incantato per tornare nel mondo reale.
E i piaceri disponibili sembrano essere molto simili: «la Sibila vene con tuti quelli piaceri e ziochi che fosse possibile che a uno corpo humano se potesse fare», scrive Andrea da Barberino nel "Guerrin Meschino".
Il titolo del Capitolo XXXIX dell'"Ugone d'Alvernia" non ci lascia che pochi dubbi: «Come Ugone andò dalle dame della città contraffatta alla reina, che erano tanti diavoli che lo volevano ingannare». L'episodio pare assumere i medesimi toni e aspetti della visita di Guerrino alla grotta sibillina in "Guerrin Meschino", quando il nostro eroe «vide molte castelle e molte ville molti palacii e molti ziardini et imaginò questi tutti essere incantamenti: per che in poco loco de la montagna non era possibile che tante cose vi fosseno».
Perché anche Ugone è condotto presso una città con «tutte le mura di marmo, storiate di rilevate figure [... e] tutti i bei giardini», una descrizione che si approssima notevolmente a quella presentata in "Guerrin Meschino", quando Guerrino entra per la prima volta nel regno della Sibilla: «zionzeno a uno grando ziardino a una bellissima lozia tuta istoriata». Occorre notare come Andrea da Barberino faccia uso della medesima parola «istoriato» per rappresentare la ricchezza e le attrattive di quel luogo.
Il momento in cui Ugone viene ammesso alla presenza della saggia dama, e Guerrino a quella della Sibilla, sono descritti in maniera assai simile (Fig. 3):
«E' trovò la reina e le donne sedere in una sedia di maravigliosa adornezza; tanto bella, che non ci è comparazione, s'elle fossono state corpo umano. Ugo la salutò gentilmente; ed ella gli rendé suo saluto, e levossi da sedere, e prese Ugo per la mano, dicendo: ben sia venuto questo uomo, da bene e gentile cavaliere!».
«In mezo de quele era una bella donna più che lo ochii soi mai havesse veduto; et una de queste tre li disse quella è madonna la Sibilla et in verso lei andono et lei veniva in verso loro: et zionto apreso lei se inzinochiò Guerino: e lei se inchinò e presolo per la mano et disse ben vegna mesere Guerino».
L'episodio della negromantica dama nell'"Ugone d'Avernia" risulta essere molto più breve del corrispondente episodio concernente la Sibilla nel "Guerrin Meschino". Eppure, i entrambi i romanzi l'eroe è indotto in tentazione dalla regina del magico regno, e in entrambe le opere il protagonista principale invoca la protezione divina per la salvezza della propria anima immortale (Fig. 4):
«Ugone quasi smarrito, gridò: soccorrimi, servo tuo, Nazareno Iesù!».
«[Guerrino] saria caduto; ma tornato a dio disse tre volte Iesu christo nazareno libera me da questi incantamenti».
Benché gli episodi rinvenibili in "Ugone d'Avernia" e "Guerrin Meschino" non siano identici, è evidente come sussista una stretta relazione tra i due: una connessione che non si limita a una mera, casuale somiglianza in ultima analisi ascrivibile ad una comune ascendenza cavalleresca.
E le ipotetiche somiglianze 'casuali' non finiscono affatto qui. C'è ancora qualcosa di più. Vedremo infatti le ulteriori, sorprendenti analogie nel prossimo articolo.
28 Dec 2018
Birth of a Sibyl: the medieval connection /5. Sensual damsels, necromantic ladies, journeys to Rome and other familiar situations
Layer by layer, leave by leave, with this series of articles we are unfolding the antique literary envelope which for centuries has concealed the true semblance of the Apennine Sibyl: an operation we are carrying out by removing the narrative additions that actually belong to different legendary traditions.
After having ascertained that no mention of an Apennine Sibyl is to be retrieved in any available Roman or medieval text, we began our most delicate work by taking out the magical narrow bridge which, according to Antoine de la Sale, was part of the Sibyl's legend and lore. Subsequently, we proceeded to remove from the sibilline tradition the ever-clashing metal doors, a device that was mentioned by de la Sale in connection to the Sibyl's cave.
What will our next step be?
We harbour a suspicion: that many other narrative elements contained in “Guerrino the Wretch” and “The Paradise of Queen Sibyl” may actually be taken or even copied from earlier romances, or poems. Especially chivalric romances and poems. Just like “Huon d'Auvergne” and “Huon of Bordeaux”, two examples of Middle-Ages works in which we found references to the magical bridge and the magical doors.
Are we on the right track? Yes, we are. We are going to find a number of literary references to episodes very similar to those reported by Andrea da Barberino and Antoine de la Sale as to the Apennine Sibyl. The remarkable fact is that such references are contained in works that have nothing to do with the legend concerning Mount Sibyl (Fig. 1).
To begin with, let's stick to chivalric literature, and look at what happens when we open the pages of “Huon d'Auvergne”, the chivalric poem dating to a period set between the mid-fourteenth century and the beginning of the fifteenth century (Fig. 2). As we already noted, for the first time ever, in a previous article (“The Knights of the Sibyl - Guerrino the Wretch and His Forefathers: Huon d'Auvergne”), we stumble upon a literary scene that sounds so oddly familiar to our ears.
Huon is travelling near the river Tigris, when he meets three damsels. And here is what the three fair ladies say to him:
«You must be aware that our master
is a dame from the mountain.
Neither Medea nor Helen were so fair,
and no other woman was so wise in Britain;
She is proficient in black arts,
more than all the scholars in Toledo and Spain»
[in the original French-Italian text:
«Tu dé saver ch'el nostro capetaine
È una dame de çà da la montagne.
No fo si bela Medea ni Helaine,
Nian si savia fui in Bertagne;
De negromencia ella è sovraine,
Plui che no sé sença ingagne
Tuti li maistri de Toleta ni de Spagne»].
And they add: «she knows the language of necromancy - if you know how to ask and tell her [...] - you will be able to know how to go to Mount Hell» [in the original French-Italian text: «de negromançia sa tuto lo latin - Se tu te saveré domandar e contar a lei ben vexin [...] - E può saver da lie tuto lo train - Como tu anderé al munte inferin»].
All of a sudden, something well known seems to appear: a «dame from the mountain», a wise queen, a necromancer who can deliver oracular responses to visitors, and send them to a «Mount Hell».
All this, though transferred by the banks of river Tigris, seems a portrait of a sort of Apennine Sibyl, the dame who Andrea da Barberino, in his romance “Guerrino the Wretch”, called the «wise Sibyl» («savia Sibilla» e «sapientissima Sibilla» in Italian). And the correspondence appears to be even closer when we read “Huon”'s description of the three young ladies:
«three damsels [...] Each one of them was remarkably handsome - their eyes sparkling and their cheecks most white - and as red as fresh roses - their slender arms on their beautiful shoulders - their breasts dancing before them» [in the original French-Italian text: «tre damissele [...] De gran beleça fo çascuna d'eles - Li so ochi à vari e blanche lor maseles - Color vermeio como ruoxe noveles - Sulle spale pendeano lor dreçe beles - Davanti lo sso peti ponceano le so mameles»].
But all this brings to our mind a similar scene we find in Andrea da Barberino's "Guerrino the Wretch", when the main character, in the recesses of the Sibyl's cave, knocks at a door flanked by two sculpted demons. When the door opens, three damsels appear (Fig. 3):
«the three damsels were so handsome and perfectly shaped that no tongue will ever be able to depict their beauty» [in the original Italian text: «queste erano tre damiselle tanto polite e belle che lingua mai non lo potrebe dire tanto era la loro belleza»].
Strange enough, different heroes (Huon, Guerrino) meet a same number of damsels in different places ruled by similar necromantic and oracular queens. And Guerrino's queen, the Sibyl, «shows him her own fairness and her white flesh, with her breasts which looked like polished ivory» [in the
original Italian text: «mostrandoli la sua belleza e le sue bianche carne e le mamelle che pareano proprio che fossero da volio»], which reminds us of the seductive qualities shown by the three damsels to Huon.
All this might just appear as some kind of commonplace coincidence between two chivalric works featuring brave heroes in search of fame and glory. However, the unlikely occurrences pile up one after another.
Huon d'Auvergne, just like Guerrino the Wretch, follows the young ladies to meet the necromantic queen. And we find a same spell acting on this hero, a close relative of the enchantment which is at work in the cave of the Apennine Sibyl: «the Devil was using all his powers - to lead him into wicked straits» [«che llo diavollo adoverave la sso possançe - de condurlo a malvasse sentançe»]. The spell of the magnificent castle he is led into is so powerful that Huon thinks to himself that «I would never go back to my Alvernia» («mai non curerav'io in Alvernia torner»).
Then, as we already saw for the first time in my previous article “The Knights of the Sibyl - Guerrino the Wretch and His Forefathers: Huon d'Auvergne”, Huon is admitted to the presence of the queen («la raina») and his eyes behold a most beautiful woman; yet our valiant knight «knows for certain that her fairness was fake and illusory» («sapié per certaine - che sso belleça era falssa e vaine»). But the same applies to the Sibyls and her damsels, who are turned once a week into ugly beasts, serpents and vermins. The evil queen will try to lure Huon into sin - the same luxurious sin as offered by the Apennine Sibyl to her visitors: and Huon will raise the very same anguished cry - «come to my aid, Jesus from Nazareth» [«Secori lo to servo, naçareno Jexhu»] - as Guerrino the Wretch will utter in despair in an identical occurrence in Andrea da Barberino's romance: «Jesus Christ from Nazareth save my soul» [«Iesu christo nazareno fame salvo»].
At last, both Huon and Guerrino actually succeed in preserving their own purity: they resist the enticements presented to them by their ghastly queens, so that all enchantments disappear and they can leave the magical kingdoms unblemished.
What happens next? If we want to find other astounding clues, let's turn our attention to another Huon, the thirteenth-century epic poem “Huon of Bordeaux”.
As we know, in Andrea da Barberino's chivalric romance, the main character Guerrino, after his stay in the Sibyl's cave, rides to Rome so as to ask the Pope for forgiveness (Fig. 4):
«He journeyed for many days heading to Rome. At the hotel he rested one day: then he went to St. Peter, and asked many people to have the chance to talk to the Holy Father [...] He kneeled down to the Pope's feet, he kissed them while he wept, as he cried for forgiveness». [in the original Italian text: «per molte ziornate andò a Roma. A lo albergo se reposò uno giorno: poi andò a santo pietro, e domandò a molti de parlare a lo santo padre [...] inzinochiose in sina ali soi pedi, e baxò li piedi sempre pianzendo, e cridando misericordia»].
And the same happens to a German knight in Antoine de La Sale's text, after a visit to the abode of the Sibyl (Fig. 5):
«And when he arrived to Rome, with no hesitation, as soon as he could, he went to St. Peter. Then he threw himself at the feet of a priest [...] 'Holy Father, said the knight [...] I come to you, the Vicar of Christ, to beg for forgiveness and mercy». [in the original French text: «Et quant il fut à Romme, sans plus attendre, tant qu'il peult, en l'eglise Saint Pierre s'en va. Lors se gecta aux pieds d'ung penancier [...] 'Pere Sainct, dist le chevalier [...] je viens à vous, Vicaire de Dieu, pour requerir pardon et mercy»].
Is that an original idea conceived by Andrea da Barberino and Antoine de la Sale? Absolutely not. Because we find a same scene written two centuries earlier in “Huon of Bordeaux”, as I already referenced in my previous article “The Knights of the Sibyl - Guerrino the Wretch and His Forefathers: Huon of Bordeaux”:
«They came to the city of Rome. That night they were housed in a hotel; they were much attended and honored. And the subsequent day, when the day came [...] they went to the monastery of St. Peter. The Pope was celebrating a high mass; Huon listened to it as well as his companions. When it was over and the celebrations had ended, and the Pope came back from the monastery, Huon walked toward him [...] He confessed all his sins to him» [in the original French text: «il sont venu à Romme le chité. Cele nuit sont herbegié à l'ostel; Moult furent bien servi et honneré. Et l'endemain, quant il fu ajorné [...] au mostier Saint Piere en sont alé. Li apostoles faisoit messe canter; Hues l'escoute et se gent autretel. Quand dite fu et li mestiers finés, Et l'apostoles est du mostier tornés. Hues li est à son encontre alés [...] A lui s'est lues li enfes confesés»].
Again and again, we find narrative situations concerning Guerrino the Wretch which are actually present in earlier chivalric works. Situations that include, it is worth remembering, also narrow bridges and metal slamming or rotating devices, like the ones depicted by Antoine de la Sale.
But something even more striking occurs in “Huon of Bordeaux”. Do you remember when we reported that Huon of Bordeaux confronted with metal scourges ceaselessly lashing and whipping to prevent visitors from passing through? He succeeded in passing through them and then got into a magical castle.
In the castle, a lady bearing an utterly surprising name is waiting for him (Fig. 6):
«The son of Sewin [Huon] from the town of Bordeaux, stroke three great blows on the golden basin [which stood beside the bronze guards]. A maiden in the castle listened to the resounding noise, her name was Sebile, a most handsome lady; as soon as the golden basin resounded, she went by a window and saw Huon who was trying to get in». [in the original French text: «Li fieus Sewins, de Bordiax la cité, Sour le bacin qui fu f'or esmeré a fru trois cos par moult grande fierté. Une pucele ou u palais listé, Sebile ot nom, moult par ot de biauté; Si tost comme ot le bacin d'or sonner, A le fenestre s'en est venue ester, et voit Huon qui veut laiens entrer»].
The magical castle hides a young lady: a lady whose name is «Sebile» - an ancient French spelling for the word 'Sibyl'.
Something is clearly wrong. We are detecting so many clues, so many links to other narrations that we are quite shocked.
There are chivalric romances, earlier than “Guerrino the Wretch” and “The Paradise of Queen Sibyl”, that already contain episodes we later find in those two works. As if Andrea da Barberino and Antoine de la Sale did not refrain from drawing ideas and material from previous, already written literature.
This is actually no news in literary invention of all times. Nor is this to be considered as a sort of guilt. In chivalric literature, it actually occurs most frequently, owing to the networked circulation of narratives and episodes amid scribes and oral performers across Europe.
Nonetheless, it tells us something of the utmost importance: the matter of the Apennine Sibyl appears to be not completely original, because it is taken from different earlier literary sources. Some of them, as we have just seen, are chivalric poems and romances.
A dame, a necromantic power, an oracle. Living inside a castle, a cave, a magical place, protected by strange bridge and devices.
We find even an additional instance of that in “The High History of the Holy Grail” (“Li Hauz Livres du Graal”), a thirteenth-century romance we already quoted as containing two ever-striking iron mallets protecting a magical castle. Inside the castle, we find once more something that we already know (Fig. 7):
«There was an evil spirit within that gave answers concerning any matter they wanted to hear of» («avoit malvais esperiez dedens qui lor donoit respons de canque il voloient oir»).
Something inside. That rendered oracular response to its visitors. An evil spirit that seems to be very similar to an Apennine Sibyl. And protected by a very similar ever-moving device.
But did Andrea da Barberino and Antoine de la Sale know such chivalric poems and romances? Of course they did. As we noted before, de la Sale was a man of letters and an experienced courtier. Andrea da Barberino did something even more conclusive: at the end of the fourteenth century he wrote an Italian translation of "Huon d'Auvergne": a romance whose title is "Ugone d'Avernia", a sort of "Guerrino the Wretch" containing Huon's deeds and adventures, even though greatly expanded if compared to the original manuscipts of "Huon d'Auvergne".
Again, it seems that we have found new leaves which shelter the true essence of the Apennine Sibyl's legend, leaves that need removal: chivalric additions that are encountered in various preceding texts, suitably re-used by Andrea da Barberino and Antoine de la Sale later in time to confer more literary spice to their own works.
Let's take a closer look to such leaves, in an effort to take them out as thoroughly as we can.
To perform that task, we will urge one of our most illustrious author into a very special arena. We are going to attend a truly astounding fight: Andrea da Barberino vs. Andrea da Barberino himself.
We will compare selected excerpts from “Guerrino the Wretch” with specific passages drawn from “Ugone d'Avernia”. And we will behold amazing deeds.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /5. Sensuali damigelle, dame oracolari, viaggi a Roma e altre situazioni familiari
Foglia dopo foglia, strato dopo strato, con questa serie di articoli stiamo rimuovendo l'antico involucro letterario che per secoli ha avvolto il vero sembiante della Sibilla Appenninica: un'operazione che stiamo portando avanti eliminando quelle sovrastrutture narrative che appartengono, in realtà, ad altre e diverse tradizioni letterarie.
Dopo esserci accertati di come nessuna menzione della Sibilla Appenninica sia reperibile in alcun testo medievale o latino, abbiamo cominciato il nostro delicato lavoro con il rimuovere quel ponte magicamente stretto che, secondo Antoine de la Sale, era parte integrante della leggendaria tradizione della Sibilla. In seguito abbiamo proceduto con l'eliminazione, dal mito sibillino, delle porte eternamente battenti, un meccanismo che era stato citato da de la Sale in relazione alla grotta della Sibilla.
Quale sarà il nostro passo successivo?
Un sospetto ci muove: che altri elementi narrativi contenuti in "Guerrin Meschino" e ne "Il Paradiso della Regina Sibilla" possano in effetti essere tratti, o essere addirittura copiati, da precedenti romanzi e poemi. Specialmente romanzi e poemi cavallereschi. Proprio come "Huon d'Auvergne" e "Huon de Bourdeaux", due esempi di opere risalenti al Medioevo nelle quali abbiamo già potuto reperire riferimenti al magico ponte e alle porte incantate.
Siamo sulla strada giusta? Certamente sì. Stiamo infatti per andare a rinvenire una serie di riferimenti letterari a episodi molto simili a quelli menzionati da Andrea da Barberino e Antoine de la Sale in relazione alla Sibilla Appenninica. L'aspetto significativo di tutto ciò è che tali riferimenti sono contenuti in opere che nulla hanno a che fare con la leggenda relativa al Monte Sibilla (Fig. 1).
Per cominciare, restiamo nel campo della letteratura cavalleresca, e osserviamo cosa accade quando andiamo ad aprire le pagine di "Huon d'Auvergne", il poema cavalleresco risalente a un periodo posto tra la metà del quattordicesimo secolo e l'inizio del quindicesimo. Come già abbiamo potuto notare, con un rinvenimento originale, in un nostro precedente articolo ("I Cavalieri della Sibilla - Guerrin Meschino e i suoi antecedenti: Huon d'Auvergne"), ci imbattiamo in un episodio letterario che suona assai familiare al nostro orecchio.
Huon sta viaggiando in prossimità del fiume Tigri, dove egli incontra tre damigelle. Ed ecco come le tre belle dame si rivolgono al nostro cavaliere:
«Tu devi sapere che il nostro capitano
è una dama di qui della montagna.
Né Medea né Elena furono mai così belle,
nessuna così saggia fu mai nella Bretagna
Ella è regina della negromanzia
molto più di tutti i maestri di Toledo e della Spagna»
[nel testo originale franco-italiano:
«Tu dé saver ch'el nostro capetaine
È una dame de çà da la montagne.
No fo si bela Medea ni Helaine,
Nian si savia fui in Bertagne;
De negromencia ella è sovraine,
Plui che no sé sença ingagne
Tuti li maistri de Toleta ni de Spagne»].
E poi esse aggiungono: «ella conosce tutto il latino delle arti magiche - se saprai domandare e ben raccontare [...] - potrai conoscere come recarti fino al monte dell'inferno» [nel testo originale franco-italiano: «de negromançia sa tuto lo latin - Se tu te saveré domandar e contar a lei ben vexin [...] - E può saver da lie tuto lo train - Como tu anderé al munte inferin»].
Improvvisamente, dunque, qualcosa che noi ben conosciamo sembra fare la propria apparizione: una «signora della montagna», una saggia regina, una negromante in grado di rendere responsi oracolari ai propri visitatori, e di indirizzarli a un «monte dell'Inferno».
Tutto questo, benché trasferito presso le rive del Tigri, pare tratteggiare una sorta di Sibilla Appenninica, la dama che Andrea da Barberino, nel suo romanzo "Guerrin Meschino", chiama «savia Sibilla» e «sapientissima Sibilla». E la corrispondenza sembra essere ancora più stretta quando andiamo a leggere la descrizione, contenuta nell'"Huon", delle tre giovani damigelle:
«tre damigelle [...] ognuna di esse di grande bellezza - i loro occhi splendenti e bianche le loro guance - di color vermiglio come rose novelle - Sulle spalle le belle braccia - Innanzi ai loro petti i seni danzavano» [nel testo originale franco-italiano: «tre damissele [...] De gran beleça fo çascuna d'eles - Li so ochi à vari e blanche lor maseles - Color vermeio como ruoxe noveles - Sulle spale pendeano lor dreçe beles - Davanti lo·sso peti ponceano le so mameles»].
Ma tutto questo ci ricorda un episodio analogo reperibile nel "Guerrin Meschino" di Andrea da Barberino, in cui il protagonista principale, nei profondi recessi della grotta della Sibilla, bussa ad una porta fiancheggiata da due demoni scolpiti. Quando la porta si apre, ecco apparire tre damigelle (Fig. 3):
«queste erano tre damiselle tanto polite e belle che lingua mai non lo potrebe dire tanto era la loro belleza».
Stranamente, eroi differenti (Huon, Guerrino) si imbattono in un medesimo numero di damigelle in luoghi differenti soggetti al dominio di analoghe regine negromantiche e oracolari. E la regina di Guerrino, la Sibilla, lo accoglie «mostrandoli la sua belleza e le sue bianche carne e le mamelle che pareano proprio che fossero da volio [avorio n.d.r.]», immagine che ci ricorda le qualità seduttive mostrate dalle tre damigelle di Huon.
In realtà, tutto ciò potrebbe anche apparire come una sorta di banale coincidenza tra due opere letterarie cavalleresche che pongono in scena coraggiosi eroi in cerca di fama e di gloria. Eppure, diversi improbabili accadimenti cominciano ad accumularsi gli uni dopo gli altri.
Huon d'Auvergne, proprio come Guerrino il Meschino, segue quelle giovani damigelle per incontrare la magica regina. E ritroviamo un medesimo incantesimo che agisce sull'eroe, un parente stretto di quell'incantamento che opera all'interno della grotta della Sibilla Appenninica: «llo diavollo adoverave la sso possançe - de condurlo a malvasse sentançe». La magia del magnifico castello nel quale egli viene introdotto è così potente che Huon pensa tra sé e sé che «mai non curerav'io in Alvernia torner».
Poi, come già abbiamo avuto modo di illustrare nel nostro precedente articolo "I Cavalieri della Sibilla - Guerrin Meschino e i suoi antecedenti: Huon d'Auvergne", Huon è ammesso alla presenza della regina («la raina») e i suoi occhi vanno a posarsi su di una donna bellissima; eppure il nostro valente cavaliere «sapié per certaine - che sso belleça era falssa e vaine». Ma lo stesso vale per la Sibilla e per le sue damigelle , che ogni settimana sono mutate in bestie ripugnanti, serpenti e vermi. La malvagia regina tenterà di indurre Huon in tentazione - la medesima tentazione lussuriosa offerta dalla Sibilla Appenninica ai propri visitatori: e Huon innalzerà la stessa angosciata invocazione - «Secori lo to servo, naçareno Jexhu» - che Guerrino pronuncerà atterrito, nel proprio cuore, in un identico frangente nel romanzo di Andrea da Barberino: «Iesu christo nazareno fame salvo».
Alla fine, sia Huon che Guerrino riusciranno a preservare intatta la propria purezza: essi resisteranno entrambi ai peccaminosi allettamenti offerti loro dalle proprie rispettive regine, in modo tale da superare ogni incantamento e abbandonando così quei regni magici senza avere lordato la propria anima.
E poi? Se vogliamo trovare ulteriori, sorprendenti indizi, andiamo a rivolgerci ad un altro Huon, il protagonista del poema epico duecentesco "Huon de Bordeaux".
Come sappiamo, nel romanzo cavalleresco di Andrea da Barberino, l'eroe Guerrino, dopo la propria permanenza nella grotta della Sibilla, si reca a Roma al fine di implorare il perdono del Papa (Fig. 4):
«Per molte ziornate andò a Roma. A lo albergo se reposò uno giorno: poi andò a santo pietro, e domandò a molti de parlare a lo santo padre [...] inzinochiose in sina ali soi pedi, e baxò li piedi sempre pianzendo, e cridando misericordia».
E lo stesso accade al cavaliere tedesco menzionato nel testo di Antoine de la Sale, dopo la sua visita nella dimora della Sibilla (Fig. 5):
«E quando giunse a Roma, senza attendere oltre, non appena ne ebbe la possibilità, se ne andò alla Chiesa di San Pietro. Si gettò ai piedi di un confessore [...] 'Santo Padre, disse il cavaliere [...] io vengo a voi, Vicario di Dio, per cercare perdono e misericordia». [nel testo originale francese: «Et quant il fut à Romme, sans plus attendre, tant qu'il peult, en l'eglise Saint Pierre s'en va. Lors se gecta aux pieds d'ung penancier [...] 'Pere Sainct, dist le chevalier [...] je viens à vous, Vicaire de Dieu, pour requerir pardon et mercy»].
È forse questa un'idea originale concepita da Andrea da Barberino e Antoine de la Sale? La risposta è assolutamente negativa. Perché possiamo ritrovare il medesimo episodio in un'opera letteraria risalente a ben due secoli prima, "Huon de Bordeaux", come abbiamo già avuto modo di illustrare nel nostro precedente articolo "I Cavalieri della Sibilla - Guerrin Meschino e i suoi antecedenti: Huon da Bordeaux":
«Essi giunsero nella città di Roma. Quella notte furono alloggiati in un albergo; furono molto ben serviti e onorati. E il giorno successivo, quando fu giorno [...] se ne andarono al monastero di San Pietro. Il papa stava facendo cantar messa; Huon l'ascoltò, così come anche i suoi compagni. Quando fu terminata e le funzioni finite, e il papa ritornò dal monastero, Huon gli andò incontro [...] A lui confessò tutti i suoi peccati» [nel testo originale francese: «il sont venu à Romme le chité. Cele nuit sont herbegié à l'ostel; Moult furent bien servi et honneré. Et l'endemain, quant il fu ajorné [...] au mostier Saint Piere en sont alé. Li apostoles faisoit messe canter; Hues l'escoute et se gent autretel. Quand dite fu et li mestiers finés, Et l'apostoles est du mostier tornés. Hues li est à son encontre alés [...] A lui s'est lues li enfes confesés»].
Ancora e ancora, siamo in grado di rinvenire situazioni narrative relative a Guerrin Meschino in altre e diverse opere letterarie cavalleresche, più antiche del romanzo di Andrea da Barberino. Situazioni che comprendono, vale la pena di ricordare, anche ponti sottilissimi e meccanismi metallici che battono o ruotano, come quelli descritti da Antoine de la Sale.
E qualcosa di ancora più stupefacente compare in "Huon de Bordeaux". Vi ricordate quando riferimmo dell'episodio in cui Huon da Bordeaux affronta i flagelli di metallo che battono e frustano eternamente nell'aria per impedire ai visitatori di passare oltre? Egli riesce a oltrepassare quella magica barriera e a penetrare nell'incantato castello.
Nel castello, una dama il cui nome è assolutamente sbalorditivo attende il suo arrivo (Fig. 6):
«Il figlio di Sewin [Huon], originario di Bordeaux, assestò tre colpi molto forti sul bacile d'oro [che si trovava accanto ai due guardiani di bronzo]. Una giovane nel palazzo udì il suono, Sebile era il suo nome, fanciulla di grande bellezza; subito, come udì il bacile risuonare, se ne venne alla finestra, e vide Huon che tentava di entrare» [nel testo originale francese: «Li fieus Sewins, de Bordiax la cité, Sour le bacin qui fu f'or esmeré a fru trois cos par moult grande fierté. Une pucele ou u palais listé, Sebile ot nom, moult par ot de biauté; Si tost comme ot le bacin d'or sonner, A le fenestre s'en est venue ester, et voit Huon qui veut laiens entrer»].
Il magico castello nasconde una giovane donna: una donna il cui nome è «Sebile» - un'antica forma francese per la parola 'Sibilla'.
Qualcosa, in tutta evidenza, non va. Stiamo reperendo un così gran numero di indizi, una tale quantità di collegamenti verso altre narrazioni, che ne rimaniamo quasi sconcertati.
Esistono romanzi cavallereschi, più antichi di "Guerrin Meschino" e de "Il Paradiso della Regina Sibilla", che già contengono episodi che ritroveremo in epoca più tarda all'interno di queste due opere. Come se Andrea da Barberino e Antoine de la Sale non si fossero affatto trattenuti dall'estrarre idee e materiali da una precedente, e ben nota, letteratura.
Ciò non costituisce affatto una novità nel campo dell'invenzione letteraria di ogni epoca. Né questo deve essere considerato come una sorta di misfatto creativo. Nella letteratura cavalleresca, questo fenomeno accade assai di frequente, a motivo della circolazione interconnessa di temi narrativi ed episodi tra redattori e copisti dei testi scritti e cantastorie di tutta Europa.
Eppure, tutto questo ci racconta qualcosa che appare essere della massima importanza: la materia relativa alla Sibilla Appenninica risulta non essere affatto del tutto originale, essendo tratta da varie fonti letterarie preesistenti. Alcune di esse, come abbiamo avuto modo di vedere, sono rappresentate da romanzi e poemi di cavalleria.
Una dama, dei poteri negromantici, un oracolo. Che vive in un castello, una grotta, un luogo magico, protetto da strani ponti e meccanismi.
Troviamo anche ulteriori esempi di tutto ciò nel "La Nobile Storia del Santo Graal" (“Li Hauz Livres du Graal”), un romanzo risalente al tredicesimo secolo che abbiamo già avuto occasione di citare in quanto contenente l'immagine di due martelli di ferro che non cessavano mai di colpire, posti a protezione di un magico castello. Nel castello, troviamo ancora una volta qualcosa che già conosciamo (Fig. 7):
«C'era lì dentro uno spirito malvagio, che forniva risposte a proposito di qualsiasi cosa si volesse udire» («avoit malvais esperiez dedens qui lor donoit respons de canque il voloient oir»).
Qualcosa, lì dentro. Che rendeva responsi oracolari ai visitatori. Uno spirito malvagio che pare essere alquanto simile a una Sibilla Appenninica. E protetto da un analogo meccanismo in perenne movimento.
Ma Andrea da Barberino e Antoine de la Sale erano a conoscenza di tali romanzi e poemi cavallereschi? Certo che ne erano a conoscenza. Come abbiamo già avuto modo di osservare, de la Sale era un letterato nonché un raffinato uomo di corte. Andrea da Barberino ha compiuto atti ancora più conclusivi: alla fine del quattordicesimo secolo, egli vergò una traduzione italiana dell'"Huon d'Auvergne": un romanzo il cui titolo è "Ugone d'Avernia", una sorta di "Guerrin Meschino" contenente le gesta e le avventure di Huon, benché assai ampliate rispetto al manoscritto originale di "Huon d'Auvergne".
Ancora una volta, sembra che sia possibile identificare nuove stratificazioni che schermano la vera essenza della leggenda della Sibilla Appenninica, stratificazioni che devono essere rimosse: elementi addizionali di stampo cavalleresco nei quali ci si imbatte all'interno di vari testi preesistenti, elementi opportunamente riutilizzati da Andrea da Barberino e Antoine de la Sale in epoca più tarda per conferire maggior gusto letterario alle rispettive opere.
Andiamo a osservare con maggiore attenzione queste stratificazioni, nel tentativo di eliminarle nel modo più esaustivo possibile.
Per compiere questa operazione, sospingeremo uno dei nostri autori più illustri verso un'arena molto speciale. Stiamo per assistere ad un'incredibile tenzone: Andrea da Barberino contro Andrea da Barberino medesimo.
Andremo a confrontare alcuni brani selezionati tratti da "Guerrin Meschino" con specifici passaggi rinvenibili nell'"Ugone d'Avernia". E vedremo fatti mirabili.
26 Dec 2018
Birth of a Sibyl: the medieval connection /4. Antoine de la Sale's magical slamming doors unhinged
In our previous article, we have started to spot the flaws that affect the legendary tradition concerning the Apennine Sibyl: the total lack of mentions in medieval and/or Roman literature, the reference to a magical narrow bridge that is taken straight from earlier mythical narratives which have nothing to do with that sibilline oracle. All such clues seem to indicate that an original core making up a legend rooted in the Italian Sibillini Mountain Range has been veiled by later additions, with no relation at all with the inner nucleus of the myth.
Now we are going to confront with another instance of this masking process: a further addition to the deep core of the Apennine Sibyl's legend, providing another shield to the ultimate truth of this fascinating tale.
Let's take again in our hands the pages of manuscript no. 0653 (0924) preserved at the Musée Condé in Chantilly, France. As we know, it is the original version of Antoine de la Sale's fifteenth-century “The Paradise of Queen Sibyl”. At folia 11r and then 12r we find a sinister, blood-curdling piece of narration: the famous ever-slamming metal doors, hidden beneath the mysterious peak of Mount Sibyl, in the darkest bowels of the Sibyl's cavern (Fig. 1):
«... within that cave, up to the metal doors, which slam ceaselessly day and night, opening wide and then shutting close again [...] in the cavern, there are two doors made of metal, slamming without rest as I reported above. He said that these doors slam so savagely that everyone who wishes to enter is made aware that nobody can get in without being caught between them and wholly crushed. And that was what frightened the two Germans the more...».
[In the original French text: «... dedans ceste cave, jusques es portes de metal, qui jour et nuyt sans cesser batent, clouant et ouvrant [...] à l'endroit de la cave, sont les deux portes de metal, qui batent sans cesser ainsi que jay dessus dit. Encores dit que ces portes batent par telle maniere quil est proprement advis à celuy qui y doit entrer que entrer ne pourroit sans estre entre deux cueilly et tout effroissie. Et ce fut la chose qui plus espouventa les deux allemans dessus diz...»].
And in the printed edition of the same account, published in 1527 with the title "La Salade", a frightful, additional detail is found: «... and wholly crushed as a small fly» [«... et tout effroisse comme une mousche»] (Fig. 2).
Again, the power of de la Sale's storytelling is such that every reader, for centuries and centuries, has lingered over these words, dreaming of the cave and wishing to have a chance in life to get to the Sibyl's abode and meet the fairy lady, after having overcome the magical slamming device.
However, as we illustrated in our previous article “The Paradise of Queen Sibyl - The Literary Truth about the Magical Doors Set beneath Mount Sibyl”, such doors and devices are not new artifacts in ancient western literature. Antoine de la Sale took the doors from elsewhere and included them in his account of his visit to the Sibyl's cave.
And where did he borrowed them from? A first instance is found in chivalric literature.
As I already detailed in my article “The Knights of the Sibyl - Guerrino the Wretch and His Forefathers: Huon of Bordeaux”, we find a similar device in an earlier, thirteenth-century epic poem, “Huon of Bordeaux”:
«Two men are standing at the gate; they are made of bronze, each man holding a double scourge, all made of metal and terror-inspiring. They never stop striking and lashing to and from, throughout summer and winter. In truth I tell you that no small bird, as quick as it may go flurrying about, would never be able to get into the palace without being killed; it would not succeed in getting through» [in the original French text: «Et s'a deux hommes à l'entrer de l'ostel; Tout sont de keuvre et fait et compasé, Si tient cascuns un flaiel acouplé, Tout sont de fer, moult font à redouter. Tout adès batent et yver et esté, Et si vous di, par fine veritè, Une aloete, que bien tost set voler, Ne poroit mie ens el palais voler Que ne fust morte; ne poroit escaper»].
And that's not all. We find another instance of the same slamming contrivance in another earlier chivalric poem, “Huon d'Auvergne”, in a scene set by the castle of Lucifer (see my previous article “The Knights of the Sibyl - Guerrino the Wretch and His Forefathers: Huon d'Auvergne”):
«A lofty palace, with a tower standing before it,
Not made of stone as towers are used to be made;
That is made of metal, and tempered iron;
High walls are around the palace,
A front gate guarded by two lions,
And the gate is such
That as soon as it is swung open,
No blade is as sharp as the gate itself,
the doors cutting easily and sweetly;
they just keep on opening up and shutting close».
[in the original French-Italian text:
«Alto è el pallaço, una tore davanti lì à,
No è de piere como le tore se fa,
Ançy è d'açalle e de fero tenperà;
Alti son li muri ch'el palaço cricundà,
Davanti à una porta che do lion guardà,
E quele porte tal natura si à
Si tosto como elle averte incontenente se serà,
El non è raxori tanto taienti e filà
Che taia cossì soave como quele porte fa;
De serar e de avre alltro elle non fa».]
Here they are: in both “Huon de Bordeaux” and “Huon d'Auvergne” we find the very same revolving trap: a sharpened metal device protecting a fairy place, featuring a ceaseless motion across days and nights and summers and winters. A contrivance intended to unleash terror in the soul of the visitors (and the readers), with the same kind of small animals - birds or insects - used as an example of the crushing effect on the bold adventurers.
So Antoine de la Sale included a similar mechanism in his own account on the Sibyl's cave, a storyteller's trick drawn from chivalric literature intended to increase the thrill and enjoyment levels in his courtly audience.
But the lineage of all that - just like it was the case for the magical narrow bridge - is much older than that. The metal device, a rotating mechanism of such a kind that it never stops its evil gyration derives from a narrative we have already met before, the medieval Irish legend of St. Patrick. In the “Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii”, dating to the twelth century, we actually find the following:
«He saw before him a huge wheel made of iron and fire, whose spokes and rim were entirely encircled with fiery hooks, to each of which single hanging men were stuck. [...] And the fiends [...] made the wheel go upwards. On the other side, other demons [...] pushed it downwards and made it turn around so quick that it was hardly visible» [in the original Latin text: «Vidit ante se maximam rotam ferream et igneam, cujus radii et canti unciis igneis undique erant circumfecti, in quibus singulis pendebant quasi homines infixi. [...] Demones igitur [...] rotam levaverunt. Alii ex alia parte [...] deorsum depresserunt tantaque eam agilitate fecerunt rotare, ut nullus omnino alium posset discernere»].
And we find other instances of such a narrative scheme, like in the “Vision of St. Adamnán”, an eleventh-century account written in the “Lebor na hUidre” (“Book of the Dun Cow”), an ancient Irish manuscript. It contains very interesting special doors, protecting the entrance to the city of the Land of Saints:
«In the main doorway of the city they are confronted by a veil of fire and a veil of ice, smiting perpetually one against the other. The noise and din of these veils, as they clash together, are heard throughout the world, and the seed of Adam, should they hear that din, would be seized thereat with trembling and intolerable dismay».
[In the original Irish text: «Fíal tened ocus fíal d'aigriud i prímdorus inna cathrac inna fíadnaisse...»]
Other examples can be also found in the Arthurian cycle, such as the one retrieved in “The High History of the Holy Grail” (“Li Hauz Livres du Graal”), a romance written in old French at the beginning of the thirteenth century. Let's read a remarkable passage in the text version taken from folium 86r of manuscript Français 1428 preserved at the Bibliothèque Nationale de France (Fig. 3):
«At the entrance to the gateway of the castle were two men made by art of necromancy, and they held two great mallets of iron, and so strongly they struck and hurt that nought is there in the world that might pass through amongst their blows but should be all to-crushed thereby. [... A Voice told him not to be afraid as] no power had they to harm such a knight as was he. He comforted himself much of that the Voice said to him. He comes near to the serjeants of copper, and they cease to strike at once, and hold their iron mallets quite still. And he entered into the castle».
[In the Old French text: «A l'entrée de la porte avoit ii omes fait par art de nigramance, si tenoient deus grans mas de fer, si s'acoupoient et feroient si très durement quyl n'est riens en le mond à peust passer parmi lor cox, que tot ne fust confunduz [... Une voix lui dit de ne pas s'épouvanter parce-que] il navoient povoir de mal faire si bon chevalier qil estoiet. Il conforte mout en co que la voix dist; il proches des vileins de keuvre, et il targent de férir tantost se tienent de ferir tos coiz les max de fer; et il entre el chastel»].
As we showed in our previous article “The Paradise of Queen Sibyl - The Literary Truth about the Magical Doors Set beneath Mount Sibyl”, the original prototype of the magical, ever-moving barriers, the grim perilous passages that only true heroes can go through and overcome, is to be traced back to ancient Greece: it's the Symplegades, the «ever-clashing cliffs» described by Apollonius of Rhodes in his epic poem “Argonautica”.
And that is the origin of the literary tradition concerning the magical, ever-slamming metal doors: a tradition which has ended up its long journey through history as a magical, thrilling element included in the narrative of a French gentleman, Antoine de la Sale, who was pleased to amaze his noble audience with an account concerning a fairy realm concealed beneath a remote Italian mountain. That same Antoine de la Sale who, with the last remarks contained in his “The Paradise of Queen Sibyl”, tells the reader that «I wrote all this [...] for the sake of amusement and to while away the hours» [In the original French text: «pour rire et passer temps [...] jay mis tout en escript»] (Fig. 4).
Those doors are now unhinged. They have nothing to do with the original core of the Apennine Sibyl's legend.
The flaws, in the myth of a Sibyl of the Apennines, widen and enlarge. The scent of a trail, leading the hunter away from the standard perception of this lore and directing him towards the true core of the legend, becomes more and more evident.
Antoine de la Sale's doors, just like his narrow bridge, are just another disguise under which something different is concealed: a disguise that was borrowed from different, earlier traditions. We have to take it off if we want to get nearer to the original nucleus of Mount Sibyl's legend.
Nonetheless, we are not finished yet. There are still additions we still need to take off so that we can look at the true countenance of our Sibyl.
Let's see in the next article what else is to be removed from the Sibyl's face.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /4. Le magiche porte battenti di Antoine de la Sale scardinate
Nel nostro precedente articolo, abbiamo cominciato a individuare alcune imperfezioni che risultano essere rintracciabili nella tradizione leggendaria concernente la Sibilla Appenninica: la totale carenza di riferimenti nell'ambito della letteratura medievale e/o antico-romana, la menzione di un ponte magicamente stretto che si rinviene essere tratto da più antiche narrazioni mitiche che nulla hanno a che fare con l'oracolo sibillino. Tutti questi indizi sembrano indicare come un nucleo originale costituente la leggenda radicata tra i Monti Sibillini possa essere stato velato da aggiunte più tarde, prive di connessione con il cuore più vero del mito.
Andremo ora ad affrontare un ulteriore esempio di questo processo di mascheramento: un'altra sovrastruttura posta a racchiudere il centro profondo della leggenda della Sibilla Appenninica, uno schermo aggiuntivo che contribuisce a celare la verità ultima in merito a questo affascinante racconto.
Riprendiamo nuovamente tra le mani le pagine del manoscritto n. 0653 (0924) conservato presso il Musée Condé a Chantilly, in Francia. Come sappiamo, si tratta della versione originale dell'opera quattrocentesca scritta da Antoine de la Sale, "Il Paradiso della Regina Sibilla". Al foglio 11r e poi al 12r, troviamo un passaggio narrativo sinistro e inquietante: le famose porte di metallo eternamente sbattenti, nascoste al di sotto del misterioso picco del Monte Sibilla, all'interno dei più oscuri recessi della grotta sibillina (Fig. 1):
«... dentro questa caverna, fino alle porte di metallo, che battono giorno e notte incessantemente, chiudendosi e riaprendosi [...] all'interno della grotta, vi sono due porte di metallo, le quali sbattono senza mai fermarsi, come riferii in precedenza. E raccontò che queste porte battono in modo tale che ognuno che sia intenzionato ad entrare ben conosce come egli non potrà evitare di essere catturato tra le due, finendone completamente schiacciato. E questa fu la cosa che maggiormente spaventò i due tedeschi...»
[Nel testo originale francese: «... dedans ceste cave, jusques es portes de metal, qui jour et nuyt sans cesser batent, clouant et ouvrant [...] à l'endroit de la cave, sont les deux portes de metal, qui batent sans cesser ainsi que jay dessus dit. Encores dit que ces portes batent par telle maniere quil est proprement advis à celuy qui y doit entrer que entrer ne pourroit sans estre entre deux cueilly et tout effroissie. Et ce fut la chose qui plus espouventa les deux allemans dessus diz...»].
E nell'edizione a stampa del medesimo racconto, pubblicata nel 1527 con il titolo "La Salade", si rinviene un ulteriore dettaglio spaventoso: «... e completamente schiacciato come una mosca» [«... et tout effroisse comme une mousche»] (Fig. 2).
Di nuovo, il potere della narrazione di de la Sale è tale che ogni lettore, per secoli e secoli, si è soffermato su queste parole, sognando della caverna e desiderando di avere una possibilità, nella propria vita, di potere visitare il regno della Sibilla per incontrarne la magica regina, dopo avere superato con ardimento il magico meccanismo in eterno movimento.
Eppure, come abbiamo già avuto modo di illustrare nel nostro precedente articolo "Il Paradiso della Regina Sibilla - La verità letteraria sulle magiche porte nascoste nel Monte Sibilla", queste porte e meccanismi non risultano essere affatto nuovi nella letteratura occidentale più antica. Antoine de la Sale trasse infatti quelle porte da qualche altro luogo letterario, e le inserì nel proprio resoconto relativo alla propria visita alla grotta della Sibilla.
E da dove prese in prestito, lo scrittore provenzale, quelle porte? Un primo esempio è rinvenibile nella letteratura cavalleresca.
Come già riferito nel nostro precedente articolo "I Cavalieri della Sibilla - Guerrin Meschino e i suoi antecedenti: Huon da Bordeaux", è possibile trovare un meccanismo molto simile in un precedente poema epico, risalente al tredicesimo secolo, “Huon of Bordeaux”:
«Ci sono due uomini all'ingresso della torre; Sono fatti tutti di bronzo ben rifinito, Ognuno di essi impugna un doppio flagello, tutto di metallo, paurosi a vedersi. Essi battono continuamente, sia d'estate che d'inverno. E vi dico, in verità, che un uccellino che sapesse volare veloce, non riuscirebbe a volare fino all'interno del palazzo Senza esserne ucciso; non potrebbe fuggirne» [nel testo originale francese: «Et s'a deux hommes à l'entrer de l'ostel; Tout sont de keuvre et fait et compasé, Si tient cascuns un flaiel acouplé, Tout sont de fer, moult font à redouter. Tout adès batent et yver et esté, Et si vous di, par fine veritè, Une aloete, que bien tost set voler, Ne poroit mie ens el palais voler Que ne fust morte; ne poroit escaper»].
E questo non è tutto. Troviamo infatti un ulteriore esempio di questi meccanismi sbattenti in un altro, e più antico, poema cavalleresco, "Huon d'Auvergne", in un episodio ambientato presso il castello di Lucifero (cfr. il nostro precedente articolo "I Cavalieri della Sibilla - Guerrin Meschino e i suoi antecedenti: Huon d'Auvergne"):
«Alto è il palazzo, una torre si erge di fronte,
Non è di pietra come le torri sono costruite,
Questa è di metallo e di ferro temperato;
Alte sono le mura che circondano il palazzo,
Di fronte una porta guardata da due leoni,
E quelle porte hanno tale natura
Che non appena esse sono dischiuse,
Non esiste rasoio tanto tagliente e affilato
Che tagli così facilmente come quelle porte fanno;
Che chiudersi e aprirsi esse altro non fanno».
[nel testo originale franco-italiano:
«Alto è el pallaço, una tore davanti lì à,
No è de piere como le tore se fa,
Ançy è d'açalle e de fero tenperà;
Alti son li muri ch'el palaço cricundà,
Davanti à una porta che do lion guardà,
E quele porte tal natura si à
Si tosto como elle averte incontenente se serà,
El non è raxori tanto taienti e filà
Che taia cossì soave como quele porte fa;
De serar e de avre alltro elle non fa».]
Ed eccole dunque: sia in "Huon de Bordeaux" che in "Huon d'Auvergne" troviamo la stessa tipologia di trappole roteanti: un meccanismo metallico, tagliente, posto a protezione di un luogo incantato, caratterizzato da un moto senza requie, mantenuto giorno e notte e estate e inverno. Un ordigno inteso a scatenare il terrore nell'animo del visitatore (e del lettore), con una medesima classe di piccoli animali - uccelli o insetti - utilizzati quali esempio dell'effetto di schiacciamento prodotto sugli avventurieri troppo audaci.
E così Antoine de la Sale ha inserito un meccanismo del tutto simile nel proprio racconto relativo alla grotta della Sibilla, un trucco da cantastorie tratto dalla letteratura cavalleresca e destinato ad accrescere i livelli di emozione e divertimento tra il nobile e cortese pubblico.
Ma la discendenza di tutto ciò - esattamente come nel caso del ponte magicamente stretto - risulta essere ben più antica. Il meccanismo metallico, l'ordigno roteante che mai si arresta nella sua maligna rivoluzione proviene da una narrazione che abbiamo già avuto modo di incontrare, la leggenda medievale irlandese di San Patrizio. Nel “Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii”, databile al dodicesimo secolo, troviamo infatti quanto segue:
«Vide innanzi a sé una enorme ruota di ferro e di fuoco, i cui raggi e la cui circonferenza erano dotati di uncini di fiamme, dai quali pendevano uomini appesi. [...] E i dèmoni [...] spingevano la ruota verso l'alto. Dall'altro lato [...] ulteriori dèmoni la spingevano verso il basso e la facevano ruotare con tanta velocità che a malapena essa era visibile» [nel testo originale latino: «Vidit ante se maximam rotam ferream et igneam, cujus radii et canti unciis igneis undique erant circumfecti, in quibus singulis pendebant quasi homines infixi. [...] Demones igitur [...] rotam levaverunt. Alii ex alia parte [...] deorsum depresserunt tantaque eam agilitate fecerunt rotare, ut nullus omnino alium posset discernere»].
E possiamo rinvenire ancora ulteriori esempi di questo schema narrativo, come nella "Visione di Sant'Adamnán", un racconto dell'undicesimo secolo contenuto nel "Lebor na hUidre" ("Libro della Giovenca dal Manto Oscuro"), un antico manoscritto irlandese. Questo testo contiene interessantissime porte, molto speciali, che proteggono la via d'accesso alla città della Terra dei Santi:
«All'ingresso principale della città, essi sono arrestati da un velo di fuoco e da un velo di ghiaccio, che sbattono perennemente l'uno contro l'altro. Il rumore e il frastuono assordante prodotto da questi veli, mentre si scontrano assieme, sono uditi in tutto il mondo, e il seme di Adamo, se dovesse udire questo suono, ne sarebbe preso da pauroso e insopportabile sgomento».
[Nel testo originale irlandese: «Fíal tened ocus fíal d'aigriud i prímdorus inna cathrac inna fíadnaisse...»]
Ulteriori esempi possono essere reperiti nel ciclo arturiano, come il passaggio rinvenibile ne "La Nobile Storia del Santo Graal" (“Li Hauz Livres du Graal”), un romanzo scritto in francese antico all'inizio del tredicesimo secolo. Leggiamo assieme un interessantissimo passaggio tratto dalla versione testuale contenuta al folium 86r del manoscritto Français 1428 conservato presso la Bibliothèque Nationale de France (Fig. 3):
«All'ingresso della porta del castello, si trovavano due uomini opera dell'arte di negromanzia, che tenevano in mano due grossi martelli di ferro, colpivano e ferivano o in modo così violento che nulla vi è in questo mondo che possa passare attraverso i loro colpi, e che non ne risulti schiacciato. [... Una voce gli disse di non temere perché] essi non avrebbero potuto fare alcun male ad un buon cavaliere quale egli era. Egli trovò grande conforto in ciò che la voce gli diceva; si avvicinò ai due malvagi esseri di rame, ed essi cessarono subito di colpire, smisero di ferire e mantennero immobili le loro mazze di ferro; ed egli entrò nel castello».
[Nell'antico testo francese: «A l'entrée de la porte avoit ii omes fait par art de nigramance, si tenoient deus grans mas de fer, si s'acoupoient et feroient si très durement quyl n'est riens en le mond à peust passer parmi lor cox, que tot ne fust confunduz [... Une voix lui dit de ne pas s'épouvanter parce-que] il navoient povoir de mal faire si bon chevalier qil estoiet. Il conforte mout en co que la voix dist; il proches des vileins de keuvre, et il targent de férir tantost se tienent de ferir tos coiz les max de fer; et il entre el chastel»].
Come abbiamo già illustrato nel nostro precedente articolo "Il Paradiso della Regina Sibilla - La verità letteraria sulle magiche porte nascoste nel Monte Sibilla", l'archetipo di questa tipologia di magiche barriere in perenne movimento, il tristo e pericoloso passaggio che solamente il vero eroe può attraversare e superare, risale ai miti della Grecia antica: si tratta delle Simplègadi, le «rocce che eternamente si scontrano» descritte da Apollonio Rodio nel suo poema epico “Argonautica”.
E questa, quindi, è l'origine della tradizione letteraria relativa alle porte magiche che battono senza requie: una tradizione che ha terminato il proprio lunghissimo viaggio attraverso la storia come un elemento magico ed emozionante inserito all'interno della narrazione di un gentiluomo francese, Antoine de la Sale, che si dilettò a stupire i propri distinti lettori con un racconto concernente un regno fatato nascosto al di sotto di una distante montagna italiana. Quello stesso Antoine de la Sale che, nel passaggio conclusivo contenuto nel suo "Il Paradiso della Regina Sibilla", non nasconde al lettore che «ho scritto tutto questo [...] per sorridere e per trascorrere lietamente il tempo» [In the original French text: «pour rire et passer temps [...] jay mis tout en escript»] (Fig. 4).
Quelle porte sono ora scardinate. Esse non hanno nulla a che vedere con il nucleo originale della leggenda della Sibilla Appenninica.
Le imperfezioni, nel mito della Sibilla degli Appennini, si allargano e si estendono. Il profumo di una traccia - che conduce il cacciatore lontano dalla percezione standard che normalmente caratterizza questa tradizione, e che indirizza la ricerca verso il vero cuore della leggenda - sembra diventare a mano a mano più evidente.
Le porte di Antoine de la Sale, proprio come il suo ponte sottilissimo, non sono altro che un ulteriore simulacro sotto il quale si nasconde qualcosa di ben diverso: un mascheramento che è stato preso in prestito da altre tradizioni, molto più antiche: è necessario rimuovere tutto ciò se vogliamo avvicinarci sempre più al nucleo più profondo della leggenda del Monte della Sibilla.
Ma non abbiamo affatto terminato. Vi sono ancora molte sovrastrutture che sarà necessario eliminare, in modo da potere contemplare il vero aspetto della nostra Sibilla.
Andiamo allora a vedere, nel prossimo articolo, cosa altro occorrerà rimuovere dal volto della Sibilla.
24 Dec 2018
Birth of a Sibyl: the medieval connection /3. Dismantling Antoine de la Sale's magical bridge
In our preceding article, we highlighted the lack of any reference to the existence of an Apennine Sibyl in the centuries spanning before the fifteenth: a thoroughly suspicious piece of evidence which seems to signify that a different story is to be told about that Sibyl of the Apennines.
If no such Sibyl is mentioned in both medieval and Roman literary traditions, is that mythical narrative much younger than we used to consider? Did the Sibyl take possession of her abode amid the Sibillini Mountain Range not much before the beginning of the fifteenth century?
Because, as we already stated, there is some sort of strange whiff we sense, an odd feeling we have that something, with that Sibyl, might be somehow wrong.
And the wrong elements appear to pour in when we start to consider a number of literary facts, which pop up one after another as we consider, with increased, careful attention, the two fundamental cornerstones of the Apennine Sibyl's legendary lore: Andrea da Barberino's “Guerrino The Wretch” and Antoine de la Sale's “The Paradise of Queen Sibyl”.
When we take in our hands the two fifteenth-century works, which boosted the fame of the formerly-unknown, previously-unnoticed Sibyl across the nations of Europe and across many centuries to come, we begin to notice some flaws, a number of odd inconsistencies.
Let's open the pages of manuscript no. 0653 (0924) preserved at the Musée Condé, in the library of the Castle of Chantilly, north of Paris. This is one of the two existing instances of Antoine de la Sale's “The Paradise of Queen Sibyl”, dating around year 1440, and containing fine miniatures of the visit that the French gentleman paid to the Sibyl's cave in 1420 (Fig. 1).
At folium 11v we find a first suspicious piece of narrative that Antoine de la Sale wrote down in his travel account. When he reports the tales told to him by the local peasants about what was to be encountered in the inner recesses of the Apennine Sibyl's cave, the French gentleman mentions a bridge, a very magical instance of a bridge (Fig. 2):
«Then you find a bridge, made of some unknown material, but it is said to be less than a single foot wide and it seems to be extending far ahead. Below the bridge, a ghastly, precipitating abyss [...] Yet as soon as you put both feet on the bridge, it becomes large enough; and the more you step ahead, the more it widens and the abyss becomes shallower» [in the original French text: «Lors trouve len un pont, que len ne scet de quoy il est mais est advis quil nait mie un pie de large et samble estre moult long. Dessoubz ce pont a tres grant et hydeux abisme de parfondeur [...] Mais aussi tost quon a les deux piez sur ce pont il est assez large; et tant vait on plus avant tant est plus est large et moins creux»].
Very nice, very interesting, very thrilling: what a sinister magical place this Italian cavern must be, and how intriguing this account by de la Sale sounds to his listener's ears.
Too bad this very special bridge is taken straight out from a different literary tradition, and bravely copied by Antoine de la Sale into his work on the Apennine Sibyl.
As we fully explained in our previous article “Antoine de la Sale and the Magical Bridge Concealed beneath Mount Sibyl”, the magical bridge, narrow as a razor's edge but widening itself when trodden by a true, sincere believer, is part of a most renowned literary tradition spanning through Europe across a thousand years, and throughout the Middle Ages.
Where did Antoine de la Sale take this bridge from? There are two main channels through which he received and became fully acquainted with the ancient tradition of the narrow bridge.
The first channel is chivalry and chivalric romances.
Antoine de la Sale was a refined courtier and a man of letters, so he was perfectly aware of the chivalric literature of his own time. When in 1455 he wrote “The History and Pleasant Chronicle of Little Jehan de Saintré and the Young Lady of the Fair Cousins" (“L'Hystoire et plaisante cronicque du Petit Jehan de Saintré et de la jeune Dame des Belles Cousines”), he built a literary account of the education of a perfect, ideal young knight, a most influential and most-read book for hundreds of years. And he included, in Chapter III, words that show his full knowledge of the Matter of Britain and the Arthurian legend: «[...] the valorous achievements, the imperishable memories, and the ever-glorious feats of a Launcelot, a Gauvain, a Tristan, of Giron, the courteous, and of the other heroes of the Round Table» [in the original French text: «[...] les grans vaillances, les grans emprises et les chevalereux fais de Lancelot, de Gauvain, de Tristan, de Giron le Courtois et des autres preux de la Table Ronde»]. In addition to that, Antoine de la Sale was born in the French region of Provence, so he was certainly fully acquainted with the Chansons de Geste, the French medieval epic poems.
And what do we find in such chivalric literature he well knew? Let's take "Huon d'Auvergne", a chivalric poem belonging to an ancient French-Italian tradition, of which four manuscripts survive (Berlin, Turin, Padua, Bologna) dating between 1341 and 1441. In manuscript n. 32 preserved at the Biblioteca del Seminario Vescovile in Padova, whose original literary source is dated by scholars to the first half of the fifteenth century, we stumble upon the very same bridge:
«I will tell you how cruel was that bridge: - Its top side is as sharp as an arrow - And it cleaves more easily than a sword [...] first he signed himself with the cross - then they ventured across the bridge with small steps - so that they safely reached the far edge»
[in the original French-Italian text at Folium 101 recto in the Padua manuscript: «La crudelitade del ponte ve voio contere: - Desovra è agudo como quarel d'açere - E pluy ca spada ello taia volentiere [...] primamente se fè la croxe al vis, - Po se meteno su per lo ponte a pas petis - Tanto che sono olltro el pont sulla ris»].
So that bridge, as narrow as a razor, but turning into a crossable one if the brave believer's faith is strong, is a literary motif we also find in chivalric romances.
And there is even a second source from which Antoine de la Sale may have drawn inspiration for his Sibyl's bridge: the Irish legend of St. Patrick, which refers to a cavern providing an entryway to Purgatory, and which de la Sale well knew, as attested by his work “La Salade”, containing a direct reference to the legend of «Saint Patrisse» in «Yrlande», where «a cave is found in which people say that the punishment in Purgatory and the torments in Hell can be seen» [in the original French text: «la est la cave ou se dit que on va veoir les peines de purgatoire et les tourmens d'enfer»].
It is in the ancient manuscripts of the “Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii”, dating to the twelth century, that we find, again, the very same bridge:
«A bridge crossed the river, which was covered with roaring, fiendish flames, which showed three impossible features, to the utter terror of those who had to get through: the first was that it was slippery, so that even if it had been wide enough, no one would be able to set its foot firmly onto it; furthermore, it was so narrow and frail that nobody would dare to stand nor tread on it; third, it was so tall over a river down below that utterly frightful was the vision of the abyss [...] However the knight, who trusted in Jesus [...] bravely entered the bridge and began to walk on it, without sensing nothing slippery under his feet [...] and finding the bridge wider and wider; and after a little while so grew the width of the bridge, that ahead of him it was as large as a public street, and eleven wagons travelling at the same time would enjoy enough space [...] He saw that the broadness of the bridge was growing so much that scarcely he could now see the two sides of it».
[In the original Latin text: «Pons vero protendebatur ultra flumen, sulphurei incendii flamma copertum, in quo tria quasi impossibilia et transeuntibus valde formidanda videbantur, unum quod ita lubricus erat, ut etiam si latus fuerit, nullus vel vix aliquis in eo pedem figere posset; alterum quod tam strictus et gracilis erat, ut nullus in eo stare vel ambulare valeret; tertium quod tam altus erat, et a flumine remotus ut horrendum esset deorsum aspicere [...] Sed miles Christi fidelis [...] pontem audacter ingressus, coepit pedetentium incedere, nihilque lubrici sub pedibus sentiens [...] eo spatiosorem invenit pontem; et ecce post paululum tanta crevit pontis latitudo, ut publicae viae amplitudinem prae se ferret, et undecim carra sibi obvianta posset excipere [...] vidit latitudinem pontis in tantum excrescere, ut vix ex utraque parte ejus fines posset aspicere»].
In Fig. 3, the same passage, with a slightly different wording, can be retrieved in manuscript Latin 5137, a version of the “Purgatorium Sancti Patricii” dating to the thirteenth century and preserved at the Bibliothèque Nationale de France.
And the matter does not end here. We actually discover that that bridge, the same bridge that Antoine de la Sale decided to include in his account on the Apennine Sibyl, is present in a number of medieval monastic texts, often of Irish origin, all describing the journey of a mortal man into the purgatorial otherworld, like the “Vision of St. Adamnán” (eleventh-century), the “Vision of Alberic” (twelfth century), the “Vision of Tnugdalus” (another twelfth century text), the “Vision of Sunniulf”, and then the “Vision of Ezra”. And its lineage is even older: this literary piece of narration makes its appearance in the literary tradition of the Western world with the “Dialogues”, written in the sixth century by Pope St. Gregory I the Great, with its ultimate origin to be retrieved in an antique Zoroastrian tradition, that of the “Chinvato Peretu”, the bridge of judgment, as explained in more detail in my previous article “Antoine de la Sale and the Magical Bridge Concealed beneath Mount Sibyl” (Fig. 4).
Is there any remaining uncertainty about the fact that the magical bridge mentioned by Antoine de la Sale has nothing to do with the any genuine tradition connected to the Apennine Sibyl? No, no doubt. Because Andrea da Barberino himself, the author of the chivalric romance “Guerrino the Wretch”, unsheaths a final, conclusive argument before our very eyes .
In his most renowned fifteenth-century work providing a fundamental reference to the Apennine Sibyl's legend and lore, he does mention the same magically narrow bridge as Antoine de la Sale did. However, Andrea da Barberino does not make any literary use of it in the chapters dedicated to the Sibyl; instead, and more correctly, he includes it twice in a subsequent portion of his romance, the portion dedicated to the journey made by his hero Guerrino into a place we already know: the Purgatory of St. Patrick in Ireland (Fig. 5).
As I fully described in my previous article, here is how Andrea da Barberino mentions our magical bridge as Guerrino proceeds with his visit through the Purgatory (chapter CLXX):
«... and immediately he was standing on a bridge that crossed the marsh from one side to the other over a large river. And it seemed to him that the bridge was so narrow that nobody could have put one foot ahead of the other. He turned to get back but he could not see the bridge beneath his own eyes. And he saw countless jaws of big snakes and dragons, and it was as if they were waiting for him to fall down. Guerrino had never been so scared as in this predicament. And all the way along the bridge he feared he would fall. And actually he was about to fall: but he called on the Holy Name, and by His mercy the bridge swell to a huge width. And he could go through this perilous passage».
[In the original Italian text: «... e subito fu drito sopra uno ponte che trapassava questo lagune da uno lato al altro sopra uno grande fiume. E parevali questo ponte tanto sottile, che uno piede avanti l'altro non li poteva stare. Lui se volse per tornare e non vide el ponte abasso gli ochi. E vide infinite bocche de grandi serpenti, e dragoni, e pareva che aspetassero che lui cadesse. Anchora non havea avuto Guerino magior paura che questa. E tutta via li parea de cadere. E pure saria caduto: ma chiamò el santo nome, e per la soa misericordia el ponte se li fece largissimo. E passò de là da questo fortunoso passo»].
And a second instance of the same bridge is encountered a few chapters ahead (chapter CLXXXII):
«And he saw a river that was crossed by so thin and narrow a bridge that there was no small animal that would pass through it, because of his tiny width. He crossed himself and entrusted himself to God. He was taken [by the demons] and placed onto the middle of the bridge, where they left him, then they began to scream at him, and flung stones and shafts at him so that he was about to fall. And he turned to go back , and could see no bridge. So he looked at the bottom where the water was, and saw that it was full of hideous worms and snakes. The bridge was so thin that it was not possible to put one foot ahead of the other. He began to call the name of Jesus Christ from Nazareth, and the bridge started to get wider. As he spoke these words thrice, he began to sing 'Domine ne in furore tuo arguas me', and the bridge became even larger, and he was through».
[In the original Italian text: «E vide uno fiume cui atraverso li era uno ponte tanto sutile e streto che lo non è si picolo animale che havesse potuto passare, tanto era streto. Lui se fece el segno de la santa croce e recomandose a dio. Fu preso [dai demoni] e posto suxo el mezo del ponte et ivi lo lassorono, e poi cominciarono a cridare et a zitarli pietre e pali per modo che el meschino fu per cadere. E lui se volse indietro per tornare indietro, e non vide ponte. Alhora pose mente nel fundo de laqua, e lo vide pieno de vermini bruti e serpenti. El ponte era si stretto che uno pié inanti l'altro non li cadeva. Lui cominciò a chiamare iesu christo nazareno, e lo ponte si cominciò a largare. E dite queste parole tre volte, cominciò a cantare 'Domine ne in furore tuo arguas me', et el ponte se largava, e lui passò»].
Here are the flaws, the inconsistencies we talked about at the beginning of this article. Here is the whiff, the scent of a trace, the discordant note, which tells us that something is wrong with the known legend concerning an Apennine Sibyl living under Mount Sibyl, in Italy
We begin to fully understand that this Sibyl of the Apennines has been clothed in garments that do not belong to her true story. She has been arbitrarily endowed with attributes which pertain to different, more antique traditions.
The magically narrow bridge is one such garment and attribute. We will need to strip the Sibyl of this fake dress, which Antoine de la Sale added to her true figure.
And the bridge is not the only spurious article of clothing that the French man of letter put on her semblance.
There is another one as well: the magical doors. Let's take it off in the next article.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /3. Il ponte magico di Antoine de la Sale demolito
Nel nostro precedente articolo, abbiamo posto in evidenza la mancanza di ogni riferimento all'esistenza di una Sibilla Appenninica nei secoli che precedono il quindicesimo: un'occorrenza altamente sospetta, che pare indicarci come sia forse necessario raccontare una storia diversa in merito alla Sibilla degli Appennini.
Se questa Sibilla non risulta essere menzionata né nella tradizione letteraria medievale, né in quella romana, è possibile che questa narrazione mitica sia assai meno antica di quanto non siamo abituati pensare? È ipotizzabile che la Sibilla abbia preso possesso del proprio rifugio, posto tra i Monti Sibillini, in un tempo non così lontano dall'inizio del quindicesimo secolo?
Perché, come abbiamo già avuto modo di esplicitare, c'è come una sorta di misterioso alito che stiamo cominciando a percepire, uno strano presentimento impadronitosi del nostro animo, che qualcosa, a proposito di quella Sibilla, possa rivelarsi in qualche modo sbagliato.
E gli elementi sbagliati sembrano moltiplicarsi quando andiamo a considerare una serie di risultanze letterarie che cominciano a presentarsi le une dopo le altre nel corso di una analisi più attenta e approfondita delle due pietre angolari del racconto leggendario della Sibilla Appenninica: il "Guerrin Meschino" di Andrea da Barberino" e "Il Paradiso della Regina Sibilla" di Antoine de la Sale.
Quando andiamo a riprendere tra le nostre mani queste due opere quattrocentesche, che lanciarono la fama della Sibilla, in precedenza ignota e negletta, tra le nazioni d'Europa e attraverso i secoli successivi, cominciamo a renderci conto che è possibile notare alcune imperfezioni, un certo numero di bizzarre incongruenze.
Apriamo le pagine del manoscritto n. 0653 (0924) conservato presso il Musée Condé, ospitato nella biblioteca del Castello di Chantilly, a nord di Parigi. Si tratta di uno dei due esemplari esistenti de "Il Paradiso della Regina Sibilla" di Antoine de la Sale, un manoscritto risalente al 1440 circa, contenente meravigliose miniature della visita che il gentiluomo francese effettuò presso la grotta della Sibilla nel 1420 (Fig. 1).
Al folium 11v troviamo un primo passaggio narrativo alquanto sospetto, che Antoine de la Sale inserì nel proprio resoconto di viaggio. Quando egli ci racconta dei racconti che i villici locali gli riferirono a proposito di ciò in cui sarebbe stato possibile imbattersi inoltrandosi nei recessi più interni della grotta della Sibilla Appenninica, il gentiluomo fa menzione di un ponte, un esemplare particolarmente magico di ponte (Fig. 2):
«Poi si trova un ponte, del quale non si capisce di quale materia sia costruito, ma si dice che non sia più largo di un piede e sembrerebbe essere molto lungo. Al di sotto di questo ponte, un grande e spaventoso abisso di enorme profondità [...] Ma non appena si pongono i due piedi sul ponte, egli diviene largo a sufficienza; e più si procede innanzi e più esso diviene largo e l'abisso meno profondo» [Nel testo originale francese: «Lors trouve len un pont, que len ne scet de quoy il est mais est advis quil nait mie un pie de large et samble estre moult long. Dessoubz ce pont a tres grant et hydeux abisme de parfondeur [...] Mais aussi tost quon a les deux piez sur ce pont il est assez large; et tant vait on plus avant tant est plus est large et moins creux».]
Tutto molto bello, tutto molto interessante, tutto molto emozionante: che luogo sinistro deve essere questa italica caverna, e quanto appassionante deve essere suonato il racconto di de la Sale agli orecchi dei suoi ammirati ascoltatori.
Peccato, però, che questo ponte così speciale sia stato tratto di peso da un'altra e differente tradizione letteraria, e poi copiato da Antoine de la Sale nella propria opera sulla Sibilla Appenninica.
Come abbiamo già avuto modo di spiegare in modo assai esauriente nel nostro precedente articolo "Antoine de La Sale e il magico ponte nascosto nel Monte della Sibilla", il ponte magico, sottile come la lama di un rasoio ma capace di allargarsi quando su di esso poggia il piede un vero, sincero credente, è parte di una notissima tradizione letteraria che ha percorso l'Europa intera nel corso di oltre un millennio, attraversando tutto il Medioevo.
Ma da dove trasse, Antoine de la Sale, quel ponte? È possibile identificare due diversi canali tramite i quali egli può avere recepito, acquisendone piena familiarità, l'antica tradizione relativa al ponte sottile.
Il primo canale è relativo alla cavalleria e ai romanzi cavallereschi.
Antoine de la Sale era un raffinato cortigiano e un uomo di lettere assai erudito, e dunque perfettamente a proprio agio con la letteratura cavalleresca della sua epoca. Quando nel 1455 egli scrisse "La Storia e la piacevole cronaca del Piccolo Jehan de Saintré e della Giovane Dama delle Belle Cousines" (“L'Hystoire et plaisante cronicque du Petit Jehan de Saintré et de la jeune Dame des Belles Cousines”), de la Sale costruì un racconto letterario relativo alla formazione di un giovane, perfetto cavaliere ideale, un'opera molto influente e assai letta nel corso delle successive centinaia di anni. E, nel Capitolo III, egli inserì alcune parole che mostrano come egli conoscesse pienamente la Materia di Bretagna e le leggende arturiane: «[...] le gesta valorose, le grandi imprese e i fatti cavallereschi di Lancillotto, Galvano, Tristano, e Girone il Cortese e degli altri eroi della Tavola Rotonda» [nel testo originale francese: «[...] les grans vaillances, les grans emprises et les chevalereux fais de Lancelot, de Gauvain, de Tristan, de Giron le Courtois et des autres preux de la Table Ronde»]. Inoltre, Antoine de la Sale era originario della Provenza, quindi possiamo certamente supporre che egli ben conoscesse le Chansons de Geste, i poemi epici medievali in lingua francese.
E cosa troviamo in quella letteratura cavalleresca che egli ben conosceva? Prendiamo "Huon d'Auvergne", poema cavalleresco appartenente ad un'antica tradizione franco-italiana, di cui sopravvivono quattro manoscritti (Berlino, Torino, Padova, Bologna) databili tra il 1341 e il 1441, Nel manoscritto n. 32 conservato presso la Biblioteca del Seminario Vescovile, a Padova, la cui fonte letteraria originale viene collocata dagli studiosi attorno alla prima metà del quindicesimo secolo, ci imbattiamo nella medesima tipologia di ponte:
«La malvagità di quel ponte vi voglio raccontare: - Sopra è acuminato come una punta di freccia - E più che spada esso è in grado di tagliare [...] Prima si segna al viso con la croce,
Poi si avventurano sul ponte a piccoli passi - Tanto che di quel ponte raggiungono l'altro estremo».
[Nel testo originale Franco-Italiano al folio 101 recto del manoscritto padovano: «La crudelitade del ponte ve voio contere: - Desovra è agudo como quarel d'açere - E pluy ca spada ello taia volentiere [...] primamente se fè la croxe al vis, - Po se meteno su per lo ponte a pas petis - Tanto che sono olltro el pont sulla ris»].
Dunque quel ponte, sottile come un rasoio, che però trasforma se stesso in un passaggio che può essere attraversato se la fede del coraggioso credente è sufficientemente forte, costituisce un motivo letterario che possiamo rinvenire anche in altri romanzi cavallereschi.
Ma esiste anche una seconda fonte dalla quale Antoine de la Sale può avere tratto ispirazione per il suo ponte della Sibilla: la leggenda irlandese di San Patrizio, che narra di una caverna attraverso la quale è possibile accedere al Purgatorio, una leggenda che de la Sale conosceva perfettamente, come testimoniato dalla sua opera "La Salade", la quale contiene un riferimento diretto alla leggenda di «Saint Patrisse» in «Yrlande», dove «un antro si trova nel quale si dice che si possa andare a contemplare le pene del purgatorio e i tormenti dell'inferno» [nel testo originale francese: «la est la cave ou se dit que on va veoir les peines de purgatoire et les tourmens d'enfer»].
È proprio negli antichi manoscritti del “Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii”, risalenti al dodicesimo secolo, che troviamo, ancora, lo stesso identico ponte:
«Il ponte si protendeva oltre il fiume, ricoperto di ruggenti fiamme sulfuree, e aveva tre caratteristiche impossibili, terrorizzanti a vedersi per coloro che avrebbero dovuto attraversarlo: il primo era che il ponte era sdrucciolevole, per cui anche se fosse stato più largo, nessuno avrebbe potuto appoggiarvi il proprio piede in modo fermo e sicuro; inoltre, esso era tanto stretto e fragile che nessuno avrebbe osato sostarvi o camminarvi sopra; terzo, il ponte era così alto sul fiume sottostante che la visione dell'abisso era orribile [...] Ma il cavaliere, confidando in Cristo [...] entrato audacemente nel ponte, cominciò lentamente a percorrerlo, senza percepire nulla di viscido al di sotto del piede [...] e trovò che il ponte diveniva più spazioso; ed ecco che, dopo poco, tanto si accrebbe la larghezza del ponte, che esso divenne largo come una pubblica via, tanto da potere ospitare ben undici carri che viaggiassero insieme [...] vide che l'ampiezza del ponte cresceva a tal punto che a stento egli riusciva ora a scorgerne i due fianchi»
[Nel testo originale latino: «Pons vero protendebatur ultra flumen, sulphurei incendii flamma copertum, in quo tria quasi impossibilia et transeuntibus valde formidanda videbantur, unum quod ita lubricus erat, ut etiam si latus fuerit, nullus vel vix aliquis in eo pedem figere posset; alterum quod tam strictus et gracilis erat, ut nullus in eo stare vel ambulare valeret; tertium quod tam altus erat, et a flumine remotus ut horrendum esset deorsum aspicere [...] Sed miles Christi fidelis [...] pontem audacter ingressus, coepit pedetentium incedere, nihilque lubrici sub pedibus sentiens [...] eo spatiosorem invenit pontem; et ecce post paululum tanta crevit pontis latitudo, ut publicae viae amplitudinem prae se ferret, et undecim carra sibi obvianta posset excipere [...] vidit latitudinem pontis in tantum excrescere, ut vix ex utraque parte ejus fines posset aspicere»].
In Fig. 3, il medesimo brano, con parole leggermente differenti, è reperibile nel manoscritto Latin 5137, una versione del “Purgatorium Sancti Patricii” risalente al tredicesimo secolo e conservata presso la Bibliothèque Nationale de France.
E la storia non termina affatto qui. Abbiamo infatti già scoperto come quel ponte, lo stesso ponte che Antoine de la Sale decise di inserire nel suo resoconto relativo alla Sibilla Appenninica, è in realtà presente in una varietà di testi monastici medievali, spesso di origine irlandese, che descrivono, tutti, il viaggio di un uomo mortale attraverso un purgatorio oltremondano, come la “Visione di Sant'Adamnán” (undicesimo secolo), la “Visione di Alberico” (dodicesimo secolo), la “Visione di Tnugdalus” (un altro testo del dodicesimo secolo), la “Visione di Sunniulf”, e infine la “Visione di Ezra”. E si tratta di una tradizione ancora più antica: questo elemento narrativo fa infatti la propria apparizione, all'interno della tradizione letteraria del mondo occidentale, con i "Dialoghi", opera redatta nel sesto secolo da Papa Gregorio Magno, ed è possibile rintracciarne l'origine primaria in un antichissimo mito zoroastriano, quello del “Chinvato Peretu”, il ponte del giudizio, come spiegato in maggiore dettaglio nel nostro precedente articolo "Antoine de La Sale e il magico ponte nascosto nel Monte della Sibilla" (Fig. 4).
Sussiste forse qualche residua incertezza in merito al fatto che il magico ponte menzionato da Antoine de la Sale non abbia nulla a che fare con la tradizione più genuina connessa alla Sibilla Appenninica? No, nessuna incertezza. Perché è lo stesso Andrea da Barberino, l'autore del romanzo cavalleresco "Guerrin Meschino" a dispiegare, di fronte ai nostri occhi, l'argomento finale e decisivo.
Nella sua celebre opera quattrocentesca, riferimento fondamentale per la tradizione leggendaria della Sibilla Appenninica, egli cita esattamente lo stesso ponte magicamente stretto già menzionato da Antoine de la Sale. Ma Andrea da Barberino non ne fa alcun uso letterario nell'ambito dei capitoli dedicati alla Sibilla; invece, e più correttamente, egli lo inserisce per ben due volte nella successiva sezione del suo romanzo, quella dedicata al viaggio effettuato dal suo eroe Guerrino all'interno di un luogo che già abbiamo conosciuto: il Purgatorio di San Patrizio in Irlanda (Fig. 5).
Come dettagliatamente illustrato nel nostro precedente articolo, ecco come Andrea da Barberino menziona il nostro bel ponte magico durante la visita di Guerrino attraverso il Purgatorio (capitolo CLXX):
«... e subito fu drito sopra uno ponte che trapassava questo lagune da uno lato al altro sopra uno grande fiume. E parevali questo ponte tanto sottile, che uno piede avanti l'altro non li poteva stare. Lui se volse per tornare e non vide el ponte abasso gli ochi. E vide infinite bocche de grandi serpenti, e dragoni, e pareva che aspetassero che lui cadesse. Anchora non havea avuto Guerino magior paura che questa. E tutta via li parea de cadere. E pure saria caduto: ma chiamò el santo nome, e per la soa misericordia el ponte se li fece largissimo. E passò de là da questo fortunoso passo».
E un secondo esemplare dello stesso ponte viene collocato alcuni capitoli dopo (capitolo CLXXXII):
«E vide uno fiume cui atraverso li era uno ponte tanto sutile e streto che lo non è si picolo animale che havesse potuto passare, tanto era streto. Lui se fece el segno de la santa croce e recomandose a dio. Fu preso [dai demoni] e posto suxo el mezo del ponte et ivi lo lassorono, e poi cominciarono a cridare et a zitarli pietre e pali per modo che el meschino fu per cadere. E lui se volse indietro per tornare indietro, e non vide ponte. Alhora pose mente nel fundo de laqua, e lo vide pieno de vermini bruti e serpenti. El ponte era si stretto che uno pié inanti l'altro non li cadeva. Lui cominciò a chiamare iesu christo nazareno, e lo ponte si cominciò a largare. E dite queste parole tre volte, cominciò a cantare 'Domine ne in furore tuo arguas me', et el ponte se largava, e lui passò».
Ecco dunque le imperfezioni, le inconguenze alle quali ci riferivamo all'inizio di questo articolo. Ecco quell'alito, quell'ombra di una traccia, quella nota discordante, che pare volerci dire che qualcosa di sbagliato effettivamente c'è, a proposito della nota leggenda concernente una Sibilla Appenninica che abiterebbe al di sotto del Monte Sibilla, in Italia.
Cominciamo ora pienamente a capire come la Sibilla degli Appennini sia stata rivestita con abiti che non appartengono alla sua vera storia. Essa è stata arbitrariamente abbigliata con attributi che appartengono ad altre tradizioni, e più antiche.
Il ponte magicamente sottile è uno di questi abiti e attributi. Dobbiamo quindi spogliare la Sibilla da questo falso ornamento, che Antoine de la Sale ha voluto aggiungere alla sua vera figura.
E il ponte non è il solo articolo di abbigliamento non pertinente con il quale il letterato francese ha rivestito il suo reale sembiante.
Ve ne è anche un altro: le porte magiche. Andiamo a eliminare anche queste nel prossimo articolo.
21 Dec 2018
Birth of a Sibyl: the medieval connection /2. The Sibyl that darkens in antiquity
In our previous series of articles “The Apennine Sibyl: a journey into history in search of the oracle”, we have definitely reached a conclusion which we consider as remarkably significant: at all appearances, the Apennine Sibyl was not a known oracle, either in the Middle Ages or in antiquity. There is no trace of her, and of her oracular site in the Sibillini Mountain Range, before the beginning of the fifteenth century.
In those articles, we started our search by summarising the literary evidences that, from the fifteenth century onwards, had fostered the idea of a Sibyl who was living beneath a specific mountain situated in central Italy, Mount Sibyl: those evidences inluded “Guerrino the Wretch”, a chivalric romance written by Andrea da Barberino around 1410, a most successful best-seller for many centuries to come; and “The Paradise of Queen Sibyl”, an account of a visit that a French gentleman, Antoine de la Sale, made to the Sibyl's cliff and cave in 1420.
And there they are, both of them, as you have never seen them before: “Guerrino the Wretch” (Fig. 1), with the romance's initial page and an excerpt on the Sibyl, both taken from manuscript MA297, preserved at the Municipal Library “Angelo Mai” in Bergamo (Italy) and dating to 1468; and “The Paradise of Queen Sibyl” (Fig. 2), with the opening of Antoine de la Sale's account on the Sibyl as it appears in the astounding illuminated manuscript no. 0653 (0924) preserved at the Bibliothèque du Château (Musée Condé) in Chantilly (France).
Both literary works depicted a cave and a Sibyl, a subterranean kingdom and oracular powers, handsome damsels and fairy illusions which lured visitors into lustful sins, so as to steal their souls and prevent them from enjoying the Salvation brought by Jesus Christ into our world.
However, when we tried to spot any other references to this specific sibilline tale and site in earlier literary sources, we just failed.
No mention of an Apennine Sibyl is found in any known source produced in the centuries of Late and Early Middle Ages. We don't even find a single reference to that Sibyl in the ancient documents contained in the local historical archive of Norcia, which should reasonably contain a number of quotes referring to such an illustrious inhabitant of the neighbouring mountains.
But nothing is present in the “Charters of the Municipality and People of the Land of Norcia” (“Statuti del Comune et Populo della Terra di Norcia”), whose original version dates to year 1346. And nothing is present, either, in a well-informed historical work written in 1869 by Feliciano Patrizi-Forti, a local scholar, in which a bounty of information on ancient Norcia is detailed, yet no reference to a Sibyl of the Apennines is reported - apart from a footnote which is drawn, as we fully explained in our articles, from a 1617 revised edition of Claudius Ptolemy's "Geography", and not from the original work by Ptolemy himself.
When we pushed ourselves as far back as the age of the Roman Empire, we found out that no reference to that Sibyl is retrievable in Lucius Caecilius Firmianus Lactantius' enumeration of ten Sibyls contained in his fourth-century “De divinis institutionibus adversus gentes”. The only Italian Sibyls attested by Emperor Constantine's advisor were the Cumaean, the Tiburtine and the Cimmerian, the latter a close relative of the former. As to the Tiburtine, she is easily identified as a good candidate for a Sibyl having her abode in the Italian Apennines: unfortunately, the Apennines that are mentioned in a variety of manuscripts in connection to the Tiburtine Sibyl are the actual ridges where her oracular shrine stood, namely Tibur, or modern Tivoli, not far from Rome, and a long way from the Sibillini Mountain Range.
A number of other references to the existence of an oracular site in the Apennine area, namely a passage taken from the “Historia Augusta” concerning Emperor Claudius II Gothicus, and the excerpt found in Suetonius' “The Twelve Caesars” in relation to Emperor Vitellius, make reference to no Sibyls and provide no clues as to where to locate such site or sites, across the full length of the Apennine chain (some 750 miles long).
We then made a daring attempt at getting first-hand information from the Tabula Peutingeriana, the astounding manuscripted map that depicts the full extension of the Roman Empire as it was around the third century, and even earlier: yet the portion of the chart which portrays the present Sibillini Mountain Range shows no indication of any sibilline site, even though the Tabula is mainly a road map and might as well omit to signal the presence of places of such nature.
We may also note that, in antiquity, the name of the Sibillini Mountain Range bore no reference to any Sibyls: their precipitous ridges and cliffs were known as Mount Tetricus («Tetricae horrentis rupes» in Publius Vergilius Maro, the «Tetricus mons in Sabinis asperrimus» according to Servius Marius Honoratus), with reference to the stern, gloomy mood of the inhabitants of the place, as we detailed in our previous article "World of the Sibyl: the Italian Apennines and the Sibillini Mountain Range".
So, the current state-of-the-art in the search for our elusive Apennine Sibyl can be presented as follows: we have detected a suspicious lack of early mentions of that sibilline oracle in both medieval and Roman literary traditions. An absence which is confirmed by the many essays published throughout more than a century by all the scholars who have made efforts to unveil the true lineage of the Apennine Sibyl: absolutely naught.
And this is definitely no news. We have just reached the very same conclusion that Leandro Alberti, an illustrious Dominican friar, a geographer and a historian, had already stated in the year 1550, centuries ahead of us. In his “Descrittione di tutta l’Italia” (“A General Description of Italy”), this clever, caustic author set down all his disbelief as to the hidden inhabitant of the Sibillini Mountain Range (Fig. 3):
«It comes as a bit of a surprise that so many years have elapsed, from the time when this Cavern was discovered and saluted as the Sibyl's abode, and no mention of it has ever been recorded at all, neither in the works by Strabo nor in Pliny's nor in the writings of any other inquisitive Author, in search of oddities and rarities. And yet every reader can consider by himself how scrupulously Strabo has provided a full description of the Caves and hollows that are to be found in Cuma, and Baiae, and Naples; and Pliny, as well, has written most accurate reports of the many wonders of Nature; however, no one of them ever wrote a single word about that Cavern, nor provided any accounts as regards the cave's folk tale».
[In the original Italian text: «In vero ella è cosa molto maravigliosa, che siano passati tanti anni, ne li quali si dice esser stata ritrovata questa Caverna, & esser quivi la Sibilla, & che mai non sia stato fatto alcuna memoria d'essa da Strabone, ne da Plinio, ne da altro curioso scrittore, & vestigatore delle cose rare. Vedemo pur esser stato molto diligente Strabone in discrivere le Grotti, & spelunche, che sono a Cuma, a Baia, & a Napoli, & parimente Plinio rammentando i miracoli della Natura, & mai pur una minima parola hanno scritto di quella Grotta, ò vero della favola volgare di essa»].
Today, just as in 1550, we regard as a clue of the utmost significance the fact that no reference about an Apennine Sibyl is to be found before the beginning of the fifteenth century. And we fully agree with Leandro Alberti when he states the following:
«[...] if the cave and lake had been really known in antiquity, there is no doubt that its finding would have been duly recorded, as actually was the case for the Oracle at Delphi, and Podalirius, and Avernus, and the Hollow and Cave of the said Cumæan Sibyl, and many other places likewise, as well as caverns, Lakes, Trees, Rivers, Springs, Woods, Temples, Altars and further Oracles of the same kind, where evil Spirits are said to utter deceitful words to beguile men».
[In the original Italian text: «se [la caverna e il lago] fossero stati osservati dagli antiqui, non dubito che ne sarebbe stato fatto memoria, sicome e fatto dell’Oracolo di Delpho, di Podalirio, dell’Averno, & dell’Antro, & Spelunca della detta Sibilla Cumea, & parimente de molti altri luoghi, sicome di spelunche, Laghi, Alberi, Fiumi, Fontane, Selve, Tempii, Sacelli, & simili altri Oracoli, ove davano risposta i bugiardi Demonii per ingannare gli huomini»].
So, it is a fact that no reference to a Sibyl of the Apennines can be detected if we push ourselves back across the ages and before the fifteenth century. We are stuck, just like all modern researchers before us and Leandro Alberti either, to the earliest, much-known mentions we are well accustomed to: Andrea da Barberino's “Guerrino The Wretch” and Antoine de la Sale's “The Paradise of Queen Sibyl”.
Is that the end of the story? No.
Because all other scholars just stopped here. Or, they just tried to make fanciful assumptions about some sort of antique, mythical lineage to which the Appennine Sibyl might possibly be referred: for instance, a classical Sibyl, or the ancient goddess Cybele.
Instead, we are moving further.
We are starting to sniff the scent of a trail, the fragrance of a trace we had already begun to follow in our previous articles “The Knights of the Sibyl - Guerrino the Wretch and His Forefathers”, “The Paradise of Queen Sibyl - The Literary Truth about the Magical Doors Set beneath Mount Sibyl" and “Antoine de la Sale and the Magical Bridge Concealed beneath Mount Sibyl”: a faint whiff of known literary traditions which quietly, secretly seem to leak out from the Apennine Sibyl's legend and lore.
A whiff that no one seems to have ever noticed before.
As Leandro Alberti wrote, «I am convinced that not much time has passed since the rumour about that Cavern and lake has spread» («Credo non esser molto tempo che siano state volgate queste favole di detta Caverna, e del detto lago» in the original Italian text). Again, we fully agree.
The Apennine Sibyl is not so old as she would like us to believe. Most probably, the sibilline tale is much younger than we think, possibly not much older than the fifteenth century itself. And this tale contains many elements which are drawn from other legendary narrations: additions, and extensions, suitably superimposed to an original, central mythical core.
Let's start following this trail. Let's unmask the additions and uncover the extensions. By performing this operation, we will move closer and closer to the true core of the legend. The inner nucleus, the essential heart, of the Apennine Sibyl's mythical tale.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /2. La Sibilla che in antico si oscura
Nella nostra precedente serie di articoli "Sibilla Appenninica: un viaggio nella storia alla ricerca dell'oracolo", abbiamo raggiunto una conclusione decisiva che assume, a nostro parere, grande valore e interesse: per quanto è possibile investigare, la Sibilla Appenninica non costituiva affatto un oracolo noto, né nel Medioevo, né nell'antichità classica. Non esiste traccia di essa, né del suo sito oracolare posto tra i Monti Sibillini, prima dell'inizio del quindicesimo secolo.
In quegli articoli, avevamo iniziato la nostra ricerca ricapitolando le evidenze letterarie che, proprio a partire dal quindicesimo secolo, avevano determinato la convinzione che una Sibilla potesse risiedere al di sotto di una specifica montagna situata nel centro dell'Italia, il Monte Sibilla: queste evidenze sono costituite dal "Guerrin Meschino", un romanzo cavalleresco scritto intorno al 1410 da Andrea da Barberino, che rappresenterà un best seller di grandissimo successo per molti secoli a venire; e "Il Paradiso della Regina Sibilla", il resoconto di una visita che un gentiluomo provenzale, Antoine de la Sale, effettuò presso la vetta della Sibilla, e alla grotta ivi situata, nel 1420.
Ed eccoli entrambi qui, come non li avete mai visti prima: "Guerrin Meschino" (Fig. 1), con la pagina iniziale del romanzo e un brano relativo alla Sibilla, entrambi tratti dal prezioso manoscritto MA297, conservato presso la Biblioteca Civica "Angelo Mai" a Bergamo e risalente al 1468; e "Il Paradiso della Regina Sibilla" (Fig. 2), con l'incipit del resoconto di Antoine de la Sale sulla Sibilla, tratto dal meraviglioso manoscritto miniato n. 0653 (0924) oggi conservato presso la Bibliothèque du Château (Musée Condé) a Chantilly, in Francia.
Nelle due opere letterarie vengono descritti un antro e una Sibilla, un regno sotterraneo e poteri oracolari, meravigliose damigelle e visioni illusorie, tramite le quali i visitatori venivano attirati verso la lussuria e il peccato, in modo da poterne conquistare l'anima costringendoli così a rinunciare a quella salvezza che era stata donata al mondo grazie all'Incarnazione del Cristo.
Eppure, il tentativo di rinvenire, nelle fonti letterarie antecedenti, un qualsivoglia ulteriore riferimento a questo specifico racconto sibillino, e al relativo sito, si dimostra del tutto infruttuoso.
Nessuna citazione in merito a una Sibilla Appenninica è reperibile in alcuna fonte nota che risalga al tardo Medioevo, né al periodo altomedievale. Non è possibile recuperare nemmeno un singolo riferimento a questa Sibilla negli antichi documenti contenuti nell'antico archivio municipale di Norcia, il quale dovrebbe ragionevolmente contenere un certo numero di menzioni relative a una così illustre abitatrice delle torreggianti montagne circostanti.
Ma nulla si trova negli “Statuti del Comune et Populo della Terra di Norcia”, la cui versione originale risale all'anno 1346. E nulla si trova, parimenti, nell'opera storica, assai ben informata, redatta nel 1869 da Feliciano Patrizi-Forti, esimio studioso locale, il quale ci fornisce una gran messe di informazioni a proposito dell'antica Norcia, eppure non ci propone alcun riferimento alla Sibilla degli Appennini - ad esclusione di una nota a pié di pagina che risulta essere però tratta, come spiegammo esaustivamente nel nostro articolo, da una edizione riveduta e corretta della “Geographike” di Claudio Tolomeo pubblicata nel 1617, e non dall'opera originale scritta dallo stesso Tolomeo.
Quando abbiamo tentato di spingerci ancor più indietro nel tempo, sino all'epoca dell'Impero Romano, abbiamo potuto verificare come nessun riferimento a questa Sibilla sia reperibile nella classica enumerazione di dieci Sibille elencata da Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio nella propria opera “De divinis institutionibus adversus gentes”, risalente al quarto secolo. Le uniche Sibille italiche attestate dal consigliere dell'Imperatore Costantino sono la Cumana, la Tiburtina e la Cimmeria, l'ultima delle quali una stretta parente della prima. Per quanto riguarda la Tiburtina, in linea di principio essa potrebbe certamente costituire un buon candidato al ruolo di Sibilla operante in un sito posto tra i monti dell'Appennino; sfortunatamente, però, gli Appennini che sono effettivamente menzionati in una quantità di manoscritti in relazione alla Sibilla Tiburtina sono proprio quei rilievi montuosi presso i quali si trovava il suo tempio oracolare, a Tibur, l'odierna Tivoli, a breve distanza da Roma. E molto, troppo lontano dai Monti Sibillini.
Alcuni ulteriori riferimenti concernenti l'esistenza di un sito oracolare nell'area degli Appennini, riferimenti contenuti in un brano tratto dall'"Historia Augusta" relativo all'Imperatore Claudio II Il Gotico, e il passaggio reperibile nelle "Vite dei Cesari" di Svetonio in relazione all'Imperatore Vitellio, in realtà non menzionano alcuna Sibilla, né forniscono alcun indizio in merito a dove potesse essere localizzato tale sito o siti, lungo l'intera lunghezza della catena appenninica (pari a circa milletrecento chilometri).
In quegli articoli, effettuammo anche un ardito tentativo di ottenere informazioni di prima mano dalla Tabula Peutingeriana, l'incredibile mappa manoscritta che raffigura l'intera estensione dell'Impero Romano come esso appariva intorno al terzo secolo, e forse anche in tempi più antichi: eppure, la porzione della carta che rappresenta ciò che oggi chiamiamo con il nome di Monti Sibillini non mostra alcuna indicazione in merito alla presenza di un sito sibillino, sebbene occorra rimarcare come la Tabula costituisca principalmente una mappa delle vie di comunicazione imperiali, e dunque potrebbe anche omettere di segnalare la presenza di luoghi aventi siffatta natura.
Potremmo anche notare come, in antico, la denominazione dei Monti Sibillini non recasse alcun riferimento alle Sibille: quelle creste e quei picchi vertiginosi erano infatti conosciuti come Monte Tetrico («Tetricae horrentis rupes» in Virgilio, «Tetricus mons in Sabinis asperrimus» secondo Servio Mario Onorato), in relazione alla natura cupa, severa degli abitanti di quei luoghi, come abbiamo avuto modo di illustrare nel nostro precedente articolo "Il mondo della Sibilla: gli Appennini e il Massiccio dei Monti Sibillini".
Dunque, il corrente stato dell'arte nella ricerca della nostra elusiva Sibilla Appenninica può essere riassunto come segue: è possibile rilevare una sospetta assenza di antiche citazioni che rechino menzione di questo oracolo sibillino, sia nell'ambito della tradizione letteraria medievale che di quella romana. Un'assenza che trova conferma nelle molte opere di saggistica pubblicate, nel corso di un periodo lungo più di cento anni, da tutti gli studiosi che si siano cimentati con il problema di svelare la vera origine della Sibilla Appenninica: nulla è stato possibile rinvenire.
E non si tratta affatto di una notizia fresca di stampa. Abbiamo appena raggiunto la stessa conclusione che Leandro Alberti, un illustre frate domenicano, storico e geografo, aveva già provveduto a enunciare nell'anno 1559, secoli prima di noi. Nella sua “Descrittione di tutta l’Italia” (Fig. 3), questo acuto, caustico scrittore aveva già palesato tutto il suo scetticismo in relazione alla misteriosa abitatrice dei Monti Sibillini:
«In vero ella è cosa molto maravigliosa, che siano passati tanti anni, ne li quali si dice esser stata ritrovata questa Caverna, & esser quivi la Sibilla, & che mai non sia stato fatto alcuna memoria d'essa da Strabone, ne da Plinio, ne da altro curioso scrittore, & vestigatore delle cose rare. Vedemo pur esser stato molto diligente Strabone in discrivere le Grotti, & spelunche, che sono a Cuma, a Baia, & a Napoli, & parimente Plinio rammentando i miracoli della Natura, & mai pur una minima parola hanno scritto di quella Grotta, ò vero della favola volgare di essa».
Oggi, esattamente come nel 1550, riteniamo che costituisca un elemento di massima rilevanza il fatto che nessun riferimento a una Sibilla Appenninica sia reperibile prima dell'inizio del quindicesimo secolo. E sottoscriviamo, parola per parola, quanto ribadisce Leandro Alberti, quando egli si trova ad affermare quanto segue:
«Se [la caverna e il lago] fossero stati osservati dagli antiqui, non dubito che ne sarebbe stato fatto memoria, sicome e fatto dell’Oracolo di Delpho, di Podalirio, dell’Averno, & dell’Antro, & Spelunca della detta Sibilla Cumea, & parimente de molti altri luoghi, sicome di spelunche, Laghi, Alberi, Fiumi, Fontane, Selve, Tempii, Sacelli, & simili altri Oracoli, ove davano risposta i bugiardi Demonii per ingannare gli huomini».
Quindi, è un fatto incontestabile che nessuna citazione relativa a una Sibilla degli Appennini possa essere rilevata quando ci si spinga indietro nel tempo, attraversando il passato che precede il secolo quindicesimo. Siamo bloccati, come tutti i moderni studiosi prima di noi e come lo stesso Leandro Alberti, alle più antiche, e oltremodo conosciute, menzioni che siamo già da lungo tempo abituati a conoscere: "Guerrin Meschino" di Andrea da Barberino, e "Il Paradiso della Regina Sibilla" di Antoine de la Sale.
È dunque questa la fine della storia? No.
Perché tutti gli altri studiosi si sono, semplicemente, fermati qui. Oppure, alcuni di essi hanno tentato di proporre fantasiose ipotesi a proposito di qualche sorta di antica, mitologica discendenza dalla quale far provenire, in qualche modo, la Sibilla Appenninica: da una delle Sibille classiche, per esempio, o da un'antica divinità, come Cibele.
Noi, invece, andremo oltre.
Stiamo cominciando a percepire il sentore di una traccia, il profumo di una pista che avevamo già iniziato a seguire nei nostri precedenti articoli "I Cavalieri della Sibilla - Guerrin Meschino e i suoi antecedenti", "Il Paradiso della Regina Sibilla - La verità letteraria sulle magiche porte nascoste nel Monte Sibilla" e "Antoine de La Sale e il magico ponte nascosto nel Monte della Sibilla": un sospiro debolissimo, uno sbuffo di altre e diverse tradizioni letterarie che tacitamente, segretamente, sembrano trasudare dalla leggenda della Sibilla Appenninica.
Un sospiro che nessun altro sembra avere notato prima d'ora.
Come scrisse Leandro Alberti, «credo non esser molto tempo che siano state volgate queste favole di detta Caverna, e del detto lago». Di nuovo, ci troviamo in pieno accordo con queste parole.
La Sibilla Appenninica non è affatto così antica come vorrebbe farci credere. Quel racconto sibillino è, probabilmente, molto più giovane di quanto noi non possiamo pensare, forse non molto più antico di quello stesso quindicesimo secolo. E questo racconto contiene molti elementi che sono tratti da altre tradizioni leggendarie: aggiunte, ed estensioni, opportunamente sovrapposte a un originale, mitico nucleo centrale.
Andiamo a seguire questa traccia. Andiamo a svelare e scoprire quelle estensioni. Effettuando questa operazione, potremo avvicinarci progressivamente, sempre di più, al vero cuore della leggenda. Il nocciolo più interno, l'essenza più nascosta, del mitico racconto della Sibilla Appenninica.
19 Dec 2018
Birth of a Sibyl: the medieval connection /1. A fateful question and a new investigation
In our journey across the original sources of the legends of the Apennine Sibyl and the Lakes of Pilatus, a journey which we have been carrying out for many years and is currently resulting in a number of feature articles providing an unprecedented insight into the fascinating mythical world of the Sibillini Mountain Range in Italy, the time has come to confront with a most critical question.
A fundamental, fateful question - one that many lovers of this legendary lore will not like at all, and yet a question we are required to ask ourselves if we want to keep our firm adherence and unswerving commitment to the principles of scientific investigation, rooted in the unbiased scrutiny of all available sources and pieces of evidence.
The question is articulated as follows: has a Sibyl ever resided beneath the sinister peak of Mount Sibyl?
This might look like a silly, wacky question. Of course, we are not wondering whether a magical sort of fairy kingdom has ever been established, in actual reality, under the ridges of Mount Sibyl (Fig. 1), a mountain which does exist in our physical world and raises in a remote region of central Italy: sure enough, nothing the like has ever existed, with gorgeous palaces hidden beneath the rocky fastnesses, and luscious gardens and opulent treasures and beautiful damsels awaiting unblemished knights and daring visitors, a subterranean realm whose nasty queen craved to snatch their soul away and convict them to an eternal imprisonment in her own lustful arms, the evil arms of an Apennine Sibyl. That's the legend.
The question we pose is quite different: did the tradition concerning an Apennine Sibyl living beneath Mount Sibyl actually emerge, as a fully original, native tale, from the Italian Sibillini Mountain Range? Was this lore truly generated in the region of Mount Sibyl, or was it adapted and transplated there from some different cultural areas and geographic territories into that specific, particular spot of land?
Was the Apennine Sibyl's legend born there, or has it come from somewhere else?
As we presented in our previous series of articles “The Apennine Sibyl: a journey into history in search of the oracle”, the legend of the Sibyl of the Apennines appears to have come out at the beginning of the fifteenth century, as a shining, lonely star, from a sort of echoing void, an impenetrable mist, starting from there her successful travel into the subsequent ages (Fig. 2). We concluded those articles by asking ourselves a question: has that Sibyl really journeyed a long way across the centuries and through that inscrutable fog, after having started her travel in ancient times and having remained unseen until she emerged in the fifteenth century? Or, was she the more recent product of some strange condensation of that thick, whirling mist, in which her myth took form not in antiquity, but just very close to the beginning of the fifteenth century?
Did the Sibyl arise from the condensation of any sort of peculiar nature of that place, the Sibillini Mountain Range, having been subsequently clad with additional mythical themes taken from other tales and stories?
We feel that we are now ready to address this essential issue, by putting together a large number of clues we have collected in the course of our multi-year search on the topic: the Apennine Sibyl as a target of an unprecedented investigation, which may contribute to make a significant number of steps ahead in the direction of a new understanding of the sibilline mystery and tradition, closely linked to the mysterious lore concerning the Lakes of Pilatus, which lies just a few miles away.
So what are we going to do now?
We will fathom that impenetrable mist, venturing ourselves into the unexplored void which lies before the fifteenth century.
We will do what has never been done before: we will highlight the Apennine Sibyl's hidden connections to other traditions and legendary tales, originated in different regions and from different literary works. We will show that a large portion of the sibilline narration actually comes from other, different lore. And, finally, we will analyse the very nature of the site where the Sibyl's cave lies, so as to find the specific link that will push our research much further in the understanding of this obscure legend.
Our goal is to uncover the real essence of the myth of the Apennine Sibyl, the inner core of her ancient legend. We will remove all literary additions conferred to her legendary tale across the centuries. We will take off all the concentric layers that encircle and suffocate her true mythical nucleus, the way a rose is deprived of the outer petals which shelter the fragrant redolence of its central heart. We will clean her figure by wiping out the narrative elements that have been added with time to her story, borrowed from several different mythical tales. We will strip all her disguises off so as to be able to see her true, antique semblance.
We will do this by taking advantage of our previous articles, including “The Apennine Sibyl: a journey into history in search of the oracle”, “Antoine de la Sale and the magical bridge concealed beneath Mount Sibyl”, “The Paradise of Queen Sibyl - The literary truth about the magical doors set beneath Mount Sibyl”, “The knights of the Sibyl - Guerrino the Wretch and his forefathers: Huon d'Auvergne”, “The knights of the Sibyl - Guerrino the Wretch and his forefathers: Huon of Bordeaux”, “World of the Sibyl: the Italian Apennines and the Sibillini Mountain Range”, and others. We will add to that a large number of new findings which will cast a new light on the whole matter.
Let's start and see what kind of inscrutable lands we are about to attain.
Nascita di una Sibilla: la traccia medievale /1. Una difficile domanda e una nuova investigazione
Nel viaggio che stiamo percorrendo alla ricerca delle fonti originali delle leggende della Sibilla Appenninica e dei Laghi di Pilato, un viaggio che abbiamo intrapreso ormai da alcuni anni e il cui risultato è stato, fino ad ora, la pubblicazione di una serie di significativi articoli in grado di fornire un nuovo approfondimento sui miti affascinanti che abitano il territorio dei Monti Sibillini, è giunto il momento di tentare di rispondere a una domanda estremamente critica.
Una domanda gravemente ardua - una domanda che molti appassionati di questa tradizione leggendaria non ameranno affatto, eppure una domanda che siamo tenuti a porre a noi stessi se intendiamo mantenere una ferma adesione ai principi della ricerca scientifica e un impegno irremovibile al rispetto dei medesimi, consistenti in primo luogo nell'esame minuzioso e imparziale di tutte le fonti e di tutti gli elementi di valutazione disponibili.
La domanda deve essere articolata nel modo seguente: è mai esistita una Sibilla al di sotto della misteriosa, sinistra vetta del Monte Sibilla?
A prima vista, questa potrebbe apparire come una domanda bizzarra, e anche un poco stravagante. Naturalmente, non ci stiamo affatto chiedendo se una sorta di magico regno fatato si sia mai stabilito, nel nostro mondo reale, sotto le creste del Monte Sibilla (Fig. 1), una montagna che esiste nel mondo fisico e innalza la propria cima in una remota regione dell'Italia centrale: di certo, niente del genere è mai esistito, con i suoi meravigliosi palazzi nascosti alla vista al di sotto della roccia del massiccio montuoso, e magnifici giardini e ricchissimi tesori e affascinanti damigelle in attesa di cavalieri senza macchia e arditi esploratori, un reame sotterraneo la cui malvagia regina bramasse di strappare l'anima dei visitatori, condannandoli in tal modo ad una prigionia senza fine tra le sue stesse braccia impudiche, le braccia malefiche di una Sibilla degli Appennini. Tutto questo è solamente leggenda.
La domanda che ci poniamo è, invece, del tutto diversa: la tradizione relativa a una Sibilla Appenninica, vivente al di sotto del Monte Sibilla, costituisce un racconto nativo, totalmente locale, originatosi nel territorio dei Monti Sibillini? Si tratta di una leggenda realmente generatasi nella zona del Monte Sibilla, o proviene invece da un trasferimento, in questi luoghi, di un racconto originatosi in aree culturali differenti e in una diversa area geografica, successivamente adattato e trapiantato in questa specifica, peculiare porzione di territorio?
La Sibilla Appenninica è nata lì, oppure è giunta sin lì da qualche altro luogo?
Come abbiamo avuto modo di illustrare nella nostra precedente serie di articoli "Sibilla Appenninica: un viaggio nella storia alla ricerca dell'oracolo", la leggenda della Sibilla degli Appennini parrebbe essere fuoriuscita, come una brillante stella solitaria, all'inizio del quindicesimo secolo, da una sorta di echeggiante vuoto, una nebbia impenetrabile, per cominciare il proprio straordinario viaggio attraverso le epoche successive (Fig. 2). Avevamo concluso quella serie di articoli ponendoci una specifica domanda: veramente quella Sibilla ha affrontato un lungo cammino attraverso i secoli e oltre quell'impenetrabile nebbia, dopo avere iniziato il proprio viaggio nell'antichità ed essersi mantenuta completamente invisibile, finché non è emersa nel quindicesimo secolo? Non potrebbe invece essere che la Sibilla Appenninica sia il risultato di qualche strana condensazione di quella nebbia, così fitta, così vorticante, nella quale il suo mito abbia potuto prendere forma non nell'antichità, ma, invece, non molto lontano nel tempo, poco prima dell'inizio del quindicesimo secolo?
È possibile che la Sibilla sia sorta da una particolare condensazione, strettamente connessa alla natura di quei luoghi, i Monti Sibillini, e sia stata in seguito rivestita di temi leggendari aggiuntivi, tratti da altri racconti e altre storie?
Pensiamo di essere ora pronti per affrontare questo problema essenziale, mettendo assieme una grande quantità di indizi da noi raccolti nel corso della nostra ricerca pluriennale su questo argomento: la Sibilla Appenninica come oggetto di una investigazione senza precedenti, che può contribuire a far compiere alla nostra indagine un significativo numero di passi in avanti nella direzione di una nuova comprensione della tradizione e del mistero sibillino, strettamente connesso all'enigmatica narrazione concernente i Laghi di Pilato, che si trovano solamente a poche miglia di distanza.
E dunque, cosa ci stiamo accingendo a fare?
Entreremo in quella nebbia impenetrabile, avventurandoci in quel vuoto inesplorato che giace prima del quindicesimo secolo.
Faremo ciò che non è mai stato tentato finora: andremo a porre in evidenza le connessioni nascoste tra la Sibilla Appenninica e altre tradizioni e racconti leggendari, che trovano origine in differenti luoghi e sono narrati in diverse opere letterarie. Dimostreremo come una vasta porzione del racconto sibillino proviene effettivamente da tradizioni leggendarie differenti. E, infine, andremo ad analizzare la peculiare natura del sito dove è situata la grotta della Sibilla, in modo da identificare quella specifica connessione che sarà in grado di sospingere la nostra ricerca ancora più oltre in direzione di una maggiore comprensione di questa oscura leggenda.
Il nostro obiettivo è quello di disvelare la vera essenza del mito della Sibilla Appenninica, il nucleo più interno della sua antica leggenda. Andremo a rimuovere tutte le sovrastrutture letterarie che sono state sovrapposte al racconto sibillino nel corso dei secoli. Elimineremo tutti quegli strati concentrici che ne avviluppano e ne soffocano il fondo mitico più vero, allo stesso modo in cui una rosa viene privata dei suoi petali più esterni che schermano la profumata fragranza del suo cuore più profondo. Andremo a liberare la sua figura spazzando via gli elementi narrativi che sono stati aggiunti nel tempo alla sua storia. Alleggeriremo la sua immagine da tutti i travestimenti successivamente applicati, in modo da potere finalmente contemplare il suo più genuino, più antico sembiante.
Perseguiremo questi obiettivo utilizzando gli articoli già da noi pubblicati, tra i quali "Sibilla Appenninica: un viaggio nella storia alla ricerca dell'oracolo", "Antoine de La Sale e il magico ponte nascosto nel Monte della Sibilla", "Il Paradiso della Regina Sibilla - La verità letteraria sulle magiche porte nascoste nel Monte Sibilla", "I Cavalieri della Sibilla - Guerrin Meschino e i suoi antecedenti: Ugone d'Alvernia", "I Cavalieri della Sibilla - Guerrin Meschino e i suoi antecedenti: Huon da Bordeaux", "Il mondo della Sibilla: gli Appennini e il Massiccio dei Monti Sibillini", e altri. A questi aggiungeremo un cospicuo numero di nuovi elementi in grado di gettare nuova luce sull'intera materia.
Cominciamo, dunque, e andiamo a vedere verso quali territori inesplorati stiamo per inoltrarci.